Le scuole hanno appena riaperto e si continuano a rilevare criticità nel percorso di riavvio della didattica in presenza. Il 13 agosto scorso, il ministero dell’Istruzione ha trasmesso a dirigenti scolastici e altri soggetti un verbale del Comitato tecnico scientifico (Cts) contenente alcune «delucidazioni circa le misure di protezione» necessarie per garantire lo svolgimento dell’attività scolastica. Tra le misure «assolutamente opportune» è raccomandato «l’utilizzo dell’applicazione Immuni», la cui adozione «da parte di tutti gli studenti ultra quattordicenni, di tutto il personale scolastico docente e non docente, di tutti i genitori degli alunni» era stata già consigliata dal Cts. Secondo quest’ultimo, «l’impiego congiunto di azioni di sistema, di monitoraggio clinico-laboratoristico, dell’applicazione Immuni» è «uno dei punti chiave della strategia complessiva di prevenzione e monitoraggio del mondo della scuola».

Il flop di Immuni

Immuni è il nome dell’applicazione che dovrebbe servire a ricostruire la catena dei contagi - individuando a ritroso chi sia entrato in contatto con una persona positiva al Covid-19 - e a inviare, mediante un operatore sanitario, un alert ai dispositivi la cui prossimità sia stata registrata nei giorni precedenti. L’app di contact tracing aveva suscitato polemiche nei mesi scorsi, specie in tema di privacy. Di fatto, istituzioni italiane ed europee avevano dimostrato sin dall’inizio come la normativa vigente - regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) e non solo - consentisse di bilanciare salute e tutela dei dati personali, indicando a questo fine i princìpi da rispettare (raccolta solo dei dati necessari; volontarietà della installazione e dell’uso della app; preferenza per sistemi basati su dati di prossimità, piuttosto che sulla geolocalizzazione; temporaneità dell’utilizzo e cancellazione dei dati entro un termine certo ecc.). Tali princìpi sono stati recepiti nella norma con cui si è introdotto il tracciamento dei contatti stretti via app. Di fatto, l’applicazione ha finora avuto scarso successo - poco più di 5 milioni di download (mentre i dati sugli effettivi utilizzatori restano opachi) - forse perché non c’è garanzia che, entro tempi certi, il soggetto allertato sia sottoposto a verifica circa la sua positività al virus e non debba, invece, solo restare in isolamento per quattordici giorni.

Minori e rischi operativi

Siccome ora si invita a scaricare l’app per garantire la ripresa della scuola in sicurezza, occorre qualche precisazione, da un lato, circa il suo utilizzo da parte di minori, dall’altro, su alcuni problemi operativi che l’alert via app potrebbe determinare per l’attività scolastica. Innanzitutto, sul sito ufficiale di Immuni, c’è una parte dedicata: «Devi avere almeno 14 anni per usare Immuni. Se hai almeno 14 anni ma meno di 18, per usare l’app devi avere il permesso di almeno uno dei tuoi genitori o di chi esercita la tua rappresentanza legale e avvisarli immediatamente nel caso dovessi ricevere la notifica di allerta di essere stato a contatto stretto con una persona poi risultata positiva al Covid-19». Il Gdpr stabilisce che il consenso possa validamente essere prestato dai 16 anni in su, ma consente agli stati di modulare tale limite tra i 13 e i 16 anni: in Italia, è stato fissato a 14 anni. Ancora riguardo ai minori, il Gdpr afferma che essi «meritano una protezione specifica» e, pertanto, «qualsiasi informazione e comunicazione dovrebbe utilizzare un linguaggio semplice e chiaro che un minore possa capire facilmente». Parimenti, il Garante della privacy, con specifico riferimento all’uso di Immuni anche da parte di minori ultra quattordicenni, ha raccomandato «di prestare particolare attenzione alle informazioni da fornire e al contenuto dei messaggi di avvenuta esposizione a rischio di contagio».

Al di là di questi aspetti, si segnala un profilo critico. Nei mesi scorsi, il Garante italiano e il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb) avevano sottolineato che download e utilizzo dell’app devono essere liberi e volontari. Il primo aveva precisato che, «per garantire la reale libertà (e quindi la validità) del consenso al trattamento dei dati, esso non dovrebbe risultare in alcun modo condizionato»; e l’Edpb che «il consenso non dovrebbe essere considerato liberamente espresso se la persona non ha l’effettiva possibilità di rifiutare o di revocare il proprio consenso senza subire pregiudizio». Sulla base di ciò, sorge il dubbio circa l’assenza di condizionamento, anche solo percepito, dell’alunno cui la richiesta di utilizzare l’app sia fatta da parte di chi egli senta come “superiore”, vale a dire un suo insegnante. In altri termini, la libertà del consenso per scaricare e usare l’app potrebbe risultare non piena nell’ambito di un rapporto squilibrato. Lo stesso Garante per la privacy, ad altro riguardo, aveva rilevato la necessità di evitare pericolose «servitù volontarie». Anche per questo è necessario un particolare controllo da parte dei genitori, ai quali spetta almeno formalmente il compito di dare «il permesso» ai figli minori circa l’uso dell’applicazione, come specificato sul sito di Immuni.

Ancora troppi dubbi

Scendendo sul piano dell’uso concreto dell’app in ambito scolastico, si pone un tema ulteriore. Nelle Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di Sars-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia, si prevede che «nel caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o un sintomo compatibile con Covid-19», l’operatore scolastico avvisi il referente scolastico e parta un’apposita procedura. Se il test diagnostico fatto all’alunno è positivo, «si avvia la ricerca dei contatti e le azioni di sanificazione straordinaria della struttura scolastica (…). Il referente scolastico Covid-19 deve fornire al Dipartimento di prevenzione l’elenco dei compagni di classe nonché degli insegnanti del caso confermato che sono stati a contatto nelle 48 ore precedenti l’insorgenza dei sintomi. I contatti stretti individuati dal Dipartimento di prevenzione con le consuete attività di contact tracing, saranno posti in quarantena per 14 giorni».

Quindi, tra quando si rileva il sintomo e quando perviene l’esito del test la classe continua regolarmente la didattica. E cosa accade qualora, nel mezzo di una lezione, a uno studente squilli l’alert di Immuni, per un contatto forse avvenuto chissà dove? Operatore e referente scolastico devono comportarsi come nel caso di sintomi da Covid-19 o in modo diverso? Forse sarebbe stato necessario prevedere anche questa ipotesi, per non lasciare adito a dubbi specie per le responsabilità giuridiche connesse, tenendo tuttavia presente che, come precisato pure dal Garante, sono possibili “falsi positivi” e “falsi negativi”.

E ancora, le citate Indicazioni operative prevedono la procedura da seguire nel caso di «temperatura corporea al di sopra di 37,5°C o un sintomo compatibile con Covid-19» per un operatore scolastico, che è simile a quella indicata per gli alunni, e dispongono che egli abbia «priorità nell’esecuzione dei test diagnostici», evidentemente per motivi di continuità scolastica oltre che di contenimento del virus.

Ma cosa accade se l’operatore è raggiunto da alert dell’app Immuni, anche in questo caso per un contatto forse avvenuto chissà dove? Avrà comunque priorità nell’effettuazione di esami diagnostici, come nelle ipotesi di cui alle Indicazioni operative? E, se così fosse, ciò come si concilierebbe con la norma, sopra citata, secondo la quale è comunque assicurato il «rispetto del principio di parità di trattamento» tra chi usa l’applicazione e chi no? Di nuovo, sarebbe stato necessario un chiarimento per dirimere i dubbi.

Le domande sono ancora tante. E la scuola sta per cominciare.

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