È da otto mesi che chi avrebbe voluto interrompere una gravidanza nell’unico ospedale pubblico di Caserta, il Sant’Anna e San Sebastiano, è stato costretto a rivolgersi altrove. Nessun medico non obiettore disponibile e nessuna alternativa offerta, ma nemmeno un bando e nuove assunzioni.

La sospensione del servizio di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) in città, denunciata da associazioni locali, reti transfemministe e pro-choice, rappresenta però l’apice di una crisi strutturale regionale in cui il diritto all’aborto, garantito dalla legge 194 del 1978, è sempre più spesso un diritto, nella pratica, negato.

Cosa è successo a Caserta

Quando a ottobre l’unico ginecologo non obiettore del Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta si è dimesso, l’ospedale si è ritrovato senza medici che praticassero l’Ivg. Con il passare del tempo, però, l’azienda sanitaria non ha indetto alcun concorso per assumere un medico che prendesse il suo posto né ha sostituito il personale obiettore, spiegano le associazioni.

«Peraltro l’abbiamo scoperto per pura casualità», dice Ambra Zerrillo, della Collettiva Transfemminista Caserta, un gruppo impegnato nella promozione dei diritti delle donne, delle persone trans e soggettività non conformi.

Durante un accompagnamento, delle colleghe di un’altra associazione si sono accorte che l’ospedale non offriva più Ivg, racconta Zerrillo, «allora abbiamo deciso di fare un controllo incrociato e abbiamo avuto conferma che il servizio era bloccato, da mesi. E il fatto che non ci fosse stata alcuna comunicazione ufficiale in tutto questo tempo è già un primo problema».

In assenza del servizio pubblico, l’unico centro Ivg attivo nella zona è rimasto quello di una struttura privata convenzionata, la Sant’Anna. La clinica, però, non ha il permesso dalla regione di fornire Ivg farmacologiche, che sono meno invasive e possono essere gestite in parte anche fuori dal contesto ospedaliero, ma può effettuare solo quelle chirurgiche, che richiedono una sala operatoria, anestesia e assistenza sanitaria.

«Se si avesse avuto la possibilità di fornire parte del servizio in modalità farmacologica, si sarebbe potuto offrire assistenza più ampia e sfiatare un po’ l’attuale sovraccarico», spiega Silvana Agatone, ginecologa e presidentessa di Laiga (Libera associazione italiana ginecologi e ginecologhe per l’applicazione della legge 194/78).

I professionisti della clinica Sant’Anna, pur accedendo a fondi regionali che coprono il costo delle interruzioni di gravidanza, si sono ritrovati a non riuscire più a sostenere il numero di pazienti, spiega Giorgia Alazraki, ostetrica e vicepresidentessa di Laiga. «Come associazione abbiamo avuto delle richieste di aiuto dai colleghi ginecologi della clinica, che ci hanno detto “siamo in difficoltà”», dice la dottoressa Alazraki.

Alazraki spiega come siano diversi gli ospedali italiani che, per l’alto numero di obiettori, di fatto non garantiscono il diritto all’Ivg. Ad Ascoli Piceno, ad esempio, in assenza di medici non obiettori, è stata attivata una convenzione con l’Aied (Associazione italiana per l’educazione demografica), che ha coinvolto professionisti da altre regioni, creando un sistema parallelo per garantire almeno una giornata settimanale di Ivg.

In Sicilia, invece, regione che ha tra più alti tassi di obiezione della penisola, una norma regionale approvata a maggio impone l’indizione di concorsi riservati a medici non obiettori, in modo da assicurarne una presenza minima negli ospedali. «A volte mettere pressione mediatica aiuta a far smuovere le cose», dice la dottoressa Alazraki.

Dopo le proteste delle associazioni, il 15 giugno è stato immesso in servizio a Caserta un ginecologo non obiettore che, a luglio, farà ripartire il servizio Ivg pubblico. Servizio che dovrebbe andare a regime da settembre quando, come ha comunicato il manager del Sant'Anna e San Sebastiano Gaetano Gubitosa, entreranno in organico altri due medici non obiettori.

«Noi siamo felicissime che la mobilitazione abbia avuto un impatto, ma ovviamente questo non ci basta. Vogliamo innanzitutto spiegazioni sul perché il sistema di monitoraggio istituzionale non abbia funzionato per tutto questo tempo» dice Zerrillo, «poi bisogna estendere l’offerta Ivg farmacologica per evitare che uno stop del genere accada di nuovo, perché le lacune regionali non sono state risolte».

L’accesso all’Ivg in Campania

Non è raro che in un ospedale sia presente un solo ginecologo a garantire l’intero servizio. In Campania infatti l’accesso all’Ivg è da tempo profondamente compromesso a causa dell’alto tasso di obiettori.

In un quadro nazionale che già riporta circa il 60,5  per cento dei ginecologi come obiettori, nelle regione, secondo dati aggiornati, questa percentuale arriva al 77,3  per cento. Così, malgrado i tassi di aborto siano relativamente bassi, il carico di lavoro per ginecologi non obiettori è eccessivo: alcune strutture campane registrano fino a otto interventi Ivg a settimana per ogni medico disponibile, con tempi di attesa dilatati e percorsi complicati per le pazienti. Quando poi manca personale, non solo medico ma anche anestesista e infermieristico, interi centri devono ridurre, fino a sospendere, il servizio.

La Campania poi, oltre all’alto tasso di obiettori, presenta anche un numero di centri Ivg tra i più bassi in tutta Italia: secondo le rilevazioni, sarebbero solo 1,5-1,9 punti Ivg per 100mila donne in età fertile, rispetto a una media nazionale superiore ai 2.5. E in un’offerta di servizi già carente vanno inseriti anche i consultori familiari, che nella regione non offrono alle donne la possibilità di abortire in struttura.

La conseguenza più acuta di questo squilibrio è la migrazione sanitaria, con molte donne costrette a rivolgersi ad ospedali in altre province o addirittura in altre regioni, lasciando in difficoltà soprattutto le più fragili, quindi le giovanissime o le straniere, con scarse risorse economiche o difficoltà negli spostamenti. «E in questi casi l’accesso a un diritto diventa molto macchinoso, praticamente una corsa a ostacoli», dice Zerrillo.

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