Nel 2019 è stato uno degli eventi dell'anno in televisione, con il suo racconto crudo e l'intensità dei suoi personaggi. Il documentario «Clandestino», trasmesso in più puntate dal canale «Nove» di proprietà del gruppo media americano Discovery, ha impressionato il pubblico con le sue interviste a criminali e affiliati alla ‘ndrangheta e alla camorra che raccontavano il loro mondo e le logiche del narcotraffico internazionale. Faccia a faccia con la rete oscura di trafficanti che apparivano incappucciati per non farsi riconoscere, com'è ovvio che sia per chi ha deciso di vivere fuori dalla legalità e arricchirsi trattando, vendendo e spacciando grosse quantità di stupefacenti in arrivo dalle centrali di produzione sudamericane.

Anima, produzione e voce narrante di questo prodotto televisivo, di cui hanno parlato anche con toni entusiastici tanti giornali italiani in quel momento, è il giornalista spagnolo David Berian, che ha lavorato per mesi a questo progetto fino ad arrivare al suo scopo: poter avvicinare e intervistare gli uomini d'oro della droga italiana. Berian è arrivato alla fama internazionale grazie alla sua grande dedizione al racconto della criminalità legata alla droga, e per questa sua attività aveva anche incrociato Roberto Saviano che nel 2018 era stato il presentatore della serie «Il mondo dei narcos» sui famigerati cartelli messicani della «bianca».

Ma un'indagine della procura antimafia di Milano ha scoperto che il documentario Clandestino non sarebbe assolutamente una prova di grande giornalismo sul campo. Tutt'altro, si tratterebbe in realtà di una montatura studiata e realizzata con lo scopo di truffare Discovery spacciandogli – e proprio il caso di dirlo – per un vero spaccato di realtà criminale italiana una messinscena un po' ridicola con tanto di attori reclutati ad arte che recitavano un copione.

Un'operazione, si legge dell'atto di chiusura indagini, firmato dal sostituto procuratore Alessandra Cerreti, grazie alla quale la casa di produzione 93 Metros amministrata da Berian avrebbe intascato da Discovery 425mila euro, profitto di una truffa ben architettata ai danni della media company grazie anche ad altri tre complici che hanno agito in concorso con lui.

L'elenco delle violazioni loro imputate rispetto agli accordi presi con Discovery, che è parte offesa, è piuttosto articolato e riguarda il mancato ricorso a personale qualificato per questo tipo di produzioni e per aver violato una serie di norme specifiche menzionate nel contratto.

Uno di questi è italiano ed è quello al centro di quest'indagine: si tratta di Giuseppe Iannini, che risulta indagato, oltre che per truffa aggravata per aver trovato gli attori che hanno recitato la parte dei delinquenti, anche per sostituzione di persona (si è finto egli stesso un manager di Discovery) e per inosservanza dei provvedimenti dell'autorità per non essersi presentato dai Carabinieri di Milano lo scorso ottobre dopo essere stato convocato.

L'uomo, un ex maresciallo dell'Arma di origini brindisine, ha anche subito una condanna. Nel 2016 è stato infatti arrestato con l'accusa di avere divulgato informazioni sottoposte a segreto d'ufficio riguardanti un coinvolgimento in un'inchiesta di camorra del politico di Forza Italia Luigi Cesaro, parlamentare ed ex presidente della Provincia di Napoli, e di averle cedute all'allora sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino.

Un dossieraggio che sarebbe servito per alimentare una guerra interna a Forza Italia campana che vedeva Cosentino e Cesaro contrapposti. Reo confesso, per questi fatti è stato condannato a tre anni di carcere lo scorso febbraio dal tribunale di Napoli.

Iannini, si legge sul suo profilo Linkedin, lavora nel mondo dei servizi a supporto delle produzioni video e televisive ed è autore e coautore di alcuni libri. Uno di questi è una testimonianza di una miliziana italiana che avrebbe combattuto per l'Isis.

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