Giovanni Peluso è un ex agente, finito in carcere a Santa Maria Capua Vetere dopo aver indossato la divisa da poliziotto fino al 2002.

Per lui però i guai veri non sono iniziati con la detenzione, ma quando il collaboratore di giustizia, Pietro Riggio, lo ha indicato come uno degli esecutori della strage di Capaci, quella nella quale la mafia uccise il giudice, Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta.

In mezzo a dichiarazioni, ritrattazioni, presunte verità, c’è un dato di fatto che Domani può rivelare. Peluso ha ricevuto un avviso di conclusione delle indagini preliminari per concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe contribuito alla latitanza di Bernardo Provenzano, il capo di Cosa nostra, arrestato nel 2006 in un casolare a Corleone, dopo aver vissuto 43 anni da irreperibile. 

L’inchiesta è della procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, che ha chiesto l’archiviazione per le contestazioni relative alla strage di Capaci. «Con la strage non c’entro nulla, proprio quel giorno mi trovavo a fare il corso come soprintendente alla scuola di polizia», aveva sempre ribadito Peluso.

Riggio “il chiacchierone”

Riggio di mestiere era un agente della polizia penitenziaria fino a quando ha commesso reati che lo hanno condotto in carcere. La sua vita è cambiata nel 2000 quando è diventato un riferimento della mafia a Caltanissetta, ma contemporaneamente un confidente-infiltrato della direzione investigativa antimafia.

Riggio è stato utilizzato per arrivare all’arresto di Binnu ’u tratturi, al secolo Pronvenzano, ma i suoi tentativi sono stati vani e, a distanza di anni, hanno inguaiato due servitori dello stato, due generali dei carabinieri.

Come ha rivelato Domani, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni sono indagati per depistaggio, entrambi sono stati destinatari di un avviso di conclusione delle indagini preliminari, preludio a una possibile richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura nissena.

I fatti riguardano il periodo nel quale i due sono stati impegnati alla Dia, la direzione investigativa antimafia, e ai rapporti instaurati con l’allora confidente, oggi collaboratore di giustizia, Pietro Riggio.

Proprio sulla ricostruzione dei rapporti e delle confidenze, secondo i pubblici ministeri, ci sono state opacità, relazioni assenti o pasticciate e i due avrebbero così ostacolato l’attività di riscontro delle parole di Riggio.

Entrambi si dicono estranei alle accuse e sicuri di dimostrare la loro estraneità ai fatti. Proprio tra le dichiarazioni di Riggio spunta il possibile ruolo di Peluso.

Nelle confidenze ai generali, l’ex agente penitenziario parlava di infedeli servitori dello stato, ascoltava i segreti della famiglia mafiosa di Caltanissetta, rivelava fughe di notizie ed era entrato nelle grazie di un sodale dell’allora latitante Bernardo Provenzano, Angelo Schillaci.

Ma avrebbe anche riferito su un «fatto eclatante» che si sarebbe dovuto verificare nel 2001 a Palermo, l’attentato al magistrato Leonardo Guarnotta.

Una “soffiata” mai verificata nonostante, dopo le confidenze di Riggio, che disse di aver saputo le informazioni da un poliziotto colluso. Il poliziotto colluso sarebbe proprio Peluso, il quale viene sottoposto a intercettazioni.

Peluso, Capaci e Provenzano

Riggio avrebbe raccolto le dichiarazioni di Peluso in carcere, dichiarazioni inquietanti che il pentito rivela anni dopo l’inizio del suo percorso di collaborazione. Non solo. Risulta anomalo che, vista la gravità di quelle rivelazioni, quelle confidenze siano avvenute in carcere.

Ma l’iniziale ritrosia viene motivata così dal collaboratore di giustizia: «Fino ad oggi avevo avuto paura di mettere a verbale certi argomenti, temevo ritorsioni per me e per la mia famiglia. Ma, adesso, credo che sia venuto il momento di parlare», dice Riggio.

Cosa racconta l’ex agente penitenziario? Inguaia Giovanni Peluso, poliziotto in servizio, a Roma, fino al 2002, con una condanna per omissioni atti di ufficio nel 1997 e per il possesso di munizioni per una calibro 22.

Secondo Riggio, Peluso avrebbe concorso nella strage di Capaci, piazzando l’esplosivo per uccidere Falcone e la scorta.

Per questa accusa, la procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione, l’altra, invece, riguarda il contributo alla latitanza di Bernardo Provenzano. Vicenda che, invece, potrebbe portare al processo per concorso esterno a carico dell’ex poliziotto.

«All’interno dello stesso carcere (Santa Maria Capua Vetere, ndr) diciamo fu creato un progetto di fare una specie di task force al momento in cui sarei stato scarcerato, per giungere alla cattura di Bernardo Provenzano e quindi dare tutte quelle che erano le indicazioni di mia conoscenza affinché ciò avvenisse», dice Riggio indicando in Peluso uno dei componenti del team per la cattura del latitante.

Confidenze, relazioni e ruoli che poi sarebbero stati gestiti dalla Dia: l’esito è stato fallimentare. E dopo i generali, per depistaggio, ora tocca a Peluso che, nei processi nei quali è stato sentito, non è stato assistito neanche da un avvocato di fiducia, ma di ufficio. Si dice estraneo a ogni contestazione e adesso dovrà difendersi dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

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