Pronto soccorso al collasso, lunghissime attese prima di poter avere un letto in reparto. Chiamate al numero di emergenza 112 quasi triplicate e corse delle ambulanze verso gli ospedali non lontane dai livelli di marzo e aprile, quando il virus mordeva di più. È questo il quadro che si presenta sotto gli occhi di medici, infermieri e operatori sanitari, preoccupatissimi «perché siamo solo a ottobre», dicono, «e abbiamo davanti ancora molti mesi prima dell'arrivo del vaccino».

La soluzione? Un nuovo lockdown, almeno nelle regioni più colpite come la Lombardia. Non ha dubbi Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19 per i reparti dei pronto soccorso lombardi e a capo del Laboratorio di epidemiologia clinica dell'Istituto Mario Negri. «I pronto soccorso della nostra regione, e di altre aree d'Italia, sono già in grande difficoltà. Mi riferisco soprattutto a Milano, Monza e Brianza e Varese», spiega Bertolini a LaPresse, «la situazione è davvero molto difficile in quasi tutte le strutture e non c'è molto spazio per l'ottimismo». Le misure finora adottate da governo, poi, «sono troppo blande e non servono a contenere il fenomeno mostruoso che abbiamo di fronte. O si chiude tutto in fretta», avverte Bertolini, «o le conseguenze rischiano davvero di essere drammatiche».

Una fotografia simile arriva anche da Areu, il servizio di emergenza e urgenza della Regione Lombardia. Le ambulanze disponibili sono aumentate, solo nella città di Milano ce ne sono 35 in più, ma i servizi sono quasi triplicati rispetto ai periodi normali. Si parla di oltre 200 pazienti trasportati ogni giorno verso gli ospedali cittadini, molti dei quali 'sospetti Covid'. A Milano, che in primavera era stata sì toccata dalla pandemia ma non travolta come negli ultimi giorni, a entrare in crisi nelle ultime ore sono stati diversi nosocomi. Per capirlo basta uno sguardo all'app Salutile della Regione, scaricabile da qualunque cittadino smartphone-munito: i pronto soccorso dei grandi ospedali cittadini, dal Sacco al Niguarda, al San Raffaele, al San Carlo, al San Paolo, sono tutti "sovraffollati", con 60-70 pazienti in attesa di essere visitati. Stessa situazione anche nell'hinterland, al Bassini, all'ospedale di la situazione spostandosi verso Monza, Desio, Saronno, Legnano o Varese.

Quasi ovunque le code delle ambulanze in attesa di affidare i pazienti alle cure di medici e infermieri si allungano di ora in ora. E quando finalmente si riesce a superare lo 'scoglio' dell'accettazione, confermano i rappresentanti dell'Unione sindacale di Base, si rischia di dover attendere, come al San Carlo, anche 50 ore prima vedersi assegnato un letto in corsia. Il collo di bottiglia, in questo e in altri ospedali, spiegano i sindacalisti, è dovuto in parte alla necessità di sottoporre tutti i pazienti a tamponi e in parte alla carenza di personale in tante strutture. Senza contare che i reparti di terapia intensiva creati ad hoc per i pazienti Covid sono ormai saturi e si stanno riempiendo progressivamente quelli che erano stati preservati per altri pazienti.

Ma i problemi, per quanto riguarda gli ospedali San Carlo e San Paolo, che servono tutta la zona sud di Milano, non finiscono qui. Nei giorno scorsi è scoppiato un focolaio di coronavirus tra i dipendenti: quelli contagiati sono una settantina, tra medici, infermieri, Oss e personale amministrativo. E poi, come hanno denunciato diversi articoli e un servizio della trasmissione di Rai3 Agorà, i percorsi a partire dal pronto soccorso fino ad arrivare alle degenze finora non avrebbero garantito una netta separazione tra chi era positivo e chi no. Con il rischio che proprio l'ospedale, com'è già successo in altre zone, si trasformasse in luogo di contagio. Una situazione che l'Usb, la Fp-Cgil e gli altri sindacati hanno già evidenziato con esposti in Procura e all'Ats.

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