Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, parliamo di Pasquale Condello, killer efficientissimo durante la prima e la seconda guerra di 'Ndrangheta e che ha ispirato il libro “Il Supremo. Ascesa e caduta di un comandante del male”, di Andrea Galli e Giuseppe Lumia.

Negli anni Settanta la ’ndrangheta ha un capo assoluto: il Patriarca delle cosche.

E adesso deve morire.

Senza concessioni a una benedizione, senza la possibilità di un ultimo desiderio.

Elegante nel suo completo blu, Condello impugna una Colt 1911 Government calibro 45 e una Browning HP 35 calibro 7.65 parabellum. Due pistole, una in ciascuna mano, per togliere una vita.

Non ha mai pensato d’essere una riserva qualunque. Sapeva che sarebbe arrivata l’ora.

E la sua ora è adesso.

[…]

Ventuno ore dopo la sua ultima mangiata, il Patriarca sta per salire sulla Renault 5.

I movimenti sono lenti, costretto com’è a subirli ma ancora libero di assecondarli a piacimento. Nessuno mette fretta al vecchio e lui, dalla sua, ha il tempo e i privilegi concessi ai capi. Appoggia la grassa mano sulla capote, allunga il piede fasciato da un comodo polacchino in pelle martellata color cacao sul pavimento della macchina, come di chi cerca di sondare la temperatura dell’acqua di mare prima di immergersi, individua un punto al quale ancorarsi, fa scendere quella mano lungo la portiera per tenersi in equilibrio, poggia all’interno anche il secondo piede, trasferisce a rilento il resto del corpo nella vettura, infine si adagia sul sedile emettendo un fragoroso sbuffo accompagnato da una smorfia.

Ora che il Quaglia lo vede seduto – il vecchio ha appena levato la coppola di lana dai folti capelli sistemandola in grembo –, chiude con delicatezza la portiera lato passeggero, gira intorno alla Renault 5 e si guarda attorno. I suoi ormai sono automatismi, che compie per pura routine.

Questo è il regno del Patriarca. Un regno in cui gesti e parole hanno l’inerzia di un rito senza tempo.

All’anagrafe, l’anziano è Antonio Macrì. Quasi non sa scrivere, ma si fa capire.

Capo indiscusso della ’ndrangheta e referente delle cosche nel mondo, comanda e spinge a sentenza esecutiva condanne di morte, è l’interlocutore più autorevole, temuto e rispettato dell’organizzazione anche e soprattutto a livello internazionale: New York, Ottawa, Montreal, Toronto e Sidney. Antonio Macrì è anche amico personale dei più potenti mafiosi palermitani: Angelo e Salvatore La Barbera, Luciano Liggio, i Greco di Ciaculli, Totò Riina e Bernardo Provenzano, e il loro maestro Michele Navarra soprannominato il Padreterno, confinato negli anni Cinquanta a Gioiosa Marina, subito a nord di Siderno. Rapporti di affetto, tra Macrì e Navarra, di rispetto e fiducia.

[…]

Sono le diciassette del 20 gennaio 1975. Due traverse incrociano all’inizio e alla fine via Dromo, e conducono al litorale. I quindicimila residenti di Siderno vivono tra la parte del paese in lieve altura, sede dei primi insediamenti abitativi, e più in basso lungo l’ampio sfogo di passeggiate, aiuole, bar e ristoranti affacciati sul mar Jonio.

All’interno della Renault 5, il Quaglia allunga i piedi sui pedali. Sta per mettere in moto. Conosce il percorso a memoria, un breve tratto di strada dalla bocciofila alla casa del Patriarca; uno sguardo, lungo il tragitto e a ridosso della destinazione, alla ricerca di eventuali minacce, poi sarà libero dal servizio.

Tempo pochi minuti e il capo riposerà vegliato dalla giovane moglie, che dopo aver preparato una vasca d’acqua bollente e profumata di sapone, gli avrà sistemato i vestiti nell’armadio, spazzolato le scarpe e portato l’accappatoio di morbido tessuto, fresco di bucato.

L’orizzonte che imbrunisce rapido si fa sempre più minuscolo, riempito com’è da un’Alfa Romeo 1750 blu che avanza in mezzo alla strada a grande velocità, rallenta di colpo, si avvicina alla Renault 5 e vi appoggia il muso. Muso contro muso.

Le figure all’interno delle due macchine si guardano.

«Ma cu cazzu sunnu?»

Un grido strozzato esce all’unisono dalle bocche del vecchio capo e della sua guardia.

Attimi.

Prima che lo stupore dei due ceda il passo alla consapevolezza.

Condello spalanca la portiera e salta dal sedile posteriore sinistro dell’Alfa. Mentre il complice, uno che chiamano il Biondo, già spara brevi raffiche di Scorpion contro il parabrezza della Renault 5, lui si allarga veloce sul lato passeggero per visualizzare il bersaglio.

Attimi.

Il Quaglia si dà dell’idiota. Non ha armi con sé.

Chi avrebbe mai pensato a un attentato nella sacra terra dell’anziano capo? Chi avrebbe mai ipotizzato l’assalto di un commando proprio qui, a Siderno, in pieno giorno? Chi? Cerca di inserire la retromarcia per sfuggire a questa trappola mortale. Manovra disperata, istinto di sopravvivenza. Anche se la disperazione è un sentimento già scaduto, un esercizio emotivo ormai inutile e patetico. Gli spareranno addosso lo stesso.

Il cambio della Renault – un pomello in cima a una leva che fuoriesce da sotto il centro del cruscotto – è poco pratico, l’hanno appena messo sul mercato, non c’è stato tempo per prenderci dimestichezza. Un oggetto inedito, uno smisurato ostacolo.

Il Quaglia perde secondi, ma di secondi già non ne ha più, obbligato com’è a giocarsela in un duello dal finale già scritto, una sproporzione di forze in campo aggravata dalla mancanza di un’arma, fosse anche soltanto una scadente rivoltella da impugnare e puntare contro il nemico.

Attimi.

Il Patriarca maledice le dannate maniglie della Renault.

Maledice le auto francesi.

Maledice il suo uomo, disarmato e impotente: «Moviti, moviti, fuimu, tirami fora di ’stu cazzu di bordellu!».

Maledice il giovane bastardo che lo fissa attraverso il parabrezza della Renault 5, una pistola per ogni mano, mentre avanza e gli arriva addosso, tirato a lucido e agghindato come se andasse a un battesimo o un matrimonio.

Adesso lo riconosce.

Sa chi è.

E il completo blu da cerimonia che indossa è per officiare il più solenne dei funerali.

[Estratti tratti dal libro “Il Supremo. Ascesa e caduta di un comandante del male”, di Andrea Galli e Giuseppe Lumia, PIEMME, 2021

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