La data dell'avvicendamento è il 12 febbraio. Luigi Sbarra ha raggiunto i 65 anni di età e, in conformità allo statuto della Cisl, passa il testimone. Alla guida del sindacato lo sostituisce, con il consenso «pieno e unanime di tutte le strutture», la tarantina Daniela Fumarola, laureata in scienze sociologiche alla Cattolica di Milano, dal 2023 eletta segretaria generale aggiunta, mentre in precedenza è stata segretaria organizzativa della Cisl nazionale con delega al mercato del lavoro. 

Nel suo passato i rapporti con l’uomo forte dei Riva, i famigerati padroni dell’Ilva che ha avvelenato e distrutto una terra

La Puglia nel cuore

La carriera della 58enne Fumarola parte in Puglia alla Fai, la categoria degli agricoltori, percorre tutti i gradini a livello territoriale, dalla segreteria della Fai Cisl di Taranto, fino a diventare segretaria generale della Cisl di Taranto nel 2009 e della Cisl Puglia nel 2016. È lì che Fumarola incontra nel 2010 i vertici dell'Ilva, ai tempi della gestione Riva.

Nel 2010 il potente Girolamo Archinà, oggi scomparso, ai tempi era la longa manus dei Riva nella gestione dell'Ilva e ritenuto centrale nell'ambito dell'inchiesta Ambiente Svenduto, condannato a 21 anni e sei mesi in primo grado, viene intercettato dagli inquirenti e, fra gli altri, parla proprio con Daniela Fumarola che, ai tempi era la segretaria provinciale della Cisl. Fumarola chiede ad Archinà, cioè alla controparte aziendale, su chi sia più giusto puntare per le nomine della rappresentazionale sindacale.

In un'altra telefonata, sempre del 2010, Archinà detta la linea a Daniela Fumarola su come la Fim deve gestire l'elezione dei delegati sindacali all’interno della fabbrica. Contatti, vicinanza, rapporti di una sindacalista, ma nulla più. Fumarola, però, su quanto emerso dalle intercettazioni e sui rapporti con Archinà è stata anche ascoltata come testimone nel maxi processo per il presunto disastro ambientale causato dall'Ilva, che vedeva alla sbarra 47 imputati (44 persone fisiche e tre società).

Esattamente il 10 aprile 2018. Fumarola, in quell’occasione, ha ricordato il primo contatto con Archinà, a seguito di un’iniziativa sindacale interrotta dagli ambientalisti nella quale parlava il responsabile delle relazioni industriali dell’Ilva alla presenza dello stesso Archinà e di Fabio Riva. 

«Per cui io il giorno dopo sentii il signor Archinà intanto per chiedergli scusa di quello che era successo, perché io ero la padrona di casa e poi capire se le nostre proposte in tema di ambientalizzazione e di responsabilità sociale e di impresa fossero in qualche modo state recepite e quindi gli chiesi come avessero giudicato questa cosa», raccontava Fumarola.

Durante la testimonianza, si menzionava un’altra conversazione nella quale non esprimevano parole lusinghieri sul professor Giorgio Assennato, responsabile dell’Arpa Puglia, inviso alla proprietà per una relazione durissima sull’Ilva. «Mi ha detto oggi il segretario che lo perseguiteranno fino a quando (puntini, sono tutti termini incomprensibili) ovunque lui andrà a finire. Perché obiettivamente pure quella, quella scivolata che ha preso ieri sulla nostra federazione è stata fuori luogo», diceva al telefono. Parole dettate da una questione solo di natura sindacale slegata dalla vicenda Ilva, Fumarola ha sempre portato avanti l’idea di una sostenibilità aziendale dell’azienda per garantire salute e lavoro.

Proposta che si è dimostrata inconciliabile con la realtà. Proprio nel settembre successivo, sempre nel 2018, Fumarola salutava con giubilo la mediazione al ministero dello Sviluppo Economico: «Dopo mesi di stallo, un percorso pieno d'insidie e una trattativa durata oltre 24 ore abbiamo firmato un accordo sul futuro dell'Ilva che assicura la piena occupazione dei lavoratori, i lavori di bonifica per Taranto e il futuro del comparto legato alla produzione di acciaio in Italia», diceva.

Speranza tradita

Eventi che portano le lancette molto indietro nel tempo, ma che ancora bruciano a Taranto dove la vicenda Ilva è tutt'altro che risolta. Acciaierie d'Italia, la società che ha preso in affitto gli impianti, già sotto sequestro della magistratura, è entrata sua volta in concordato, dopo un duro braccio di ferro tra l'azionista pubblico e il colosso franco indiano Arcelor Mittal.

In base a quanto dichiarato dal ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, le tre società pronte a rilevare l'intero asset – gli indiani di Jindal Steel International, gli azeri di Baku Steel e il fondo d'investimento americano Bedrock Industries – faranno pervenire entro venerdì le offerte ai commissari di AdI. Lo Stato punta a incassare dalla vendita due miliardi di euro.

Più scettici gli analisti del settore, secondo cui difficilmente le tre società offriranno una simile somma per un gruppo industriale, composto dai tre impianti di Taranto, Genova e Novi Ligure, che perdeva 65 milioni al mese quando era in funzione un solo altoforno, mentre ora che ne sono stati messi in attività due, le perdite si aggirerebbero attorno ai 100milioni di euro al mese.

Questo perché la produzione a monte è stata aumentata senza aver prima risolto le fragilità industriali e i colli di bottiglia a valle degli altiforni.

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