Il gup del tribunale di Siena, Roberta Malavasi, ha rinviato a giudizio cinque agenti di polizia penitenziaria, tre ispettori e due assistenti, che prestavano servizio nel carcere di Ranza, a San Gimignano. Gli agenti sono accusati di aver picchiato un detenuto tunisino durante un trasferimento di cella nel 2018. Le contestazioni erano di lesioni aggravate, minaccia, falso ideologico e tortura. Si tratta del primo processo in Italia dove si contesta a degli appartenenti alle forze dell'ordine il reato di tortura. Oltre a i cinque imputati altri dieci agenti sono indagati per gli stessi fatti. Il processo ai cinque agenti dovrebbe iniziare il 18 maggio del 2021. Nel procedimento sono state ammesse anche sette parti civili, legate a varie associazioni a tutela dei diritti e delle garanzie dei detenuti.

Secondo l'accusa, ai danni del detenuto ci sarebbe stato un pestaggio che avrebbe provocato alla vittima sofferenze acute e un «trattamento inumano e degradante». L'11 ottobre 2018, sempre secondo la ricostruzione dell'accusa, quindici agenti prelevarono il detenuto tunisino, che si trovava in isolamento per reati legati allo spaccio di droga, per trasferirlo da una cella all'altra e, lungo un corridoio, lo avrebbero picchiato e insultato, cercando di coprire le telecamere di sorveglianza. La vittima, secondo le ipotesi dell'accusa, sarebbe stata minacciata e terrorizzata tanto da rifiutarsi persino di sottoporsi a una visita dal medico e di sporgere denuncia nei confronti dei presunti aggressori. Avrebbe anche detto che la ferita che presentava a un sopracciglio se l'era procurata cadendo. Furono le testimonianze di altri detenuti a far partire l'inchiesta della procura di Siena, affidata alla pm Valentina Magnini. L’inchiesta è rimasta sottotraccia fino al giorno della notifica degli avvisi di conclusione indagine ai 15 agenti, Era il 20 settembre dello scorso anno.

La solidarietà di Salvini agli agenti

La notizia provocò diverse polemiche sia da parte dei sindacati di categoria degli agenti di polizia penitenziaria che, augurandosi che venisse fatta luce al più presto sui fatti, denunciavano l'emergenza penitenziaria fatta di sovraffollamento detentivo, pesanti carenze di risorse umane, tecnologiche ed economiche, si da parte del leader della Lega, Matteo Salvini, che espresse subito solidarietà agli agenti indagati. Cinque giorni dopo la notizia dell'inchiesta, il politico visitò il carcere di San Gimignano, davanti al quale gli esponenti toscani del Carroccio organizzarono una manifestazione a sostegno degli agenti. «Ho parlato con quelli che sono stati crocifissi come torturatori, sono onesti lavoratori che fanno uno dei lavori più difficili del mondo, qualcuno è stato condannato ancor prima del processo. Ci sono torturatori senza torturati, aggressori senza aggrediti, denunciati senza denuncianti. C'è qualcosa che non funziona»: disse Salvini che poi aggiunse: «Tra le guardie e i ladri sto sempre con le guardie».

Non è la prima volta che il leader della Lega incappa in uscite simili: nell’aprile di quest’anno si era presentato fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere dove, come raccontato da Domani, trecento agenti avevano picchiato decine di detenuti il 6 aprile.

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