Possono nutrire un timido ottimismo tutti coloro – cittadini, associazioni, governi e assemblee legislative, istituzioni sovranazionali – che hanno a cuore il tema del contrasto alla corruzione internazionale italiana – ma non solo - verso i paesi più svantaggiati di noi e in via di sviluppo.

Qualche giorno fa, infatti, una inchiesta della procura di Milano si è chiusa con una serie di patteggiamenti e un risarcimento danni per fatti avvenuti in Macedonia del Nord che ridanno una piccola speranza a coloro che si battono per il contrasto di questo odioso reato. In primis il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, al centro di un uragano giudiziario per la conduzione del processo Eni - Shell Nigeria, che si è chiuso con un'assoluzione omnibus per tutti gli imputati nonostante i tanti indizi del pagamento di una maxi tangente da oltre un miliardo di dollari.

Dopo la sentenza, com'è noto, si è alzata una bufera mediatica e giudiziaria che ha portato anche all'iscrizione nel registro degli indagati a Brescia per lo stesso magistrato (e per il collega Sergio Spadaro), che avrebbero taciuto delle informazioni rilevanti a favore degli imputati di quel maxi processo.

Non è petrolio

Le mazzette di cui si parla oggi non sono miliardarie come quelle ipotizzate per l'Eni e la Shell, non hanno come oggetto il petrolio di un paese ricco di risorse ma povero di uguaglianza tra cittadini come la Nigeria, ma meritano di essere raccontate perché disegnano uno spaccato poco conosciuto ma decisamente interessante: quello dei fondi dell'Unione europea dedicati a particolari finalità dei paesi terzi partner.

Come i fondi Ipa, acronimo inglese di Instruments for pre-accession assistance, o quelli Europe Aid. Strumenti di cooperazione internazionale che i Paesi dell'Ue dedicano agli stati che si candidano a entrare nell'unione o che sono meritevoli di aiuto allo sviluppo.

Il canale preferenziale

I protagonisti di questa vicenda sono tre professionisti italiani – Vincenzo Lattanzio, Filippo Chesi e Giovanni Mastrandrea –, insieme all'inglese Antony Gheting che, attraverso la Lattanzio Advisory, avevano trovato un canale preferenziale al ministero della Pubblica amministrazione della Macedonia del Nord per ottenere informazioni privilegiate e per cercare di influenzare a proprio vantaggio alcune gare d'appalto finanziate proprio con questi fondi europei tra il 2014 e il 2016.

Gare per migliorare l'efficacia e l'indipendenza della giustizia penale di questa giovane e turbolenta repubblica balcanica, o per favorire il mutuo riconoscimento internazionale nelle professioni, che avrebbe dovuto vincere la Lattanzio Advisory, testa di ponte del gruppo Lattanzio che per queste operazioni aveva messo in moto il braccio operativo Mastrandrea.

I quattro avevano avvicinato il Segretario di stato e una funzionaria del ministero, incaricata dei progetti Ipa, disposti ad aiutare gli italiani della Lattanzio Advisory in cambio di soldi. Come i 500 euro mensili pagati tra la metà del 2014 e fine 2015 (neanche tutti i mesi) su un conto in Grecia alla funzionaria, sorta di integrativo al suo stipendio, o viaggi in Italia e Spagna ma anche un contributo per una missione in Kazakistan e un bonifico di quasi 40 mila euro finalizzato a deviare il corso di questi appalti e ottenere in anticipo tutte le informazioni rilevanti. Piccole somme di denaro, se si pensa al giro di denaro del petrolio, che non hanno neanche portato al risultato sperato. Gli appalti sono, infatti, andati ad altri soggetti.

Ma il fatto resta comunque punibile e la procura di Milano si era attivata nel 2019 dopo una segnalazione dell'Olaf, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode che indaga proprio sulle frodi ai danni dei fondi del bilancio della Ue. Il fascicolo era andato in carico al pm Danilo Ceccarelli, che proprio ora è diventato il responsabile italiano della neonata Procura europea Eppo, e passando di mano era arrivato a Enrico Pavone che ha chiuso davanti al gip il patteggiamento per i tre italiani, che hanno preso due anni a testa.

Ha patteggiato anche la società Lattanzio Advisory ai sensi della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, seguita dall'avvocato Sergio Spagnolo. La società nel frattempo ha cambiato nome in LA Internazional Cooperation. In totale gli imputati e la società hanno risarcito circa 380 mila euro, compresa la confisca operata a suo tempo, che in parte finiranno anche alla Macedonia.

Resta solo da definire la posizione dell'indagato inglese. E da registrare questa piccola vittoria della giustizia in un settore – la corruzione internazionale – ancora troppo poco esplorato dalla giurisprudenza, che forse fatica a riconoscerne il peso.


Precisazione dell’Eni:

Gentile Direttore, in merito all’articolo “Corruzione internazionale in Macedonia, tre italiani patteggiano”, pubblicato online dal suo giornale a firma di Alfredo Faieta, teniamo a precisare quanto segue. Al termine del procedimento Eni-Nigeria, il Tribunale di Milano ha assolto l’azienda, i suoi manager e tutti gli imputati dall’accusa di corruzione internazionale perché il “fatto non sussiste”, che significa che nell’ambito del dibattimento sono emerse prove che hanno dimostrato in modo inequivocabile che non vi fu alcun atto corruttivo.

È quindi sconcertante, e va contro i più basilari principi del diritto, che il giornalista parli di “assoluzione omnibus (…) nonostante i tanti indizi del pagamento di un maxi tangente (…)”. Questo anche alla luce delle ipotesi che sono emerse recentemente a mezzo stampa relative all’esistenza di ulteriori prove della totale innocenza di Eni e dei suoi manager che mai sarebbero state depositate nel procedimento, vicenda rispetto alla quale l’azienda attende con il massimo rispetto gli esiti del lavoro della magistratura.

Eni si riserva di valutare le opportune azioni legali a tutela della reputazione propria e di quella delle proprie persone. Vi chiediamo di pubblicare questa nostra precisazione. 

Erika Mandraffino

Direttore Comunicazione Esterna Eni

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