Quando ad Acilia, borgata che porta al mare di Roma, il clan Guarnera ha voluto staccarsi dal gruppo del boss Mario Iovine, legato al clan dei Casalesi, ha cercato alleati per imporsi. Così gli albanesi sono diventati la manovalanza necessaria, il braccio armato. «Dovevano pestare uno a sangue per intimidirlo, ma l’albanese andò oltre, gli afferrò l’occhio e glielo strappò», ricorda un inquirente che ne segue le tracce da tempo. Nelle palestre tra Acilia e la capitale, gli albanesi si allenano picchiando sacchi prima di riversarsi in strada per sfasciare nemici o cattivi pagatori. In pochi anni sono passati da braccio armato dei clan, violenza pura, a mafia che in terra natia si fa la guerra. 

«I Napoletani e gli Albanesi è una cosa… Questa è gente di merda!! Questa è gente cattiva», diceva un pregiudicato al telefono, intercettato nell’inchiesta Mondo di mezzo. E i boss, quando vengono arrestati, restano in patria, è il caso di Dorian Petoku la cui estradizione è diventata impossibile. «L’Albania è un Paese produttore di marijuana, ma anche di transito per l’eroina proveniente dall’Asia centrale e dall’Afghanistan e destinata al mercato dell’Europa occidentale (la c.d. “rotta balcanica”)», si legge nell’ultimo rapporto della direzione nazionale antimafia. Dall’Albania sono arrivati nel cuore dell’Europa. «La mafia albanese mostra di saper sfruttare in maniera sistematica la rete di collegamenti con omologhi sodalizi attivi nei Paesi Bassi, in Belgio, in Austria, in Germania, nel Regno Unito e in Spagna», continua il documento dell’antimafia. Controllano anche i porti di scarico della droga verso il vecchio continente. Il modello è quello adottato dalle ‘ndrine Pesce e Bellocco con il porto di Gioia Tauro, in Calabria: controllare aree adiacenti lo scalo marittimo, capannoni e magazzini dove stoccare tonnellate di droga. 

I porti europei della droga

Una competenza logistica che passa attraverso una rete di fedelissimi: imprenditori, vedette, funzionari corrotti. I porti europei sono quelli di Anversa, in Belgio, e Rotterdam in Olanda. La mafia albanese si è affrancata dai reati predatori e rappresenta, oggi, insieme alla ‘ndrangheta una delle più potenti organizzazioni criminali, in Europa, in grado di godere in patria di rispetto e di legami con politica e imprenditoria. Boss albanesi che hanno ottimi e storici rapporti con gli omologhi pugliesi, ma anche con la malavita calabrese e quella siciliana. La mafia albanese, in patria, è divisa in gruppi che si fanno la guerra, ma la scia di sangue arriva anche in Europa e non risparmia l’Italia. Nel settembre scorso, sulla spiaggia di Torvaianica, a Roma, un albanese è stato ucciso da un killer rimasto senza nome. 

Nel grande business della droga, la mafia albanese ha una specificità. Offre, a differenza anche di altre mafie, la spedizione dello stupefacente a destinazione. Un servizio molto gradito dalle consorterie criminali, che sul territorio, poi si occupano dello spaccio e del controllo delle piazze. Lo stupefacente viene, con un prezzo maggiorato, portato direttamente nei paesi di destinazione con auto dotate di doppifondi attraverso una rete organizzata di corrieri. Le modalità di trasporto si aggiornano, qualche mese fa a Latina è stato sequestrato un carico di droga, venti chili di cocaina, che era nascosto in una intercapedine sul tetto del rimorchio con un sofisticato meccanismo di apertura.

In altre occasioni, lo stupefacente (marijuana e cocaina) è giunto in Italia dal nord Europa occultato su autobus turistici nella tratta Olanda-Belgio. Attualmente le piazze di spaccio romane vengono rifornite anche e soprattutto dalla droga gestita dalla mafia albanese, tra i clienti ci sono i Casamonica che continuano a organizzare, in diverse aree del territorio, la vendita al dettaglio della droga. Casamonica che avevano costruito con uno dei componenti più importanti della mafia albanese, Dorian Petoku, un rapporto, tramite un altro signore della droga Fabrizio Piscitelli (poi uscito dall’affare), ammazzato il 7 agosto del 2019, da un killer al momento rimasto ignoto. Brasile low cost è il nome di un’operazione della Guardia di finanza, coordinata dal procuratore Michele Prestipino e dal pubblico ministero Giovanni Musarò, che ha coinvolto proprio Dorian Petoku, Salvatore Casamonica, Silvano Mandolesi e Tomislav Pavlovic.

Trattavano l’arrivo in Italia, a Roma, di 7 tonnellate di cocaina, il più grande carico mai arrivato nella capitale, attraverso il rapporto costruito con i narcotrafficanti sudamericani. I finanzieri, guidati dall’allora comandante del gruppo antidroga, Stilian Cortese, e dal comandante del nucleo economico finanziario Marco Sorrentino, hanno portato a termine una delle inchieste più delicate degli ultimi anni grazie all’uso di agenti sotto copertura e di un infiltrato, ribattezzato il francese. Petoku risulta ancora indagato, ma non è a processo, visto che in Italia non si è visto, quell’ordinanza di custodia cautelare è scaduta, intanto è stato raggiunto da un’altra misura sempre per reati di droga. 

L’estradizione mancata

Gli albanesi, a Roma, sono diventati una potenza, sono stati a disposizione dei Guarnera, ma anche della batteria di Fabrizio Piscitelli, detto diabolik, che controllava Ponte Milvio. L’esponente di collegamento, che capeggiava il gruppo, era Arben Zogu, detto Riccardino. A lui la curva nord degli irriducibili, guidata da Piscitelli, dedicava ogni domenica uno striscione allo stadio per ricordarne ruolo e potere.

Piscitelli, la sua batteria, e gli albanesi sono cresciuti insieme, allargandosi in città e assumendo sempre più prestigio criminale, grazie anche ai rapporti con Massimo Carminati, il cecato, di recente condannato come a capo di un’associazione a delinquere, non mafiosa secondo la Cassazione, egemone a Roma. Proprio nell’inchiesta Mondo di mezzo vengono citati i nomi degli albanesi, fedelissimi di Diabolik, oltre a Zogu, ci sono anche Yuri Shelever, Orial Kolaj, il pugile, Adrian Coman. L’altro albanese di rilievo è proprio Dorian Petoku, cugino di Zogu, lui ha fornito un canale sicuro di approvvigionamento di stupefacente per il gruppo di Fabrizio Piscitelli e del suo braccio destro Fabrizio Fabietti «droga destinata poi ai fornitori della quasi totalità delle piazze di spaccio romane», si legge nelle carte dell’inchiesta.

Petoku, però, in carcere in Italia non è mai andato. Dal 2019 resta inevasa la richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. L’ultima volta il suo arrivo è stato bloccato da una presunta positività al covid che gli ha impedito di prendere il volo che lo avrebbe portato nel nostro paese. Il rischio è che scadano i termini per la custodia cautelare e a quel punto Petoku tornerebbe un uomo libero. «Gli albanesi a Roma li ho incontrati, sono temuti, hanno rapporti con gli eredi della banda della Magliana, sono pieni di droga e senza scrupolo», dice un boss pentito di camorra che ha fatto affari con loro.  Pieni di droga e senza scrupoli, due tratti distintivi della mafia albanese.

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