La città di Catania aveva a disposizione 31,3 milioni di euro per affrontare i problemi legati al rischio idrogeologico, ma non ha speso neppure un euro del cosiddetto “Patto città di Catania”.

È quanto emerge dalla relazione “Gli interventi delle amministrazioni dello stato per la mitigazione del rischio idrogeologico”, approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato della Corte dei conti, diffusa solo pochi giorni fa.

Numeri che fanno aumentare ancora di più la rabbia di fronte alle immagini che arrivano dalla città siciliana, devastata dal maltempo che ha colpito questa parte dell’isola e che ha già provocato, nella provincia catanese, due morti e un disperso. La conta dei danni materiali arriverà tra qualche giorno.

Un paese fragile

Ma Catania è solo l’ultima pagina di cronaca di un paese che sistematicamente mostra le sue fragilità. Il Rapporto 2018 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” certifica che sono oltre sette milioni gli italiani che vivono in zone a rischio di frane e alluvioni. Un rischio che riguarda il 91 per cento dei comuni italiani.

Una fragilità dovuta soprattutto allo sviluppo antropico disordinato e spesso speculativo, alla scarsa manutenzione del territorio e ai fenomeni sempre più frequenti di piogge alluvionali dovute in larga misura ai cambiamenti climatici. L’Italia è il paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa. 
Secondo il Climate risk index 2020, pubblicato annualmente dalla ong tedesca Germanwatch, l’Italia si classifica al 21° posto a livello globale per impatti da eventi climatici estremi nel 2018, al 28° per numero di morti causati dalle conseguenze di tali eventi, mentre è all’8° posto per perdite economiche in milioni di dollari (valore assoluto per persona) riferibili a disastri ambientali e al 27° per perdite del Pil. 
Nel 2018 ben 148 eventi hanno causato oltre 4.500 sfollati e 32 vittime. Nel 2019 le vittime sono state 42, trascinate via da fiumi d’acqua o fango.

Alla vigilia di Cop26

A pochi giorni dalla Cop26 di Glasgow, le immagini di Catania e il rapporto della Corte dei conti assumono un significato particolare. Perché mostrano chiaramente che i soldi non mancano, ma gli enti pubblici non sono in grado di tramutarli in progetti concreti per mettere in sicurezza il territorio. 
«La cifra stanziata in 20 anni dal ministero dell’Ambiente (oggi ministero della Transizione ecologica) per far fronte al dissesto idrogeologico in Italia, ammonta a circa 7 miliardi di euro per un totale di oltre 6.000 progetti finanziati su un totale di richieste che superano i 26 miliardi di euro, cifra che rappresenterebbe una stima del costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale» si legge nel lungo documento redatto dalla magistratura contabile.

La Corte ha calcolato che ogni cantiere dura in media 4,6 anni. Così la scarsa capacità di spesa, la lentezza nell’attuazione degli interventi, la vischiosità dei processi decisionali, la mancanza di una vera pianificazione del territorio, la carenza di profili tecnici adeguati all’interno degli enti territoriali rappresentano i punti dolenti del problema dissesto in Italia.
In dieci anni (dal 1999 al 2019) la Sicili ha ricevuto circa 789 milioni di euro ed è la regione a cui sono state assegnate le maggiori risorse, seguita dalla Lombardia con 598 milioni di euro, dalla Toscana (591 milioni), dalla Campania (486 milioni) e dalla Calabria con 452 milioni di euro.
Gli interventi sono spesso accompagnati da di sigle, nomi altisonanti, decreti, norme attuative, piattaforme informatiche ad hoc, ma troppo spesso le risorse, in assenza di tecnici e amministrazioni in grado di produrre progetti cantierabili, rischiano di rimanere nelle casse dello stato.

Nonostante le semplificazioni introdotte, restano, infatti rallentati sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali. Così la Corte analizza anche su “Proteggitalia”, il Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico nato nel 2019, nato con l’intento non solo di operare una ricognizione delle risorse nazionali ed europee, ma di superare l’approccio emergenziale al tema del dissesto attraverso l’individuazione di misure di emergenza, di prevenzione, di manutenzione e organizzative, gestite per competenza da più Amministrazioni statali.

La sfida del Pnrr

Anche in questo caso sono i numeri a mostrare le difficoltà dei comuni. Nel 2019 a fronte di un'assegnazione di 800 milioni di euro e l’approvazione di 18 piani di intervento è stato speso solo il 13 per cento delle risorse. 
«Il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico rappresenta in misura crescente un’emergenza nazionale e una vera priorità per il paese» scrive la Corte dei conti e  aggiunge «non è un caso che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) gli dedichi specifica attenzione nell’ambito della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, destinando dal 2020 al 2026, un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del ministero della Transizione ecologica per progetti già in essere, con risorse esistenti nel bilancio e 1,200 miliardi della Protezione civile, di cui 800 milioni costituiscono risorse aggiuntive».

A fronte di questa ulteriore iniezione di liquidità in arrivo dalla Ue, la Corte auspica che avvenga finalmente un cambio di passo nella gestione delle risorse con uno snellimento delle procedure e dei processi decisionali dove spesso si impantanano le pratiche. 
E mentre gli occhi sono puntanti sulla Sicilia, gli ambientalisti a pochi giorni dalla Cop26 non ci stanno. «Basta parlare di maltempo e di eventi non prevedibili. La causa di ciò che accade sempre più spesso anche nel nostro paese sono i cambiamenti  climatici – dice Marica Di Pierri, attivista, presidente Asud e curatrice del saggio “La causa del secolo” – Dobbiamo fare pressione attraverso tutti gli strumenti in nostro possesso per chiedere alle istituzioni di agire con decisione. In Italia, come in molti altri paesi del mondo, la società civile ha fatto causa allo stato per chiedere di moltiplicare gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. Il 14 dicembre ci sarà la prima udienza presso il tribunale civile di Roma della “causa del secolo”, l’azione legale italiana, promossa da 203 cittadini e associazioni contro lo stato, nell’ambito della campagna Giudizio universale per salvare l’Italia dalla catastrofe climatica».

© Riproduzione riservata