Ieri, per circa 5,6 milioni di studenti in tredici regioni è stato il primo giorno di scuola con le nuove restrizioni anti Covid-19. Quasi ovunque le scuole hanno aperto con orari ridotti, ingressi scaglionati, senza mensa e tempo pieno. “Ci saranno difficoltà e disagi”, aveva avvertito domenica il presidente del Consiglio Giuseppe Conte mettendo in guardia le famiglie sugli inevitabili problemi che avrebbe causato riportare nelle loro aule con nuove misure di sicurezza tanti studenti quanti sono gli abitanti della Danimarca.

Ma ai problemi causati dalle nuove norme anti Covid-19 si aggiungono alle croniche difficoltà della scuola italiana, come la mancanza di investimenti, di spazi e di insegnanti, hanno detto decine di insegnanti, studenti e genitori interpellati da Domani.

“Se la scuola in Italia è riuscita a riaprire è grazie al lavoro di presidi, docenti e delle associazioni dei genitori, che hanno investito il loro tempo e a volte il loro denaro in maniera volontaria”, ha detto Ariela Giacometti, una 38enne originaria di Imperia che ieri ha portato per la prima volta sua figlia di sei anni alla scuola primaria Daneo di Genova. A causa della mancanza di insegnanti, il tempo pieno nella scuola ricomincerà soltanto dal 28 settembre.

L’istituto è uno delle centinaia in Italia che hanno in dotazione vecchi banchi biposto e non hanno ancora ricevuto i nuovi banchi monoposto, necessari per garantire il distanziamento di almeno un metro tra gli studenti. Secondo l’Anp, la principale associazione professionale dei dirigenti scolastici, fino ad oggi sono stati consegnati soltanto 200 mila banchi monoposto su 2 milioni e 200mila. Alla Daneo, gli studenti sono costretti a rimanere al loro posto indossando la mascherina per tutto il giorno, compresa la ricreazione.

Quello dei banchi è un problema particolarmente sentito al Centro e al Sud, dove le scuole hanno in genere arredamenti più vecchi. Al liceo artistico Carlo Argan di Roma i vecchi banchi biposto sono stati marcati con grosse X di nastro adesivo al centro, per segnalare il distanziamento che devono mantenere gli studenti che lo condividono. Nel dubbio, i professori hanno comunque fatto indossare la mascherina agli studenti. All’Istituto Agrario Sereni di Roma, la mancanza di spazi e banchi ha costretto il preside a creare sei “aule” all’aperto.

Presidi e insegnanti dicono che lo sforzo per adattarsi alle nuove normative e far cominciare la scuola regolarmente è stato intenso. “Partiamo già in riserva”, ha detto Gloria Farisé, preside del liceo linguistico Falcone di Bergamo, una struttura con tre sedi e 1.500 studenti. “La gente ci dice ‘buon inizio di anno scolastico’, ma in realtà quest’estate non abbiamo mai smesso di lavorare. Abbiamo allargato quattro aule e abbiamo trasformato in aule tre laboratori e l’aula magna”. Grazie a questi lavori, il Falcone partirà con l’orario regolare e con tutte le lezioni in presenza. Anche l’organico è quasi al completo: mancano solo una decina di insegnanti.

La situazione è diversa in provincia, fuori dal centro città. Molte scuole non sono riuscite ad ottenere spazi sufficienti e quindi sono costrette a fare didattica a distanza per la metà dei loro studenti. Claudio Ghilardi, preside di una delle due scuole superiori della Val Brembana, l’Istituto David Maria Turoldo, dice di essere riuscito a trovare spazi per tutti i suoi studenti, ma al momento gli mancano poco meno di un quarto degli insegnanti di cui avrebbe bisogno a pieno organico. Per questa regione, sono costretti a iniziare con un orario ridotto.

“Mancano gli insegnanti, manca il personale A.T.A.: non è un problema del Covid-19, ma uno che la scuola si porta dietro da quindici anni”, ha detto Francesca Fiore, 36enne e autrice di un popolare blog sulla scuola, che ieri ha accompagnato le sue due figlie in una primaria di Torino. A causa della mancanza di insegnanti, la scuola delle sue figlie farà orario ridotto per tutto il mese di settembre e inizierà con il tempo pieno soltanto ad ottobre. “Il precariato è la piaga della nostra scuola”, ha detto Fiore.

I vuoti nell’organico scolastico sono una questione che si ripropone da anni in Italia. I numeri dei supplenti, cioè dei precari, sono incerti, ma ogni anno alla scuola italiana ne servono tra i 100 e i 200 mila supplenti. Secondo i sindacati, nell’anno scolastico 2020-2021 i precari potrebbero raggiungere la cifra record di 250 mila.

A causa dei ritardi cronici nella realizzazione delle graduatorie necessarie ad assumere i precari, anche quest’anno la scuola è partita con pochissimi supplenti in servizio. La maggioranza delle scuole inizieranno a convocarli soltanto a lezioni già iniziate. Per questa ragione, per i primi giorni e a volte per le prime settimane, le scuole operano con orari ridotti.

All’istituto comprensivo Ser Lapo Mazzei di Prato, una scuola nel centro della città, ad esempio, per la prima settimana la primaria terminerà le lezioni a mezzogiorno, mentre gli studenti della secondaria di primo grado faranno solo due ore di lezione. Anche al liceo Dolci di Palermo per la prima settimana si farà lezione soltanto due ore al giorno. Al Liceo scientifico Sereni di Luino, in provincia di Varese, le ore di lezione saranno di 45 minuti e per i primi giorni gli studenti entrati alle 8 usciranno alle 9 e 30. Soltanto quando le scuole avranno la possibilità di chiamare precari in servizio potranno riprendere gli orari normali.

“Ci sentiamo usati come tappabuchi”, dice Viola Tanganelli, una precaria della scuola 37enne originaria di Siena che fa parte del coordinamento dei precari del sindacato Usb. Come decine di migliaia di suoi colleghi in tutta Italia, anche Tanganelli è in attesa che gli uffici scolastici della sua provincia, sotto finanziati e sotto organico come il resto del sistema scolastico, risolvano i problemi burocratici necessari a rendere possibile la loro entrata in servizio.

Lo scorso luglio, il ministero dell’Istruzione aveva promesso di risolvere almeno in parte la difficile situazione degli organici scolastici, che ha già causato l’apertura di una procedura europea contro l’Italia, assumendo 80mila nuovi docenti. Ma soltanto un terzo circa degli insegnanti previsti sarà realmente regolarizzato. Non abbastanza per eliminare i vuoti nell’organico scolastico.

“C’è un grandissimo divario tra la rappresentazione mediatica della scuola portata avanti dalla ministra Azzolina e quello che è invece la scuola reale, che è fatta dalla persone, dagli studenti, dagli insegnanti, dai genitori che sono i veri eroi che si sono fatti in quattro per far riaprire la scuola in modo che potesse riaprire anche tutta l’Italia”, dice Cristina Tagliabue, una delle fondatrici del Comitato Prima La Scuola, un gruppo di genitori e insegnanti che il 26 settembre terrà una manifestazione a Roma per chiedere maggiori investimenti nella scuola, sfruttando anche le risorse del Recovery Fund europeo.

A causa delle difficoltà di riaprire in queste condizioni, sette regioni hanno deciso di rinviare l’inizio delle scuole. Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Calabria riapriranno il 24 settembre, mentre la Sardegna riaprirà il 22. Per altri tre milioni di studenti il primo giorno di scuola deve ancora arrivare. Ma difficilmente sarà molto migliore di quello che abbiamo visto ieri.

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