Un papa vicino alla vita concreta della gente, capace di costruire ponti con l’umanità di quest’epoca e di essere guida in un tempo lacerato da troppi conflitti, un papa che sia in grado di mettere al centro dell’azione pastorale della chiesa i poveri. Sono queste alcune caratteristiche dell’identikit del nuovo pontefice che i cardinali stanno tracciando nel corso delle congregazioni generali che precedono il conclave.

Sta emergendo, insomma, un profilo pastorale, assai più bergogliano di quanto non fosse stato previsto a livello mediatico nei primi giorni successivi alla morte di Francesco. In un primo momento infatti, non erano poche le voci che prevedevano un papa più “tranquillo”, rispetto a Bergoglio, almeno nel modo di comunicare, di relazionarsi ai problemi della chiesa come alle grandi questioni internazionali, meno istintivo, più moderato.

Non è detto che queste preoccupazioni siano venute meno, tuttavia l’idea di un papa che prosegua l’azione pastorale di Francesco nei suoi tratti essenziali sta prendendo corpo.

Chiesa missionaria

Nella mattinata di lunedì, si è svolta la decima congregazione generale, nel corso della quale, ha fatto sapere la sala stampa vaticana, è stata sottolineata soprattutto «la natura missionaria della chiesa: una chiesa che non si deve ripiegare su sé stessa, ma accompagnare ogni uomo e ogni donna verso l’esperienza viva del mistero di Dio».

Inoltre «si è parlato anche del profilo del futuro papa: una figura che deve essere presente, vicina, capace di fare da ponte e guida, di favorire l’accesso alla comunione a un’umanità disorientata e segnata dalla crisi dell’ordine mondiale. Un pastore vicino alla vita concreta delle persone.

Molte le sfide richiamate: la trasmissione della fede, la cura del creato, la guerra e la frammentazione del mondo. È stata espressa una forte preoccupazione per le divisioni all’interno della chiesa stessa. Non sono mancati riferimenti alle vocazioni, alla famiglia, e alla responsabilità educativa verso i figli».

Ancora, «si è ricordato che nel celebrare Cristo presente nell’eucaristia non si deve mai dimenticare il sacramento di Cristo presente nei poveri». Fra le altre cose, poi, «è stato messo in evidenza anche il ruolo fondamentale della Caritas, chiamata non solo a soccorrere, ma a difendere i poveri, testimoniando la giustizia del vangelo».

Già nel corso delle congregazioni dei giorni scorsi, per altro, stavano emergendo alcuni elementi simili della discussione in atto, sabato scorso, per esempio, fra i temi sollevati, non erano «mancati riferimenti al Giubileo e al desiderio che il prossimo papa abbia uno spirito profetico, capace di guidare una chiesa che non si richiuda su sé stessa, ma sappia uscire e portare luce a un mondo segnato da disperazione». 

Papabili

D’altro canto, caratteristica di questo collegio cardinalizio, è di essere formato anche da diversi porporati giovani e da tanti che provengono dalle “periferie del mondo”, il che comporta anche l’incontro fra sensibilità e aspettative differenti, e però anche un tessuto comune di chi guarda alla chiesa e al mondo non per forza con lo sguardo occidentale. 

Così mentre i 133 elettori sono ormai giunti a Roma, i profili dei candidati sono sempre più delineati. Sono due grandi i sottogruppi in cui possiamo suddividere i candidati: i curiali e chi viene dalle chiese locali.

Fra i primi va annoverato per primo i cardinali Pietro Parolin, già Segretario di Stato: una delle poche figure ad aver accompagnato Francesco per l’intera durata del pontificato, che però nelle ultime settimane è stato criticato sia da destra che da sinistra. L’altro nome “forte” espresso dalla Curia romana è il filippino Luis Antonio Tagle, già pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione. Il porporato 67enne ha anche in curriculum una lunga esperienza come pastore di una diocesi grande e vivace come la capitale filippina Manila.

Altri nomi curiali sono quelli di Claudio Gugerotti, già prefetto del dicastero per le Chiese orientali, lo statunitense (in crescita secondo voci raccolte nelle ultime ore) Robert Prevost, già prefetto del dicastero per i Vescovi, il portoghese José Tolentino de Mendonça, già a capo del dicastero della Cultura. Ma anche uno dei candidati più apprezzati dall’ala “bergogliana”, il maltese Mario Grech, segretario generale del Sinodo.

Tuttavia se alla fine a emergere dal confronto dei cardinali è l’identikit di un “pastore” in senso proprio, possono essere altri i candidati che raccoglieranno voti in Sistina. Profili come quello dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, sul quale si orienterebbe una buona parte del voto dei porporati italiani, quindi il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, l’americano Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, dalla Repubblica Democratica del Congo, l’ungherese Peter Erdo, alfiere dell’ala conservatrice, lo spagnolo Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, in forte sintonia con Francesco, che ha però 79 anni.

Tra i più chiacchierati in queste ore c’è poi il francese Jean Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia. Da poco eletto alla guida della conferenza episcopale d’oltralpe, su di lui pesa la scarsa conoscenza dell’italiano, come ha dimostrato in una recente conferenza stampa in Vaticano. Domenica, nel suo titolo nel quartiere Monti, ha dato comunque prova di cavarsela leggendo.

Il cardinale, nato in Algeria da una famiglia di pieds-noirs, è molto sensibile ai temi del dialogo interreligioso (non è un caso che citi come una figura «molto importante per me» il santo francese Charles de Foucauld, religioso che ha dedicato la sua missione al dialogo con i Tuareg) e delle migrazioni. Dal pulpito di Santa Maria ai Monti ha pronunciato un’omelia in cui invitava a non aver «paura degli altri diversi da noi». 

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