Perché la morte del detenuto malato di diabete che pesava 260 chili si poteva evitare con una misura alternativa

È stato spostato come un pacco da un carcere all’altro, a testimonianza dei limiti dell’edilizia penitenziaria italiana. È finito tutto con il suo decesso al carcere Lorusso e Cutugno di Torino, prova di un senso della condanna che prevarica il diritto alla salute e sfocia direttamente in una pena di morte ufficiosa. Francesco De Leo, 51 anni, era stato condannato per reati di truffa e doveva restare in carcere fino al 2040. Aveva gravi problemi di salute, pesava 260 chilogrammi e questo ha impattato profondamente sulla sua condizione penitenziaria. Piuttosto che sottoporlo a misure alternative al carcere ci si è però accaniti per trovare un istituto dove ci fosse abbastanza spazio per lui. Il 20 ottobre Di Leo è morto per arresto cardiaco, il 198esimo decesso in un istituto penitenziario italiano nel 2025. Il carcere della morte di Modena: quattro suicidi in meno di un mese Chi era Francesco Di Leo Francesco Di Leo, 51enne di origine pugliese e residente a Cuneo, doveva scontare una pena fino al 2040 per reati di truffa. È stato mandato al carcere Marassi, a Genova, ma qui la situazione si è rivelata molto critica a causa della sua precaria condizione di salute, dettata da un’obesità da diabete che lo aveva portato a pesare 260 chilogrammi. Il carcere uccide: 85 suicidi, 231 decessi totali. È l’anno record di morti in cella I suoi diritti, i pochi di cui godono i detenuti in un carcere, sono stati lesi da fattori legati all’edilizia penitenziaria, vere e proprie barriere architettoniche alla sua detenzione. Per Di Leo, per esempio, non c’era abbastanza spazio per entrare nella sala colloqui e questo l’ha privato di uno dei pochi momenti di relativo benessere durante la detenzione, i colloqui di persona con avvocati e familiari. La soluzione trovata è stata quella di farglieli fare in videochiamata dalla sua cella ma questo, insieme ad altre difficoltà di movimento all’interno del carcere ligure, hanno portato a un certo punto al suo trasferimento. Inizialmente è stato assegnato al carcere di Cuneo, ma qui la sua detenzione non è stata possibile sempre per gli stessi problemi di spazio. Nell’istituto di Cuneo non ci stava, nel senso che con la sua carrozzina elettrica non riusciva nemmeno a entrare in cella. A quel punto è stato trasferito in ospedale, dove per qualche settimana ha vissuto ricoverato e piantonato dalla polizia penitenziaria. Poi è stato assegnato al carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Vittima dell’indifferenza La soluzione trovata per tenere in carcere Di Leo, piuttosto che sottoporlo a misure alternative alla detenzione, è stata quella di unire due celle così che ci fosse abbastanza spazio per lui. Una situazione di emergenza e molto precaria per una persona nelle sue condizioni, a cui si sono sommate anche le polemiche del sindacato di polizia Osapp sul numero eccessivo di agenti mobilitati per questo caso. Francesco Di Leo è morto il 20 ottobre nella sua cella del carcere Lorusso e Cutugno di Torino per arresto cardiaco. Un decesso che si poteva evitare, dal momento che è dall’estate che imperversano le polemiche sul trattamento e sull’accanimento a cui è stato sottoposto pur di tenerlo in carcere. «Stava male e lo sapevano tutti», ha denunciato il fratello della vittima, mentre il legale che seguiva il caso, Luca Pace, ha parlato di una «vittima di una diaspora carceraria e dell’indifferenza», rivelando come il suo assistito passasse le giornate buttato su un materassino sottile, senza possibilità di muoversi e fare altro. Detenuti e agenti penitenziari “uniti” dalla stessa condanna: le carceri sono senza dignità Morire di carcere Quello di Francesco Di Leo è il 198esimo decesso all’interno degli istituti penitenziari italiani nel 2025. L’ennesima dimostrazione che di carcere, in Italia, si muore. È come se la pena di morte, la cui abolizione è stata certificata dall’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948, fosse in realtà ancora presente in una versione più invisibile, in via ufficiosa. Affettività in carcere, un percorso a ostacoli: se un diritto diventa una concessione E la situazione è in peggioramento. Il numero di decessi in carcere tocca anno dopo anno nuovi record e lo stesso vale per i suicidi. A oggi, nel 2025, già 68 persone si sono tolte la vita. L’ultimo decesso è quello di Joseph Luki, cittadino nigeriano 40enne e padre di due bambini, che è stato trovato morto nella sua cella dell’istituto di Ariano Irpino. A testimonianza di un’emergenza carcere a cui non sembra si voglia trovare soluzione, come mostra anche l’indicatore per eccellenza del disagio penitenziario, il sovrafollamento. Il numero di detenuti ha superato quota 63mila a fronte di circa 47mila posti disponibili. Nemmeno nel 2020, quando poi scoppiarono le rivolte con i connessi tredici morti, si arrivò a cifre simili.