Nell’indagine su Hasib Omerovic, l’uomo precipitato dalla finestra della sua stanza il 25 luglio scorso durante una visita, senza mandato, di alcuni agenti di polizia, le certezze sono ancora poche. L’indagine per tentato omicidio della procura di Roma – Hasib è tuttora ricoverato in gravi condizioni – non ha ancora escluso alcuna ipotesi: si è buttato oppure è stato spinto dopo una colluttazione? In attesa di capire la dinamica restano diversi punti oscuri in questa storia che si arricchisce di una novità rilevante.

I poliziotti, prima di recarsi nell’appartamento sono andati dai vigili urbani della zona. Il comando è poco distante dalla casa di Hasib, un complesso di palazzine popolari nel quartiere Primavalle, periferia ovest della capitale.

Gli agenti hanno chiesto informazioni sul suo conto e per capire dove abitasse. Il funzionario dei vigili che li ha accolti è stato sentito dalla squadra mobile che conduce l’inchiesta coordinata dalla procura, ma non ha fatto altro che ripetere quanto detto all’epoca ai poliziotti: non aveva ulteriori informazioni perché nei registri della municipale su Hasib Omerovic c’è solo un riferimento, risalente al 2019, quando ha cambiato la residenza. Nulla più, solo un cambio di residenza, nessuna segnalazione per molestia o atti violenti.

Alla ricerca di Hasib

L’interlocuzione con i vigili di quartiere mostra che gli agenti non sapevano neanche l’indirizzo di residenza di Hasib e sono andati in giro a raccogliere informazioni. Avvertiti e sollecitati da chi? Forse un eccesso di zelo per tutelare il ragazzo dopo la pubblicazione di un post su Facebook, sul gruppo privato “Primavalle”, in cui un utente denunciava presunte molestie di Hasib nei confronti di alcune donne del quartiere e invitata a prendere provvedimenti? Oppure sono stati convinti a intervenire da altri, che di quelle voci erano a conoscenza e avevano saputo di possibili vendette nei confronti del disabile di origine rom?

Il silenzio di chi segue l’inchiesta è totale a tal punto da non voler confermare o smentire la notizia pubblicata dal Corriere della Sera. La testata ha scritto che i 4 poliziotti presenti nell’appartamento sono indagati. Dalla procura capitolina nessuna comunicazione ufficiale.

Del resto lo stesso ufficio, nelle prime ore in cui era emerso il fatto, non confermava l’esistenza di un fascicolo aperto con l’ipotesi di tentato omicidio. E questo nonostante esistesse già un documento giudiziario aperto contro ignoti. Non è chiaro se siano gli effetti della nuova legge sulla presunzione di innocenza, che impedisce ai magistrati di parlare con i cronisti, oppure è solo imbarazzo per un caso che potrebbe svelare responsabilità di esponenti delle forze dell’ordine.

Il barista che sapeva tutto

Gli agenti dovranno chiarire perché si trovavano nell’appartamento senza un mandato firmato dall’autorità giudiziaria e forse addirittura in borghese. E dovranno anche spiegare perché si sono recati da un ragazzo disabile, sordomuto, quindi un soggetto assai fragile, senza farsi accompagnare da una figura di sostegno, per esempio i servizi sociali.

Le ipotesi al vaglio degli inquirenti sono due: gli agenti hanno raccolto sui social l’umore della piazza virtuale e hanno percepito un pericolo reale per l’incolumità di Hasib, perciò hanno pensato di instaurare con lui un dialogo per arginare alcuni suoi atteggiamenti; oppure la chiave per decrittare il mistero è il barista, Paolo Soldani, titolare del locale nella piazza centrale di Primavalle, che ha avvertito la sorella di Hasib del pericolo che correva se avesse continuato a infastidire le donne della zona.

Soldani è stato sentito il 25 agosto, un mese dopo la caduta del ragazzo dalla finestra. Ha rilasciato un’intervista spiegando che aveva avvertito la sorella di Hasib del rischio di vendette e che era sua intenzione parlarci per farlo smettere. «Purtroppo siamo arrivati tardi, hanno fatto il lavoro sporco», ha detto alla donna il giorno dopo che Hasib era precipitato da otto metri. Chi indaga ha chiesto conto di questa frase al titolare del bar “Er Barone”. Per capire chi volesse fare del male ad Hasib.

Er Barone

Soldani ha lavorato saltuariamente anche come buttafuori, socia del bar è la moglie, che in alcune informative dell’antimafia è considerata una persona molto legata a emissari della ‘ndrangheta radicati a Primavalle. Prima delle retate della Direzione investigativa antimafia i clan (Crea e Alvaro) controllavano il territorio senza mai ostentare il proprio potere. Tutto doveva essere in ordine.

Soldani ha rilevato il bar della cosca che prima si chiamava “Gran caffè Cellini” e oggi “Er Barone”. La moglie lavorava già lì ed era molto legata ai titolari finiti nell’indagine antimafia. Nel locale c’è ancora traccia, se non fisica certamente simbolica, della vecchia gestione del boss: il caffè servito è della stessa marca di quello che gli ‘ndranghetisti imponevano in giro per la città.

Soldani, dunque, sapeva che l’uomo era un obiettivo per qualcuno. Le voci corrono nel quartiere e il suo bar è un punto di ritrovo. Resta da capire se il titolare abbia appreso delle voci per strada oppure leggendo il post pubblicato sui social.

Nella palazzina

La famiglia di Hasib non vive più nella palazzina di Primavalle. Sono andati via, avevano paura. Da un mese l’appartamento è vuoto. Dal cortile in cui il ragazzo è stato fotografato mentre giaceva in una pozza di sangue, alzando lo sguardo, si notano i vetri rotti della finestra da dove è caduto. «Erano già così, le avevano sfondate loro durante un litigio», dice una vicina.

Qui nessuno ha visto o sentito niente, c’è chi era al mare, chi al lavoro. In effetti era il 25 luglio e il fatto è accaduto intorno all’ora di pranzo. Nessuno dei condomini però alimenta sospetti sulle molestie nei confronti delle ragazze della zona.

«In questo palazzo non ha mai dato fastidio a nessuno in quei termini, altrimenti due ceffoni se li sarebbe presi», dice un signore sulla cinquantina che vive nella palazzina. «Il problema non erano le molestie di cui non sappiamo nulla, era la spazzatura che raccoglievano in giro e portavano a casa o lasciavano nel cortile, faceva na’ puzza...», aggiunge una signore dal balcone del primo piano.

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