Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Al fine di fissare con maggiore forza i momenti immediatamente successivi e precedenti lo scoppio e anche allo scopo di dar conto della drammaticità di quei primi istanti è utile riportare direttamente le dichiarazioni rese dai tre agenti sopravvissuti in ordine a tali frangenti.

Corbo Angelo, sentito all’udienza del 19 settembre 1995, ha dichiarato: «Ho sentito solamente un grosso botto, uno spostamento d'aria, una deflagrazione e mi sono sentito solamente catapultare in avanti. Dopo l'esplosione con grossa difficoltà si è cercato di uscire dalla macchina, perché purtroppo eravamo anche pieni di detriti, di massi. Quindi con difficolta' ho cercato di uscire dalla macchina. Niente, già uscendo si era capito della gravità della situazione perché la voragine purtroppo era ben visibile. Ci siamo avvicinati e mi sono avvicinato con gli altri alla macchina del dott. Falcone mettendoci intorno per non fare avvicinare o per controllare la situazione, e anche per non far sì che c'era magari qualche altra persona che si stava avvicinando all'autovettura sulla quale viaggiava il dott. Falcone, che era praticamente in bilico a quel cratere con la parte anteriore che sembrava mancante o potrebbe essere stata coperta da detriti. Dopodiché visto che non che non riuscivano ad uscire la persona del dott. Falcone e della dott.ssa Morvillo, abbiamo cercato insieme a delle persone che poi sono sopraggiunte di estrarre, appunto, il dott. Falcone e la dott.ssa Morvillo. Mi ricordo che non si riusciva ad aprire gli sportelli, specialmente quello del dott. Falcone che era bloccato. Dalla parte della dott.ssa Morvillo invece c'era questo vetro che si era riuscito a sradicare, infatti insieme ad altre persone si era proprio presa la dott.ssa Morvillo e uscita dall'abitacolo della macchina. Invece il dott. Falcone purtroppo non si riusciva ad aprire questo sportello. Fra l'altro poi la macchina stava anche prendendo fuoco, quindi c'era stato anche un cercare di spegnere questo principio d'incendio. Il dott. Falcone era in vita, ecco non so dire se era cosciente, chiaramente, perche' purtroppo con il vetro blindato non si sentiva neanche un gemito, un qualche cosa, comunque era in vita. Addirittura si era pure rivolto verso di noi guardandoci, pero', ecco, purtroppo noi eravamo impossibilitati ad un immediato soccorso. L'autista Costanza era messo nel sedile posteriore, se mi ricordo bene era coricato di lato nell'abitacolo della macchina».

«Non ho visto più niente»

Gaspare Cervello, deposizione del 19 settembre 1995, ha riferito: «Dopo il rettilineo, diciamo, all'inserimento del bivio di Capaci, ho visto dopo una deflagrazione proprio gigantesca, un'esplosione che neanche il tempo di finire un'espressione tipica che non ho visto piu' niente, non so che fine ha fatto la macchina, cosa ha fatto in quel momento la macchina; non so il tempo che ho trascorso svenuto dopo quella deflagrazione. Dopo che ho ripreso i sensi dentro la macchina stesso, vedevo che non potevo aprire lo sportello; con forza riesco ad aprirlo. Non faccio caso neanche ai colleghi se stavano bene, cioè se erano vivi; l'unica cosa del mio istinto era quello di uscire dalla macchina e recarmi direttamente nella macchina del giudice Falcone. Mentre mi avvicinavo alla macchina ho visto quella scena proprio straziante, di cui mi avvicino un poco sopra, perche' poi c'era il terriccio dell'asfalto che proprio copriva la macchina; c'era soltanto il vetro, quindi anche se volevamo dare aiuto non potevamo. Niente, l'unica cosa che ho fatto è di chiamare il giudice Falcone: "Giovanni, Giovanni", però lui si è voltato, però era uno sguardo ormai chiuso, abbandonato, perché aveva tutto il blocco della macchina davanti, aveva soltanto la testa diciamo libera; no libera, che muoveva, diciamo, per quegli attimi che io l'ho chiamato.

La dottoressa era chinata verso avanti come l'autista Giuseppe Costanza, di cui la prima sensazione, quella mia: "Ormai tutti e tre non ce l'hanno fatta", mentre la macchina davanti, non l'ho vista... Ho pensato che ce l'avevano fatta, ce l'avevano fatta, che erano andati via... ho pensato sono andati via per chiamare i soccorsi, perche' noi via radio non potevamo dare piu' niente perche' la macchina nostra era anche distruttissima».

I racconti di Costanza e Capuzza

Costanza Giuseppe, autista giudiziario, sentito alla stessa udienza, ha ricordato: «Io l'ultima cosa che ricordo del dottor Falcone e', appunto, nel chiedergli quando dovevo venire a riprenderlo; mi ha detto: "Lunedi' mattina", io gli dissi: "Allora, arrivato a casa cortesemente mi da' le mie chiavi in modo che io lunedi' mattina posso prendere la macchina, ma probabilmente era soprappensiero perche' una cosa del genere non riesco a giustificarla soprattutto da lui. Sfilo' le chiavi che erano inserite al quadro dandomele dietro e io a quel punto lo richiamai dicendoci: "Cosa fa? Cosi' ci andiamo a ammazzare". Questo e' l'ultimo ricordo che lui girandosi verso la moglie e incrociandosi lo sguardo e girandosi ancora verso di me fa: "Scusi, scusi". Ecco, queste sono le ultime parole che io ricordo perche' poi non c'e' piu' nulla. Potevamo andare a una media di 120, 120-130, non piu' di tanto. Nel momento in cui sfilo' le chiavi ci fu una diminuzione di velocità perche' la marcia era rimasta inserita era la quarta».

Capuzza Paolo, udienza del 9 ottobre 1995, ha asserito: «Io ero rivolto, diciamo, un po' nella sedia della parte destra e guardavo un po' sulla destra ed il davanti, ed ho sentito un'esplosione ed un'ondata di caldo e' arrivata, ed in quell'attimo mi sono girato nella parte anteriore dell'autovettura, per guardare cosa accadeva, ed ho visto l'asfalto che si alzava nel cielo. Poi mi sembra che l'autista abbia sterzato l'autovettura sul guardrail destro per evitare di andare addosso all'autovettura del dottor Falcone; poi, quando siamo scesi ci siamo accorti che ci siamo ritrovati dietro proprio l'autovettura del magistrato. Mentre eravamo all'interno dell'autovettura, si sentivano, ricadere sull’auto tutti i massi ed una nube nera, cioè non si vedeva niente, polvere e nube nera che non riuscivamo a vedere niente. Dopodiche' siamo usciti dall'autovettura con le armi in pugno, io ho cercato di prendere l'M12 in dotazione, oltre che le pistole che avevo addosso, ma non sono riuscito a prenderlo, perche' appunto la mano non riusciva a tenerlo in mano, non lo riuscivo a prendere, insomma; e, quindi, ho preso la mia pistola di ordinanza. Siamo usciti dall'autovettura e per guardarci intorno, perche' ci aspettavamo, come si dice, qualche colpo di grazia. Poi abbiamo visto la voragine che c'era davanti all'autovettura del dottor Falcone, alla quale mancava il vano motore completamente; poi c'erano delle fiamme ed abbiamo preso l'estintore che era sulla nostra autovettura e le abbiamo spente. Le fiamme erano proprio davanti l'autovettura del dottor Falcone, che era proprio sul limite del precipizio, diciamo, dove si era creata la voragine, perché non c'era piu' il vano motore e... ci siamo guardati intorno per proteggere, appunto, ancora la personalità, perché mi sembra che il Cervello Gaspare, si' Cervello, abbia chiamato per nome il dottor Falcone, il quale non ha risposto pero' si e' girato con la testa come... poi abbiamo aspettato i soccorsi e non abbiamo fatto avvicinare nessuno».

Queste dunque le prime immagini della strage tratte dal racconto dei sopravvissuti.

Testi tratti dalla sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

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