In assenza di farmaci risolutivi, possiamo almeno sperare nei vaccini? A partire da quando? Sono queste le due domande che ciascuno di noi si sta facendo in questi giorni di aggravamento dell’epidemia in Italia. Teoricamente il vaccino è proprio quella risposta farmacologica che ci consentirebbe di sbarazzarci almeno in parte di quelle “misure non farmacologiche” che ci stanno appesantendo la vita con quarantene, distanze sociali e disinfettanti. Ma quel momento è ancora lontano. Anche se l’arrivo della prima generazione di vaccini che sono ormai nella fase finale di sperimentazione ci potrebbe dare un po’ di sollievo.

In dirittura d’arrivo

«I vaccini che si trovano attualmente nella terza fase di sperimentazione - vale a dire in quella in cui se ne misura non più la sicurezza ma l’efficacia - sono una decina» spiega il vaccinologo Rino Rappuoli della Glaxo Smith Kline di Siena. «Questi primi vaccini potranno arginare l’epidemia offrendo quantomeno una probabilità di protezione del 50 per cento dalla malattia. Al momento non siamo ancora in grado di dire se dureranno a lungo o dovremo rifarli ogni anno. E nemmeno se si limiteranno a non farci ammalare o anche a non trasmettere l’infezione. Le prime dosi potrebbero arrivare in Europa a fine anno, e andranno riservati alle categorie più fragili: anziani, malati e personale sanitario. Mentre per averne dosi sufficienti per tutti dovremo aspettare almeno la seconda parte del 2021». 

Ma quali sono questi vaccini? In teoria sono un’ottantina in diverse fasi di sperimentazione, ma solo dieci stanno terminando la fase 3 (vedi tabella). Se però escludiamo quelli russi e cinesi, già approvati e in parte utilizzati ma sui quali è lecito avere qualche riserva, ne restano cinque. Due sono vaccini a Rna messaggero (mRna), che introdotti nell’organismo inducono una risposta immunitaria: i più avanzati sono quello prodotto dall’azienda Moderna insieme al National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), e quello dell’azienda tedesca Biontec sostenuta da Pfizer. Il vaccino di Astra Zeneca-Università di Oxford e quello di Johnson&Johnson si avvalgono invece di vettori virali (di solito Adenovirus) che recapitano nel nostro organismo geni di coronavirus per stimolare gli anticorpi. Infine, fra i classici vaccini realizzati con proteine virali, con adiuvanti per aumentarne l’efficacia, il più vicino alla meta è della statunitense Novavax.

Impossibile sapere qual è il migliore: «possiamo dire che quello classico (a proteine e adiuvanti) ha meno problemi di conservazione e ha un processo di industrializzazione più collaudato, ma di tutti è stata testata sicurezza ed efficacia» spiega Rappuoli, che come Gsk è coinvolto nella produzione di adiuvanti per alcuni vaccini che non rientrano però fra i primi ad arrivare sul mercato.

Manca il via libera

Cosa manca allora per averli in farmacia? «Manca la valutazione finale da parte delle agenzie regolatorie una volta che tutti i dati saranno resi disponibili» spiega Silvio Garattini, presidente dell’istituto Mario Negri di Milano. «C’è da dire però che agenzie come la Fda americana e la Ema europea stanno già esaminando i dossier disponibili utilizzando procedure di emergenza che tagliano di molti i tempi soliti di approvazione, che altrimenti richiederebbero anni. E, a prescindere dal fatto che funzionino o no, le industrie stanno già producendo milioni di dosi pronte per essere distribuite appena vi sarà il via libera». E se dovessero venir bocciati? «Li butteranno via. D’altra parte tutta l’operazione è finanziata dai diversi Stati e fondazioni internazionali e non ricade se non in minima parte sull’industria».

L’emergenza ha accelerato tutto il processo, inondando di miliardi le compagnie farmaceutiche che si sono lanciate nell’impresa (dieci miliardi solo da parte degli Stati Uniti), semplificando i passaggi burocratici e rinunciando per il momento un vaglio scientifico più stringente, come quello auspicato da Anthony Fauci, di confrontare i vaccini non semplicemente con il placebo ma fra di loro, in modo da individuare il migliore da usare in prima battuta. Una procedura che avrebbe comunque scoraggiato molti dal competere. C’è da dire però che, paradossalmente, sono state proprio nove industrie farmaceutiche a prendere l’impegno di rifiutarsi di licenziare un vaccino prima che siano disponibili i risultati di studi clinici adeguati, anticipando così le pressioni politiche in arrivo dalla Casa Bianca in vista delle elezioni del 3 novembre.

«Dimentichiamoci comunque un vaccino come quello della polio, efficace quasi al 100 per cento» continua Garattini. «È simile piuttosto a quello per l’influenza, da rifare periodicamente in relazione alle mutazioni del virus e alla durata dell’immunità, e con un’efficacia non minore, ma non necessariamente superiore al 50 per cento. Il che comunque non è poco, perché una volta distribuito alla popolazione consente di ridurre notevolmente i contagi, anche se non ci esenta dal tenere alta la guardia». È da capire se questi vaccini saranno indicati a tutti o solo alle categorie più esposte da proteggere in prima battuta. «Il fatto che siano stati sperimentati finora su almeno 30mila persone nel gruppo di intervento e altrettante nel gruppo placebo ci dà buone garanzie sui risultati relativi a sicurezza ed efficacia. Ma andranno comunque sorvegliati nei loro effetti anche dopo la loro messa in commercio per essere certi che possono essere tollerati senza problemi da miliardi di persone».

Certo non sarà uno scherzo mettere in piedi una distribuzione di massa, anche alla luce di quanto sta succedendo ora con il vaccino antinfluenzale. Quindi prepariamoci a un 2021 senza vaccino per tutti. Sapendo che vaccinati o no dovremo continuare a mettere la mascherina, lavarci le mani, mettere un metro fra noi e il prossimo, e aprire spesso le finestre.

 

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