«Non esiste solo il problema Palamara... La politica deve fare la sua parte... il Csm non può più lasciare margini di opacità». La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, qualche mese fa era stata chiara. Nell’intervista concessa al Corriere della Sera dopo lo tsunami provocato dall’inchiesta penale sull’ex magistrato Luca Palamara mancava, però, una parte della storia: il ruolo interpretato da lei e da altri membri del Csm nel quadriennio 2014-2018 in merito alla grande partita delle nomine degli uffici giudiziari italiani.

Cosa ha fatto Palamara è chiaro. Ma poteva l’ex boss della corrente Unicost fare tutto da solo? Leggendo alcune chat inedite di WhatsApp sequestrate all’ex numero uno dell’Associazione nazionale magistrati, è evidente di no. Anche altri hanno partecipato agli accordi tra correnti interne al Csm. E il loro ruolo deve ancora essere raccontato. In primis quello della Casellati, avvocata padovana, berlusconiana della prima ora e sottosegretario alla Giustizia nei governi del Cavaliere. «Abbiamo sempre deliberato in base al merito» ha affermato quando chi scrive ha scoperto che un suo amico ed ex collaboratore, Filippo Paradiso, aveva organizzato un incontro a tre all’esterno del bar del Csm con il pm Giancarlo Longo, poi arrestato per corruzione, che voleva chiederle una promozione.

I pm di Roma, ha svelato Domani, durante un interrogatorio come persona informata sui fatti hanno chiesto conto alla seconda carica dello Stato anche della nomina di Giovanni Maria Capristo (oggi a processo per tentata concussione) a procuratore di Taranto. I magistrati volevano capire se la scelta di Capristo le fosse stata suggerita da Paradiso, oggi indagato per traffico di influenze illecite proprio per aver speso il nome dell’amica con il fine di ottenere vantaggi personali.

Nel confronto con il procuratore aggiunto Paolo Ielo, Casellati ha escluso di aver puntato sul magistrato su indicazione del poliziotto. All’epoca della nomina era vicepresidente e membro laico in quota Forza Italia della quinta commissione del Csm, quella che decide gli incarichi direttivi, sceglie i capi delle procure e i procuratori aggiunti. La stessa commissione dove, come è emerso dall’inchiesta di Perugia su Palamara, si è giocata la partita decisiva del successore di Giuseppe Pignatone alla procura di Roma. L’incontro tra i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri e Palamara all’hotel Champagne di Roma è l’immagine nitida di una convergenza tra poteri riuniti per decidere le carriere delle toghe.

In quinta commissione

Nelle chat dell’allora capo di Unicost, alcune delle quali ancora inedite, emergono numerosi riferimenti a Casellati. Fino a ottobre 2016 la quinta commissione era presieduta da Lucio Aschettino. I consiglieri erano Claudio Galoppi, in rapporti molto stretti con Casellati, Paola Balducci, Massimo Forciniti e Valerio Fracassi. Questi ultimi erano i rappresentanti del “cerchio magico” di Palamara, così come l’ha definito Massimo Forciniti – amico anche di Paradiso – davanti ai pm di Perugia.

Galoppi è il leader della corrente Magistratura indipendente (Mi), l’ala più conservatrice del Csm. È citato anche nel verbale di interrogatorio di Casellati: «Io accolsi Paradiso nel mio staff a ottobre del 2018 a titolo gratuito, nella qualità di consigliere...In realtà avevo in animo di sostituirlo con il dottor Galoppi alla fine della sua esperienza al Csm come consigliere, cosa che nei fatti è avvenuta, dal gennaio 2019». In pratica Casellati porta Galoppi al Senato dopo aver condiviso con lui l’esperienza in ben due commissioni del Csm, la quinta e la terza.

La corrente Mi è tradizionalmente legata al centrodestra e a Forza Italia. «Sulle nomine c’erano accordi trasversali a cui partecipava anche Mi, l’area del centrodestra inclusa Casellati», spiega una fonte di Unicost ed ex membro del Csm, che ha condiviso alcune di quelle scelte. Casellati, a leggere le chat di Palamara, era certamente considerata da altri magistrati un membro influente. Temuta e rispettata, una vera signora delle nomine. Il deputato di Italia viva Cosimo Ferri, per anni capo indiscusso di Magistratura indipendente e oggi sotto procedimento disciplinare al Csm, scrive a Palamara: «Non ti fidare tanto di quelli di Forza Italia, c’è dietro la Casellati». A Luca Forteleoni, Palamara segnala: «Sono operazioni di disturbo per far saltare gli accordi raggiunti...cerchiamo invece di capire bene che partita vuole giocare la Casellati». La Casellati è una «doppiogiochista», sostiene Forteleoni, che in un’altra chat dice preoccupato: «Ma dopo mi dovrete tutelare perché mi massacreranno... anche al mio interno galoppiani e Casellati».

Da messaggi inediti sembra evidente che uno dei frutti di questi «accordi trasversali» sia pure l’incarico affidato a Caterina Chiaravalloti, figlia di un importante esponente berlusconiano e nominata nel 2017 presidente del tribunale di Latina nel 2017, il secondo ufficio giudiziario più importante del Lazio.

Nel nome di Berlusconi

«Laura era presidente di Rieti fino a che la Casellati non imponesse a tutti quella a Latina... con Magistratura indipendente al suo fianco e tutti i laici», scriveva Marco Mancinetti, consigliere Csm di Unicost. È ancora Mancinetti, l’8 febbraio 2018, a dire che a Latina «la presidente la vedono ben poco...si lamentano». Palamara risponde che «non aveva dubbi sulla Chiaravalloti» e aggiunge senza giri di parole che la responsabilità di quell’incarico è di «Casellati Forza Italia». «Così facciamo fare gli accordi ai napoletani su Cassino e consentiamo alla Casellati di piazzare la Chiaravalloti», si legge in un’altra chat.

La Chiaravalloti, 57 anni, è la figlia di Giuseppe, ex presidente berlusconiano della regione Calabria. Anche lui magistrato ormai in pensione, all’epoca dell’inchiesta Why not si è scontrato con Luigi de Magistris, allora applicato alla procura di Catanzaro. Dai processi Chiaravalloti è uscito vincitore, e ha accusato De Magistris di essere una persona «chiaramente incompetente».

La Chiaravalloti inizia la carriera da giovanissima prima in una procura calabrese. Nel 2013 raggiunge il primo incarico direttivo: presidente del tribunale di Castrovillari-Rossano. Resta lì fino al 2017, quando ottiene la guida del tribunale di Latina, grazie, sostiene Palamara nelle chat, all’appoggio anche della Casellati. «La presidente del Senato al tempo della nomina della Chiaravalloti non sedeva più in quinta commissione, quindi non può aver influito sulla scelta», precisano dall’entourage del presidente del Senato. Ma un ex membro del Csm, confermando il contenuto delle chat, spiega che «gli accordi prescindono dai membri delle singole commissioni».

Il procuratore arrestato

C’è poi il capitolo Capristo. La procura di Roma ha cercato di interpretare i rapporti tra lui e l’ex collaboratore di Casellati, Filippo Paradiso, il cui nome è spuntato pure nell’inchiesta della procura di Potenza guidata da Francesco Curcio che ha portato all’arresto dell’ex procuratore di Taranto. Capristo è diventato capo della procura pugliese ad aprile 2016, votato dalla maggioranza della quinta commissione composta tra gli altri da Galoppi e Casellati, che hanno votato per lui. «Anche su questo nome c’era un accordo su cui convergeva sia Unicost che il gruppo Casellati», aggiunge a Domani la fonte, che preferisce rimanere anonima.

«Sono stata relatrice della pratica relativa alla nomina del procuratore generale di Bari, in quell’occasione la mia proposta era la nomina di Capristo, ma risultò perdente, poi venne nominato a Taranto, anche se in questo caso non ero io relatore, Paradiso che io ricordi non ha interloquito in ordine alla domande presentate da Capristo», spiega Casellati nell’interrogatorio. È vero che la presidente non è stata relatrice di quella proposta di nomina, ma il suo voto con quello del suo fedelissimo Galoppi sono due dei sette totali che hanno garantito a Capristo di guidare la procura di Taranto.

Feudo Veneto

Anche sulle nomine in Veneto è stata necessaria la convergenza di Casellati e delle toghe conservatrici di Mi. Per esempio sul procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi. La sua candidatura è stata portata avanti dalla quinta commissione quando l’avvocata padovana di Forza Italia ne era vicepresidente, ma Cherchi viene nominato ufficialmente solo nel 2017. «Cherchi era un nostro nome, sul quale c’è stata un’intesa con Mi e Casellati», conferma la fonte di Unicost, di cui Cherchi è esponente importante. Poi aggiunge: «Il Veneto è la regione della Casellati, ovvio quindi che potesse avere una sensibilità particolare per quegli uffici».

Nelle chat non mancano altri riferimenti a magistrati vicini e stimati dalla donna di Forza Italia. Paolo Fietta, anche lui di Unicost, scrive a Palamara: «Ti confermo la caratura superiore di Paola Di Francesco, stimatissima anche dalla Casellati che l’avrebbe voluta con sé ai tempi del ministero». Di Francesco verrà nominata al tribunale civile di Rovigo. E poi c’è Vicenza, la città dello scandalo della Banca popolare dell’industriale Zonin. Qui nel 2015 è stata nominata procuratore aggiunto Orietta Canova, moglie del professore Santo Davide Ferrara, un ex direttore della scuola di Medicina legale di Padova e molto vicino al già numero uno della sanità veneta Domenico Mantoan, oggi all’Aifa.

Anche la promozione di Canova, conferma l’ex componente del Csm, avrebbe soddisfatto la Casellati. La procuratrice aggiunta ha però rischiato di decadere dal ruolo perché il Tar nel 2017 si era espresso contro quella nomina, bacchettando il Csm. Canova ha atteso a Vicenza la decisione del Consiglio di stato, ma non c’è stato bisogno della sentenza d’appello: nel frattempo la “concorrente” di Canova alla sede vicentina, Paola Mossa, è infatti stata nominata procuratrice aggiunta a Venezia. Canova così è rimasta a Vicenza, nella provincia dove ha sede la società del marito.

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