L’inflazione non risparmia neanche il cioccolato. Insieme a una serie di altri fattori, sta mettendo sotto pressione il settore soprattutto in Austria e in Germania. La Svizzera, il terzo paese alpino e sede di alcuni tra i marchi più famosi, come Lindt e Milka, sembra meno colpito dalla crisi, tanto che il titolo azionario della casa produttrice dei coniglietti pasquali di cioccolata viene ancora indicata come investimento sicuro.

Verosimilmente, il motivo dipende dalla dimensione delle imprese. Soprattutto il mercato tedesco accanto a impianti produttivi di grandi dimensioni è formato anche da piccole e medie imprese che hanno meno potere contrattuale nelle trattative con la grande distribuzione o lavorano su canali totalmente diversi. 

La Germania, con le sue 200 piccole e medie imprese che affiancano i grandi marchi, è il maggior produttore europeo e impiega 60mila persone. 

I costi

A schiacciare le aziende è innanzitutto l’aumento dei costi di produzione. Il Bdsi, l’associazione di categoria dell’industria dolciaria tedesca ha stimato che l’energia elettrica passerà dai 250 milioni di euro pagati dal settore nel 2021 ai 2,5 miliardi previsti per il 2023. Una cifra pari al 17 per cento del fatturato del 2021, che è stato pari a 14,5 miliardi di euro. 

Ma, oltre all’aumento di corrente, gas e costi di trasporto, aumentano anche i prezzi delle materie prime. I due principali produttori di cacao nel mondo, il Ghana e la Costa d’Avorio, chiedono cifre maggiori per i loro prodotti, ma anche il costo dello zucchero è raddoppiato, quello del glucosio è addirittura triplicato. Pure la frutta secca costa di più. 

Gli effetti sui grandi

Ad avere meno difficoltà a gestire la situazione sono i grandi marchi, che possono allineare i prezzi a cui vendono potendo continuare a contare su una grande rete di punti vendita. È quello che ha pensato di fare per esempio il gigante svizzero Nestlè: i prezzi in Germania sono aumentati del 5,2 per cento nei primi mesi dell’anno e in autunno hanno subito un nuovo innalzamento. Oltre all’aumento dei costi delle materie prime, l’azienda cita tra le ragioni degli aumenti l’inflazione salariale: per evitare un restringimento eccessivo dei margini di guadagno, i prezzi sono stati di nuovo adeguati.

È successo qualcosa di simile nel caso dell’americana Mars, ma con conseguenze molto più drastiche. Il prezzo proposto dal gigante americano non è infatti andato giù a una lunga serie di aziende della grande distribuzione tedesca, come Rewe, Penny, Edeka e Netto, che si sono rifiutate di accettare la richiesta di Mars.

Le trattative annuali anche relativamente dure sui prezzi e i dettagli delle forniture sono un’abitudine abbastanza diffusa nel rapporto tra produttori e distributori, ma stavolta il mancato compromesso ha provocato lo stop unilaterale delle forniture da parte di Mars. Il conflitto con quello che negli anni è diventato un player centrale nel settore ha prodotto settimane di scaffali vuoti e sfottò pubblicitario da parte dei supermercati, che raccomandavano ai consumatori di evitare i prezzi «lunari» di Mars comprando da loro.

Le difficoltà dei piccoli

Chi poi preferisce non affrontare i prezzi cresciuti può sempre scegliere un prodotto delle marche proprie del supermercato. Ed è proprio questo sviluppo che temono i piccoli produttori: se già il prodotto della multinazionale venduto al supermercato diventa un bene di lusso, figurarsi la cioccolata artigianale. Con una minore disponibilità di denaro, limitata anche dal costo della vita che corre, i cioccolatai vedono il rischio che i consumatori possano rinunciare come prima cosa a coccolarsi con un acquisto nelle loro botteghe.

In un contesto come questo è quindi ancora più difficile per le piccole aziende adeguare i prezzi. Ci proverà comunque Wergona, una cioccolateria storica della Sassonia Anhalt, che ha sede a Wernigerode, a metà strada tra Hannover e Berlino. In attività dal 1916, l’azienda produce 2,5 milioni di calendari dell’avvento ed esporta in oltre 50 paesi, soprattutto europei. Per i suoi 500 dipendenti i vertici sperano in un destino migliore di quello che hanno subito i colleghi impiegati alla vicina Bodeta di Oschersleben, che nonostante i prezzi più alti è finita per essere insolvente. 

Ma anche in Austria la situazione è difficile. I produttori di piccole e medie dimensioni avevano già sofferto molto i due anni di coronavirus, che avevano abbattuto il turismo e le occasioni in cui piazzare i propri prodotti. Le difficoltà sono arrivate anche dalla chiusura prolungata dei piccoli negozi che vendono i prodotti di settore per i vari lockdown. A farne le spese è stata per esempio la Salzburg Schokolade, che si è dichiarata insolvente già a fine 2021, dopo il crollo del fatturato e l’impossibilità di pagare gli stipendi. Non parliamo di un’azienda fragile: la Salzburg esisteva dal 1897 e produceva le palle di Mozart Mirabell, una delle varianti più antiche della tipica pralina austriaca. 

Va decisamente meglio a Heindl, un altro storico marchio della pasticceria viennese, che produce soprattutto praline dal 1952. Pur avendo dovuto a sua volta fare i conti con l’aumento dei costi e avendo accettato di alzare i prezzi, il produttore delle waffel Pischinger ha reagito ai tempi duri con creatività. Per abbattere i costi e poter contare su una fornitura costante che risenta meno delle oscillazioni geopolitiche, l’azienda si affida a fornitori sul territorio, con una catena del valore più corta. Negli ultimi mesi ha anche puntato su una serie di nuovi prodotti che hanno riscosso un buon successo tra i clienti. Ultimo elemento. ma non per importanza, l’intuizione di affidarsi alle televendite: il telemarketing su una serie di canali locali austriaci e tedeschi ha parzialmente coperto le perdite registrate durante il lockdown. 

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