Il governo ha sconvolto il sistema penale minorile che somiglia sempre più al carcere degli adulti. «Mia madre non rideva mai»: le parole dei detenuti minorenni che vedono lo Stato come aguzzino
Il decreto Caivano offre una risposta repressiva a un bisogno diffuso di welfare, giustizia e prevenzione. Per capirne gli effetti, a poco più di un anno dall’introduzione, bisogna parlare con chi ha visto il carcere e ora è “rinchiuso” in una comunità. Si tratta di minorenni, per identificarli useremo nomi di fantasia, che sono stati arrestati per rapina, spaccio e anche truffe alle anziane, reati odiosi per chi li subisce.
«Chi sbaglia deve pagare, quante volte l’avrai sentita questa frase? E, invece, ancor di più quando hai 16 anni e sei un adolescente a metà, la frase di un paese civile è Chi sbaglia deve cambiare», dice Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania che denuncia l’aumento dei minori negli istituti minorili dopo il decreto Caivano. «Mi piacciono assai queste parole che dite, cambiare è una bella parola. Quando ci arrestano ci fanno fare i corsi di formazione, ci portano pure a vedere il mare. Ma non ci potete dare una possibilità prima di sbagliare?», dice Antonio, 17 anni, dentro per truffa e rapina.
I sogni piccoli
Sabato mattina, ore 10. Palazzo di due piani nel centro di un paese a venti chilometri da Napoli. Piove. Qui ci sono sei ragazzini del circuito penale, è una delle tante sedi della cooperativa “Aries”. Appena entro alcuni sono seduti sul divano, in tv passa un brano di Baby Gang, il rapper marocchino che sbanca tra i giovanissimi. «A noi ci piacciono tanto, pure Geolier, Ghali, Lazza, raccontano chi siamo, ci immedesimiamo, ogni tanto mi sogno che vengono a suonare qua sopra al terrazzo. Ho visto che l’hanno fatto nelle carceri minorili», dice Gennaro mentre fuma un’altra sigaretta. «Prima del guaio non fumavo, ora me ne servono trenta al giorno, alcune me le mette a disposizione la comunità, altre me le compra mia mamma».
I genitori fanno chilometri per venirlo a trovare e sono spese che pesano per chi guadagna un salario che basta a vivere con dignità. «Ho spacciato, vendevo la coca a domicilio. La portavo con il motorino alla gente ricca della mia città, mi hanno arrestato ed è finito il sogno, è cominciato l’incubo». Il sogno è quello di cartapesta che avvolge una generazione, la dittatura del tutto e subito, le scarpe, l’orologio, lo scooter. «Lì per lì non pensi finirà mai, ma i soldi si consumano. Ora non me ne importa più niente, sto facendo un corso di meccanico e faccio il volontario in un centro per ragazzini disabili».
Vicino a Gennaro c’è Samid, è nord africano come Baby Gang, e ora ha chiare le idee. «Ho capito che a noi toccano solo i sogni piccoli, quelli grandi non ci appartengono. Io mi sono sempre sentito osservato, diverso anche se nato qui. Prima della comunità sono stato anche in carcere, ne ho girati due di istituti minorili, mi sono inguaiato con una rapina. Non sai i psicofarmaci che girano in carcere, ci sedano, io non ho mai preso quella roba, i ragazzi li sdraiano», racconta.
E poi parla del sovraffollamento, il decreto Caivano ha di fatto smontato il sistema della giustizia minorile che ora assomiglia sempre di più agli istituti di pena per adulti: sovraffollamento, farmaci e, talvolta, anche botte. «La convivenza è diventata complicata, ci sono sempre più minori non accompagnati stranieri e il rischio è di perderne il controllo, il disordine è la via seguita per giustificare la repressione», dice un volontario che lavora negli istituti minorili.
«Il decreto Caivano racconta di quanto lo stato abbia fallito, un patetico tentativo di repressione storicamente fallimentare. Noi ci scontriamo con una scarsa offerta formativa, con poche agenzie educative e con la costante frustrazione del ritorno del ragazzo nei quartieri e nel contesto di appartenenza. Quando ho iniziato questo lavoro mi fu detto: “Lavoriamo con la consapevolezza che l’80 per cento sarà un fallimento, ma quel 20 per cento che si salva, è il motore di tutto”», dice Manuela Scarpinati, vice presidente Aries. È difficile essere giovani in terra di sud, talvolta può essere mortale. Poco distante da qui, a Secondigliano, un’intera comunità piange da giorni Patrizio Spasiano, aveva scelto come tanti la strada della formazione e del lavoro, il lavoro che l’ha ucciso a 19 anni. Torniamo in comunità, dagli adolescenti a metà.
La risata di mamma
Ogni storia incrocia drammi irrisolti, ragazze madri, genitori eclissati, welfare polverizzato e, a volte, una fame infame. Nicola, 16 anni, è in comunità per porto abusivo d’arma da fuoco, ricettazione e truffa. Ha il pizzetto, i capelli corti: è orfano d’infanzia.
«Papà? Un cartonato con la capa fatta di cocaina. Mia mamma si spacca di fatica, fa le pulizie nei b&b del centro, ma guadagna troppo poco», dice raccontando il solco tra le due città, tra le due Italie, quelli delle rendite e quelli del lavoro povero. «Mi credi, mia mamma non rideva, non rideva mai. È bello parlare quando i genitori ti mettono i soldi in tasca, a casa mia c’era solo la fame. Io andavo a scuola, portavo anche le pizze a domicilio, ma non si arrivava. Ho cominciato a fare le truffe agli anziani», continua Nicola.
Ogni giorno da Napoli parte un nugolo di ragazzini, la centrale della truffa è in città, i manigoldi cercano sulle pagine bianche anziani ignari da truffare fingendo improbabili incidenti o improvvise urgenze. Quando qualcuno ci casca si attiva il ragazzino, «mi mandarono a Firenze, mi chiamarono dandomi indirizzo e andai a prendere i soldi. Noi prendevamo una percentuale minima, chi si arricchisce sono i grandi, ci utilizzano perché abbiamo un rischio penale ridotto», raccontano i ragazzi.
«Io ci sono stato in carcere per una coltellata, ho incrociato anche i ragazzini che hanno fatto quelle cose brutte a Caivano, ho conosciuto loro, non il loro reato. Certo alcuni di noi non cambieranno mai, ma il carcere ci peggiora soltanto, non serve a niente. Sono otto mesi che sono in comunità e ci sto provando a prendere una strada», dice un altro ospite. Prima di salutarci Gennaro guarda un bagliore di sole che è uscito, mi mostra il libro che ha letto, un giallo che lo ha conquistato. Poi guarda il terrazzo e dice a Said: «Qua ci starebbe proprio bene un biliardino». Il futuro è ancora tutto da scrivere.
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