La lista dei numeri persi. Nei giorni scorsi l’Uefa ha pubblicato l’edizione 2021 dell'European Club Footballing Landscape, il rapporto annuale sul benchmarking che misura il grado di competitività economica delle leghe nazionali d’Europa e del movimento calcistico continentale nel suo complesso.

Appuntamento sempre atteso dagli analisti, ma quest’anno ancora di più per scoprire in che misura la pandemia abbia minato la struttura del calcio europeo. Si tratta di un documento di 112 pagine patinate, ricche di illustrazione e cifre, ma segnate da un umore sotteso che volge al pessimismo per tutto ciò che è andato perduto e rischia di non tornare più. Con quelle proiezioni sulla crescita consolidata e prevista fino a poco prima della pandemia che danno il senso della voragine fra il prima e il dopo Covid.

L’anno del come eravamo

Tanti numeri, tante tabelle, ma anche una tempistica sfalsata nella presentazione del rapporto. Che fino al 2020 aveva rispettato uno scadenzario particolare. Pubblicato a gennaio, presentava elaborazioni del penultimo anno finanziario chiuso con la conclusione dell’anno solare. Per intenderci, prendiamo come esempio i numeri maturati nel vasto sistema del calcio europeo fino al 31 dicembre 2018, che sono stati elaborati durante l’anno 2019 e presentati nella seconda metà del mese di gennaio 2020. Così era stato nel caso del rapporto pubblicato nelle settimane che precedevano la pandemia, messo in rete dall’Uefa il 16 gennaio 2020.

Ma da un anno all’altro è cambiato tutto, compreso il periodo sottoposto a elaborazione e il mese di pubblicazione del rapporto. Che quest’anno è arrivato a fine maggio e fa riferimento al 2019 ma anche, in buona misura, al catastrofico 2020. Una scelta di praticità ma anche di opportunità.

Perché quale senso avrebbe mai avuto analizzare soltanto i dati del 2019, l’anno prima del Covid, se tutte le informazioni e le indicazioni di trend da essi contenute sembrano adesso appartenere a un’altra èra geologica? Meglio guardare anche al seguito immediato, e vedere gli effetti maturati nel primo scorcio di quel 2020 che ancora non si sa se definire "anno zero”.

Come stavamo crescendo

Si guarda con rimpianto alla crescita che fino alla fine dell’anno finanziario 2019 pareva inarrestabile. Giusto nell’anno che si è chiuso sulla soglia della pandemia i ricavi dei club europei hanno battuto un record in materia di incrementi: +1,885 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, con crescita del 9,1 per cento. Cifre mirabolanti che si associavano ai dati di trend ventennale: crescita moltiplicata di 4,8 volte rispetto a vent’anni prima e un tasso annuo medio di incremento del 8,2 per cento. Una tendenza incrementale che lo stop imposto a marzo 2020 dalla pandemia ha arrestato in modo brutale. Il danno è stato devastante. La stima fatta dall’Uefa parla di una perdita da 7,3 miliardi di euro per l'intero movimento.

I soliti vizi

Soprattutto c’è stato un impatto sulla struttura dei ricavi, che fino al 31 dicembre 2019 presentava la seguente composizione come spiega una slide dal titolo indicativo: “Revenues before the storm” (“Ricavi prima della tempesta”). La fotografia della situazione racconta che, su circa 23 miliardi di euro di ricavi prodotti dai club del calcio continentale, 8,3 miliardi (36 per cento) derivavano da diritti televisivi, 2,8 miliardi (12 per cento) da versamenti Uefa, 5,1 miliardi (22 per cento) da sponsorizzazioni, 1,8 miliardi (8 per cento) da attività commerciali, 3,3 miliardi (14 per cento) da ingressi allo stadio e 1,7 miliardi (8 per cento) dalla generica voce “altro”.

Rispetto a questa struttura dei ricavi, l’effetto della pandemia è il seguente: azzerata la voce “ingressi da stadio”, fortemente compromesse le attività commerciali così come le sponsorizzazioni. Rimane la ciambella dei diritti televisivi (ma fino a quando?), mentre i versamenti Uefa sono appannaggio esclusivo di chi partecipa alle coppe europee.

E da lì in poi si apre il vasto capitolo dei rischi: crescita dei costi per salari dei calciatori (10 per cento), rischio da contratti troppo lunghi coi calciatori stessi, rischio da incassi nettamente diminuiti, rischio da credito. Con una preoccupante graduatoria della stima sulle leghe nazionali che perdono maggiormente. La capeggiano Francia e Scozia, con perdita stimata fra il 25 e il 35 per cento. Segue la Svezia, con perdita oscillante fra il 25 e il 30 per cento. E alle loro spalle ecco l’Italia, con perdita stimata fra il 18 e il 25 per cento. Ma intanto in Lega di Serie A credono di potere ancora tirare la corda con Dazn per la concessione del calendario-spezzatino. In bocca al lupo.

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