Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, parliamo di Pasquale Condello, killer efficientissimo durante la prima e la seconda guerra di 'Ndrangheta e che ha ispirato il libro “Il Supremo. Ascesa e caduta di un comandante del male”, di Andrea Galli e Giuseppe Lumia.

Sangue bollente nelle vene, estremista del ricorso alle armi, Imerti non tradisce mai le aspettative. Lo soprannominano il Nano feroce.

“Nano” perché raggiunge a fatica il metro e sessanta d’altezza. “Feroce” perché ha modi spicci e prende in un amen decisioni rapide e brutali.

Due giorni prima del ventinovesimo compleanno, Imerti era evaso da un carcere siciliano. L’anno dopo aveva eluso le manovre di due pattuglie di carabinieri che lo stavano ammanettando. Quando si incazza, il Nano feroce diventa un diavolo.

[…]

Dietro le immagini di facciata, Imerti gestisce un’agenzia assicurativa a poche centinaia di metri dal porto di Villa San Giovanni. L’ha rilevata dai precedenti proprietari incrementando il volume d’affari del centocinquanta per cento. Il Nano feroce ha l’abitudine di osservare dalla finestra la lunga fila di macchine e camion in attesa di attraversare lo Stretto di Messina. Sorride pensando ai tempi in cui esordiva da ragazzino nella ’ndrangheta, e come giustificazione dei soldi in tasca – un bottino di furti ed estorsioni – ripeteva agli sbirri d’essere un mozzo sulle navi di spola tra Calabria e Sicilia.

Cresciuto nella miseria, il Nano ha avuto forza e ambizione, è diventato un capo. Proprio come Pasquale Condello, ormai suo cugino. Consacrata davanti a Dio l’unione con la famiglia del pupillo di De Stefano, successiva alle nozze con Giuseppina, Imerti ha preso a vantarsi e sussurrare piani di espansione in autonomia dal casato di Archi, quasi che il dominio dei fratelli sia lo sbiadito vessillo di un passato lontano.

E quando aumenta il potere, diminuisce la devozione. Apprese le notizie, don Paolino comincia a rodersi il fegato. Come Tripodo quando gli riferivano le smanie dei De Stefano. E come allora, la vendetta comincia a serpeggiare nell’aria.

Soltanto che ammazzare Imerti è complicato. Il Nano feroce ha un abile autista che lo trasporta su una macchina blindata, e dispone di tre guardie aggiuntive che a bordo di una seconda macchina, anch’essa blindata, si muovono in avanscoperta pattugliando il percorso del loro capo che mai prende appuntamenti in largo anticipo e sempre comunica all’ultimo gli itinerari.

Come spiegato in una nota inviata dai carabinieri alla Procura, Imerti viaggia su una vettura ritoccata da un meccanico di fiducia. Le modifiche sono state apportate in base a sue precise richieste, che tradiscono ossessioni paranoiche e una crescente megalomania.

La macchina, una Volkswagen Golf, è a prova d’assalto: motore a benzina sovralimentato da un turbocompressore; blindatura a garantire la massima protezione; sirena a scomparsa azionabile con un pedale; impianto fumogeno posizionato nel bagagliaio che, manovrato da un secondo pedale, espelle dense nuvole di fumo attraverso bocchettoni inseriti nella carrozzeria.

Roba da fantascienza.

È da escludere che il Nano feroce possa morire in un agguato concepito secondo le classiche strategie. Venerdì 11 ottobre 1985, sette di sera: un boato fende l’atmosfera di Villa San Giovanni.

Un telecomando a distanza provoca l’esplosione di un’autobomba parcheggiata in via Riviera, di fronte all’agenzia assicurativa di Imerti.

L’onda d’urto generata dalla detonazione fa saltare i vetri delle finestre dei palazzi che si affacciano sulla via e innesca gli antifurti di tutte le vetture parcheggiate intorno all’isolato.

La prima caserma dei carabinieri dista trecento metri in linea d’aria. Arrivano le pattuglie. Ciò a cui assistono disorienta gli agenti nelle gazzelle: il fondo stradale percorso da miliardi di minuscoli frammenti vitrei inganna la vista; l’aria impregnata di un odore acre – una miscellanea di polvere pirica, sostanze metalliche e sangue sulla quale prevale il puzzo di carne bruciata – evoca scenari mai vissuti prima, in Calabria.

Nemmeno durante i disumani conflitti delle cosche. A terra, sono riversi i corpi senza vita di tre uomini, le guardie del corpo di Imerti dilaniate dall’ordigno. Il Nano feroce e l’autista li seguivano a breve distanza aspettando il loro posizionamento e un cenno a segnalare l’assenza di pericoli. Così si sono salvati. L’input dal telecomando al detonatore è stato ritardato dal transito di due vetture che si sono sovrapposte alla linea di tiro. Un breve lasso temporale ma sufficiente al boss per raggiungere la fiancata della Golf blindata che lo ha riparato dall’esplosione. Di Imerti, lievemente ferito, diranno che nella pianificazione della vendetta l’abbia mosso il medesimo spirito dei corleonesi in Sicilia, la primitiva propensione a restituire l’agguato, l’inesorabile ricorso a una forsennata strategia militare d’attacco.

La ferocia è la sua pietra filosofale.

Bisogna informare Condello, organizzare un’ambasciata in carcere, mettergli davanti l’evidenza dei fatti, la sciagurata concezione del piano omicida, i tre uomini trucidati. Paolo De Stefano – sì, proprio lui, il capo e il nume tutelare dello stesso Condello – è un morto che cammina. Vafanculu.

[Estratti tratti dal libro “Il Supremo. Ascesa e caduta di un comandante del male”, di Andrea Galli e Giuseppe Lumia, PIEMME, 2021] 

supremo condello libro

© Riproduzione riservata