L’“italian job” calcistico è un fiasco e a dirlo è un italiano. In questi giorni succedono cose grottesche al Tottenham Hotspur e a scatenarle è la colonia italiana che milita nel club londinese.

A scatenare la polemica è stato il tecnico Antonio Conte che, intervistato da Sky Sport, ha bocciato il calciomercato invernale della società, affermando chiaramente che si è trattato di una campagna di indebolimento più che di rafforzamento.

Una bocciatura che ha un obiettivo preciso: Fabio Paratici, direttore sportivo del Tottenham, nonché colui che ha voluto Conte sulla panchina degli Spurs dopo il licenziamento del portoghese Nuno Espírito Santo.

Lasciamo da parte ogni discorso su ingratitudini e altre motivazioni sentimentali (Paratici e Conte hanno condiviso in passato la fortunata esperienza alla Juventus).

Il problema principale sono altri due “italiani” e cioè i due innesti che hanno caratterizzato la campagna trasferimenti invernale del Tottenham: gli ex juventini Rodrigo Bentancur e Dejan Kulisevski.

Costati 60 milioni di euro sono stati giudicati «ideali ma non ancora pronti» dal tecnico leccese. Che così ha tracciato per loro una strada parecchio tortuosa per i mesi a venire. Mesi che si preannunciano complicati per la colonia italiana, guardata con crescente diffidenza dai tifosi londinesi.

Top player in panchina

LAPRESSE Claudio Grassi/LaPresse

Ce ne sarebbe abbastanza per mettere in discussione ore e ore di dibattiti sulla fuga dei cervelli e su quanto si impoverisca il nostro campionato ogni volta che un allenatore, un giocatore o un dirigente italiano emigrano all’estero. 

Ma il punto non è questo. Il primo aspetto “critico” di questa vicenda è lo stesso Conte. Che ovunque vada assume immediatamente il piglio da top player.
È lui – questo almeno ciò che pensa l’allenatore – quello che vince le partite e i trofei e quindi la società che lo assume deve anzitutto rendersi conto dell’enorme privilegio di avere in panchina (strapagandolo) un campione del genere.

Un top player della panchina non può che allenare, per definizione, una squadra fatta di top player. E così Conte inizia a martellare il club affinché gli assicuri una rosa in grado di dare dieci punti di distacco alle avversarie. Non uno di meno.

Quella del tecnico leccese diventa una battaglia di logoramento che non termina nemmeno dopo il raggiungimento dei massimi traguardi. L’esperienza interista conclusa la scorsa estate dopo la vittoria dello scudetto, ma anche quella precedente in bianconero, ne sono esempi evidenti.

Arrivato allo scontro finale, di solito Conte se ne va sbattendo la porta e incassando buonuscite o indennizzi da record. E in questo senso, è indiscutibilmente un top player.

Sarebbe bene che il Tottenham ne tenesse conto, soprattutto in una fase che vede la squadra fare i conti con una voragine dei punti di distacco e non di vantaggio. Una situazione a cui Conte ha contribuito. Ma guai a farglielo notare.

Un medianaccio a fare il mercato

LaPresse

C’è poi da fare' i conti con l’altro polo del conflitto, colui che ha portato al Tottenham i due calciatori «non pronti»: Fabio Paratici, l’uomo che ha permesso alla Juventus di finanziare l’acquisto di Dusan Vlahovic dalla Fiorentina coi soldi del club londinese.

«È stato un medianaccio nel Palermo allenato da Massimo Morgia in serie C», dice un tifoso rosanero per descriverlo. Probabilmente anche da dirigente è rimasto un  «medianaccio», ma convinto di essere un numero 10.

Una situazione che al Tottenham, una delle società che assieme alla Juventus hanno provato la sciagurata avventura della Superlega, sta emergendo in tutta la sua evidenza. 

E adesso a rischiare è soprattutto lui. Insieme alla reputazione del calcio italiano che da questo teatrino ricava un’immagine abbastanza triste. Esportiamo allenatori egotici, dirigenti non all’altezza e calciatori che nel nostro campionato sono quotati ma fuori risultano impreparati e poco competitivi. Il declino calcistico è molto lontano dall’essere sovvertito, ma quanto a maschere da Commedia dell’Arte continuiamo a essere imbattibili.

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