La semifinale tra Barcellona e Inter non è solo una questione di coppe e finali da conquistare, è la rappresentazione di un calcio a due facce. Chi inseguiva il triplete (l’Inter) ora si aggrappa all’orgoglio per non finire nello sconforto di un fallimento. E chi del triplete sente già la consistenza forgiata nel fuoco (il Barcellona) sa che il rischio è scottarsi e rimanerci male
La resa dei sogni. La semifinale di Champions League tra Barcellona e Inter non è solo una questione di coppe e finali da conquistare, è la rappresentazione di un calcio a due facce. Chi inseguiva il triplete (l’Inter) ora si aggrappa all’orgoglio per non finire nello sconforto di un fallimento.
E chi del triplete sente già la consistenza forgiata nel fuoco (il Barcellona) sa che il rischio è scottarsi e rimanerci male. Il calcio si regge sulle utopie e il triplete è forse la più grande. Vincere tutto, vincere sempre. Just do it, ti dicono. Già, come no.
La dura legge del gol
Ne sa qualcosa l’Inter che in un giro di valzer un po’ sciagurato (tre sconfitte di fila contro Bologna e Roma in campionato e Milan in Coppa Italia) ha visto svanire con un colpo di spugna primo posto in A (ora c’è il Napoli) e finale di coppa nazionale. Simone Inzaghi, tra aplomb e semplicità, nel suo stile, ha allargato le braccia: «Non ci siamo abituati. Dobbiamo ritrovare lucidità».
Tutto il contrario il Barcellona di Hans Flick che una coppa (la Copa del Rey) l’ha vinta da poco (steso il Real Madrid al 116’) e poco gli manca per vincere la Liga (sarebbe la numero 28 della storia). Poi, appunto, c’è la Champions. Una stella polare da raggiungere per vedersi grandi. Flick non ha nascosto il desiderio, ma ha messo le mani avanti perché con il pallone non si può mai sapere: «Il triplete è un obiettivo reale. Ma il calcio a volte è un po’ pazzo».
Oltre la gloria, i soldi
C’è dunque molto in questa semifinale di Champions League. Compresi i soldi. Il Barcellona è un gigante che cammina con qualche fragilità: quest’anno si prevedono utili, ma il club deve ancora saldare quasi due miliardi di euro tra prestiti, obbligazioni e pagamenti arretrati. Per respirare ha dovuto vendere alcuni pezzi del suo futuro: operazioni straordinarie per cedere parte dei diritti tv e delle attività digitali. Intanto il Camp Nou è un cantiere aperto, un tempio in costruzione che pesa sui conti. La Champions, più che mai, è la stampella che deve reggere tutto.
Anche l’Inter cammina sull'orlo del rischio. Oaktree, il fondo americano che ha finanziato il club, ha aumentato la sua presenza nei conti nerazzurri. E l’Inter ha ancora da ripagare un grande debito: oltre 400 milioni di euro, in scadenza tra meno di due anni. I soldi della Champions sono fondamentali: più di 113 milioni già incassati, a cui si sommano gli incassi record di San Siro, come quello del ritorno dei quarti contro il Bayern.
Milano e Barcellona
Pure per l’Inter la corsa europea non è soltanto gloria. E anche le due città raccontano tutto questo senza tanti giri di parole. Milano e Barcellona non si assomigliano, ma condividono la stessa corsa affannata verso il futuro. Barcellona si ribella all’invasione dei turisti, è la città delle scritte «tourist go home», del movimento per il diritto alla casa, e che sta rischiando di perdere la sua anima tra alberghi di lusso e affitti stellari.
Milano rincorre il suo boom edilizio, anche se in molti restano tagliati fuori. I prezzi delle case sono schizzati alle stelle, così tanto da rendere il sogno dell’home sweet home irraggiungibile. Per tanti, comunque sempre per troppi. Due città che inseguono modelli globali e che forse si chiedono se ne valga davvero la pena.
Lautaro vs Yamal
In mezzo ci sta il calcio, come sempre. Per l’Inter l’idea di un triplete era diventata un mezzo di potenza, un segno di grandezza. Nel 2010, quando lo vinse José Mourinho mettendo Samuel Eto’o anche terzino, era un’Inter diversa, sentimentale, era l’Inter di Massimo Moratti, che spendeva tutto e anche di più pur di essere felice. Lui e il mondo che gli ruotava attorno. Un papà buono che ha lasciato in eredità trofei.
Oggi le cose sono cambiate. Inzaghi ha cercato la crescita dei suoi giovani per restare grande senza aggravare più di tanto le spese del club. Alessandro Bastoni, Nicolò Barella, Federico Dimarco, Davide Frattesi. Nessuno di loro è un astro nascente.
Hanno già fatto molto per il club e per il calcio, sono diventati colonne di una squadra che si è costruita un pezzo per volta, ma senza l’aiuto di una cantera illustre. Il trascinatore è Lautaro Martinez, capitano e simbolo della squadra.
A Barcellona invece si respira un’altra aria. Lamine Yamal è il volto dell’utopia catalana: 17 anni (è del 2007), oggi alle 100 presenze con la prima squadra, un talento così luminoso da evocare paragoni proibiti con Lionel Messi e Pelé. Lo dicono gli altri, Yamal non rischia nessuna cacciata dall’Eden del calcio per superbia.
«Io non mi paragono con nessuno, e ancora meno con uno come Messi. Io provo solo a migliorarmi, a godermi il mio cammino. Leo lo ammiro perché è stato il miglior giocatore della storia, il resto lo lascio a voi». Yamal ci crede e sta facendo di tutto per diventare il più forte giocatore al mondo. «La paura l’ho lasciata nel parcheggio di Mataró tanti anni fa», ha detto.
Accanto a lui c'è la generazione del 2006, quella che ha appena conquistato la Uefa Youth League (contro il Trabzonspor) con Ibrahim Diarra, Quim Junyent e Arnau Algaba. Un vivaio che produce bellezza e risultati mentre il club combatte contro gli affari. E a proposito di utopie da triplete: il Barcellona può vincere l’Europa con tutte e tre le sue squadre. I giovani lo hanno già fatto. Il Barca femminile, come i maschi, gioca per gli stessi obiettivi. Vanguardia l’ha chiamata La utopìa tripletista.
Crederci sempre
Intanto l’Inter non riesce più a essere intensa né a dettare il ritmo partita. Non ha perso coraggio, ma il superpotere dell’invincibilità quello forse sì. Inzaghi ha tagliato corto anche dopo il ko contro la Roma: «Non serve parlare ma dobbiamo guardare noi stessi e cercare di recuperare energie fisiche e mentali. Ora la testa va al Barcellona, che conosciamo, e andremo lì con rispetto, non con paura».
Nelle ultime tre partite i nerazzurri non hanno segnato nemmeno un gol. Non accadeva dal febbraio 2012 (dato Opta), cioè da quando i nerazzurri ne persero cinque fra serie A e Champions League con Claudio Ranieri in panchina. Per molti è colpa del fisico, per altri solo un crollo mentale. Un successo contro il Barcellona può ribaltare tutto.
Secondo The Athletic, in Champions l’Inter risulta più lenta rispetto a tutte le altre squadre della competizione (eccezion fatta per il Manchester City di Pep Guardiola). Il Barcellona invece va veloce, eccome. Nel 2025 ha perso solo una volta: nel ritorno dei quarti di Champions League contro il Dortmund, ma dopo aver vinto 4-0 all’andata e con in campo le seconde linee. Per il resto: 23 vittorie, 4 pareggi, e in Liga l’ultima sconfitta è arrivata il 21 dicembre contro l’Atletico di Madrid (al 96’). A volte, però, non importa come arrivi alla sfida, conta solo continuare a crederci.
Perché il calcio è questo: crederci anche quando la logica dice il contrario. «È una stagione difficile: vogliamo vincere qualcosa perché abbiamo una grandissima squadra», ha detto Henrikh Mkhitaryan alla Uefa. L’utopia resta quello che è sempre stata: un lampo di possibilità che abbaglia, senza promettere niente.
Il triplete per il Barcellona non è una necessità. È qualcosa di più simile a una tentazione, a qualcosa di irresistibile, a un sogno che si lascia inseguire perché, se anche svanisse all’ultimo respiro, avrebbe comunque riempito il viaggio. Per l’Inter il triplete non è mai stato un diritto da rivendicare, semmai una magia da rinnovare contro i pronostici, contro ogni logica. E adesso che non c’è più? Va bene lo stesso.
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