I loro soldi sono ovunque: squadre di calcio, ristoranti alla moda, petrolio. Hanno conoscenze diffuse: imprenditori di successo e affaristi coinvolti nei misteri d’Italia. «Questi hanno soldi e potere politico inimmaginabile...non è camorra, questi sono a livelli istituzionali, politici, con i tribunali». Ecco riassunta, prendendo in prestito le parole di chi la frequenta, la storia criminale della famiglia Moccia, esponenti della camorra di Afragola, provincia di Napoli. Arrivati in massa nel 2012 nel cuore borghese di Roma, quartiere Parioli, con l’obiettivo di prendersi la città, non militarmente ma con il denaro. «Capito chi è Angelo Moccia?considera che Totò Riina l'hanno giudicato 116 magistrati, Angelo Moccia 160... è gente molto seria...questi c'hanno più soldi di tutta Italia messi insieme». Conversazioni che dovevano rimanere riservate, captate però dalle intercettazioni disposte dalla procura antimafia di Roma e effettuate dal nucleo investigativo dei carabinieri che da tre anni indagano sull’impero della camorra capitale: i Moccia, che hanno delocalizzato tra piazza Navona e il colosseo affari e relazioni con il potere.

Una nuova retata, ieri, ha portato in carcere capi e gregari dell’organizzazione, che secondo i magistrati è mafiosa. Tredici persone indagate, convolte per reati che vanno dall’estorsione, all’intestazione fittizia di beni e esercizio abusivo del credito. Tra i destinatari dell'ordinanza di arresto ci sono anche Angelo e Luigi Moccia, per gli investigatori i capi del clan camorristico. Le indagini del nucleo dei carabinieri hanno svelato anche gli investimenti milionari nel centro di Roma: ristoranti e locali frequentatissimi dai turisti di tutto il mondo, dietro i quali, hanno scoperto i detective dell’Arma, si celano gli interessi del clan.

Denaro e pallone

La domanda per avere in prestito il denaro dei Moccia è alta. Una banca parallela, sistema di credito rapido, che tuttavia ha reso ostaggio decine di imprenditori. A dover restituire il prestito, si legge nelle carte dell’inchiesta romana, anche il figlio del cantante Gigì D’Alessio, Claudio, e l’ex presidente del Mantova calcio, Marco De Sanctis. «Eh ci hai rotto il cazzo hai capito bene, pezzo di merda!»,  è l’insulto rivolto da uno dei Moccia contro De Sanctis nel tentativo di farsi restituire il denaro. Era il 2017, un anno difficile per il Mantova e per il suo presidente. La squadra ha poi fallito l’iscrizione al campionato e De Sanctis prima di lasciare la presidenza ha scritto una lettera a un giornale spiegando le ragioni del suo addio: «Ho provato fino all’ultimo minuto utile a salvare la ditta», scriveva l’ex presidente, che però ometteva di dire ai tifosi che tra i suoi creditori c’erano anche i Moccia. Ecco cosa scrivono a distanza di due anni gli investigatori: «Dalle intercettazione tra Moccia e De Sanctis si comprendeva che costui avesse investito nella squadra di calcio del Mantova i soldi prestati dai Moccia».

Mezzo secolo di storia

Il clan vanta due record: conta la prima donna condannata per mafia nella storia giudiziaria del Paese, si tratta di Anna Mazza “a Vedova” o “la Signora”, scomparsa nel 2017; i suoi padrini sono stati i primi a tentare la strada della dissociazione sul modello dei brigatisti. Una dissociazione che ancora oggi fa discutere esperti del diritto e giuristi. Per alcuni è genuina. Non per i magistrati della procura di Napoli e di Roma, secondo la dissociazione è stata solo un tentativo di confondere le acque. Di certo sappiamo che due anni e mezzo fa il tribunale di Roma ha condannato in primo grado Luigi Moccia a quattro anni e il figlio Gennaro a due riconoscendo l'aggravante mafiosa. L'inchiesta ha svelato l'interesse della famiglia nella distribuzione nel settore della distribuzione alimentare e nel mercato ortofrutticolo della città. L’influenza dei Moccia si estenderebbe- tramite personaggi omonimi a loro legati anche se non imparentati- anche fino al C.a.r. di Guidonia alle porte di Roma, uno dei centri più importanti in Europa per la commercializzazione della frutta e della verdura.

Una truppa di imprenditori a disposizione che ha permesso al clan di entrare nei circuiti che contano della capitale: per esempio nel contrabbando di gasolio. Un affare che vale oro.

Da “Giovannone” a Carboni

La camorra capitale è anche una storia di alleanze. Tra gli indagati nell’ultima inchiesta sui Moccia ricorrono personaggi che collegano il clan ad altre organizzazioni. C’è tale Gennarino Trinchillo, emerso in altre inchieste dell’antimafia di Roma come in stretto contatto con Giovanni De Carlo, detto “Giovannone”: è lui che lega la vecchia guardia della criminalità romana e quella delle cosche siciliane con i Moccia. Saldature tra clan e bande varie che gestiscono i settori della città. Come quella con i Senese, padroni di Roma Est, primi emissari dei Moccia a Roma.

La forza dei Moccia, dunque, sta soprattutto nelle relazioni col potere. I contatti passati e recenti con Flavio Carboni confermano i sospetti di chi indaga. Condannato per il crac del Banco Ambrosiano, vicino a Licio Gelli, coinvolto nell’inchiesta sull’associazione segreta denominata P3 e in intimità con i manager del crack della banca Etruria, Carboni ha incrociato i Moccia molti anni fa, diventando un loro creditore in una storia di prestiti e cemento. Un giro di denaro che, come ha raccontato un collaboratore di giustizia, ha sfiorato il miliardo e mezzo di vecchi lire. Ed è proprio su questo rapporto tra Carboni e i Moccia che le indagini cercheranno di fare luce, anche fuori dal territorio della capitale. Le risposte potrebbero trovarle in Sardegna, regno di Carboni, dove secondo numerosi pentiti di camorra hanno investito anche i Moccia. L’ultimo capitolo, ancora tutto da scrivere, del romanzo “Camorra capitale”.

© Riproduzione riservata