A Bologna gli artisti di strada staranno fermi fino a mercoledì, a Torino sono tornati in strada i primi di maggio, a Roma si erano fermati con la zona arancione ma con il giallo sono tornati a esibirsi, a Venezia dovranno aspettare la fine di giugno. A Palermo la zona gialla ha fatto cessare il divieto di stazionamento in alcune piazze che comprendeva anche le esibizioni degli artisti di strada. Genova e Napoli non hanno mai chiuso ufficialmente strade e piazze, neanche in zona rossa. In molti casi, l’arte di strada è stata semplicemente ignorata. Dove invece non lo è stata, è l’ultima a ripartire.

In Italia gli artisti che si esibiscono regolarmente in strada sono qualche migliaio, a cui si aggiungono quelli che lo fanno in modo saltuario. Una vera nicchia nella nicchia nel settore dello spettacolo. Con la chiusura dei teatri, le tournée annullate e i concerti rimandati a data da destinarsi, i lavoratori dello spettacolo sono stati i primi a fermarsi a inizio 2020. Ma nei mesi successivi allo stop, quando è stato chiaro che non si sarebbe ripartiti tanto presto, si sono auto-organizzati, sono scesi in piazza con i loro bauli e hanno occupato i teatri per far sentire la propria voce.

Gli artisti di strada invece sono stati pressoché ignorati: con il lockdown non hanno potuto lavorare, nonostante le esibizioni all’aperto, il pubblico ridotto e il distanziamento. Le aperture a singhiozzo non hanno facilitato loro la ripresa del lavoro e per molti è stato difficile accedere a ristori e redditi sostitutivi. C’è chi ha chiesto il reddito di emergenza, chi ha cambiato lavoro e chi ha iniziato a fare le consegne per sbarcare il lunario.

Invisibili

Il loro è un mondo più frammentato ed eterogeneo in cui si mescolano professionisti e amatori, persone che lo fanno per lavoro, tutti i giorni, e altri che lo fanno in modo saltuario. C’è chi lavora solo in strada e chi affianca agli spettacoli all’aperto quelli in teatri o festival. Alcuni si esibiscono a cappello, altri hanno la partita iva. E questo rende difficile un coordinamento.

«Ci sono esigenze e visioni molto diverse dello stare in strada. Una delle difficoltà è che a livello fiscale siamo quasi inesistenti: chiediamo al pubblico di sostenere la nostra impresa con offerte libere, che non vengono conteggiate. Qualcuno si aggrappa a questa libertà e non vuole rientrare nei calcoli pensionistici; altri vorrebbero poter avere almeno la scelta, anche perché quando ci sono rivendicazioni da portare alle amministrazioni, almeno saremmo visibili. E invece lo siamo solo quando lavoriamo, in strada. E se non stiamo lavorando o non ci è permesso di farlo, scompariamo del tutto».

La sensazione di essere invisibile agli occhi del mondo Chiara Trevisan l’ha provata a lungo a partire dal marzo dell’anno scorso. Dai primi anni Duemila l’artista scende in strada, in una piazza del centro di Torino, per offrire letture su misura, un ospite alla volta, scelte dopo averlo ascoltato, per provare a offrirgli, attraverso i libri, un punto di vista inaspettato.

Trevisan si definisce un’artista ibrida, perché lavora sia nei festival ufficiali sia «in strada libera», grazie a una legge della regione Piemonte del 2003 che permette agli artisti di esibirsi senza dover richiedere permessi e pagare tasse di occupazione del suolo. Come lei, molti hanno colto l’occasione di sperimentare la propria arte nello spazio pubblico, e questo ha portato il comune di Torino a creare un regolamento per limitare il sovraffollamento: un sistema di prenotazione degli spazi che ha permesso di regolamentare le durate delle esibizioni. All’inizio è stato calato dall’alto, ma poi la comunità degli artisti di strada è riuscita a introdurre delle modifiche, dialogando con le istituzioni locali. «Però con il lockdown tutto si è interrotto», ricorda Trevisan, e sono iniziate le esibizioni “a singhiozzo”.

Il Circo Paniko

Tra gli artisti che non vanno in scena da un po’ c’è il Circo Paniko, un collettivo di circa 35 persone di diverse provenienze che, da 12 anni, progettano insieme le loro esibizioni che poi portano in giro per l’Italia. Si basano solo sul sostegno del pubblico, chiamato a fare un’offerta libera, e restano indipendenti da sovvenzioni e committenti. Quando la pandemia li ha bloccati e divisi, ciascuno nella propria regione, hanno provato a radunarsi online, ma con grandi difficoltà di connessione, essendo abituati a confrontarsi per giornate intere. E molti sono rimasti senza reddito. «Chi poteva dimostrare di aver lavorato sette giorni ha ottenuto il bonus di 600 euro mensili e con quelle poche briciole è riuscito a campare. C’è chi ha cercato altri lavori e chi aveva messo da parte qualcosa e ha potuto contare su quello», racconta Andrea Niccolai, illustratore delle locandine del Circo Paniko. L’aspetto economico è importante, ma il Circo Paniko non l’ha mai messo al primo posto, «a volte abbiamo fatto scelte poco sostenibili, convinti che il nostro lavoro si fonda così tanto con lo stile di vita e con la passione per il circo contemporaneo da puntare sull’autoproduzione, portando in giro i nostri spettacoli con l’offerta libera e un rischio d’impresa molto alto, ma rimanendo indipendenti».

Dopo mesi di stallo o aperture a singhiozzo, ora gli artisti del circo e la lettrice vis-à-vis vedono uno spiraglio. Loro si sono incontrati di nuovo nei giorni scorsi. Hanno montato il tendone in una località dell’Appennino emiliano, per trascorrere insieme le settimane necessarie a provare il prossimo spettacolo: dal 5 al 19 giugno saranno a Merano per il Festival Asfaltart. Lei dal 3 maggio è potuta tornare in strada e si è portata alcuni cartelli per ricordare al pubblico di indossare la mascherina e mantenere le distanze previste, che ha misurato nello spessore di 52 libri.

Leggi locali

Poco più di un mese fa Trevisan aveva consegnato a un post su Facebook uno sfogo amareggiato per lo stop imposto al mondo dell’arte di strada, ultimo nella lista delle espressioni artistiche da riammettere al pubblico, anche all’aperto e con pubblico distanziato. Anche a Torino, che pure fino ad allora aveva interpretato il divieto agli spettacoli dal vivo in modo meno restrittivo di altre città, lasciando agli artisti la possibilità di esprimersi nello spazio pubblico, sebbene con limiti e condizioni a cui loro si sono adeguati. A quel punto Trevisan ha deciso di presentarsi lo stesso con la sua bicicletta e i suoi libri, in una piazza del centro, insolitamente con il suo computer portatile e le cuffie in testa, per offrire le sue letture personalizzate in presenza, sì, ma a distanza, come a sottolineare l’assurdità di non poter svolgere la sua attività consueta che, come quella di molti altri artisti, non comporta il rischio di assembramento.

«Il problema è che ogni città ha regole diverse che dipendono anche dall’amministrazione in carica. L’arte di strada, invece, per sua definizione dovrebbe essere nomade. Ma è impossibile se una cosa è consentita in una città e vietata in un’altra, se da una parte c’è la piattaforma online per prenotarsi e dall’altra bisogna rivolgersi ai vigili, se in una se ne occupa l’ufficio cultura e in un’altra l’ufficio istruzione», spiega Giuseppe Boron, presidente della Federazione nazionale arte di strada.

In Italia, a parte la previsione costituzionale, esistono solo due leggi regionali, in Piemonte e Puglia, a cui si dovrebbe aggiungere quella della regione Lazio che si sta muovendo per adottarne una, e nessuna normativa nazionale (una proposta era stata presentata nella scorsa legislatura ma poi si è arenata).

«Ma le normative regionali sono ampiamente disattese e non c’è un ufficio a cui rivolgersi per farle rispettare. Servirebbe una normativa nazionale o almeno una serie di princìpi a cui tutti i comuni devono attenersi, sia che adottino un regolamento sia che non ce l’abbiano. Quello fondamentale è che l’arte di strada deve essere libera», aggiunge il presidente della Fnas.

Da una decina di giorni, non lontano da Bologna e solo per le prove, il tendone del Circo Paniko è di nuovo in piedi, pieno di quel «magma creativo, non saprei come altro definirlo – dice Niccolai – che è molto fertile per la crescita e lo sviluppo dei bambini e dei ragazzi», compresi i figli degli artisti, come tutti a lungo privati di questa possibilità.

«Nel collettivo abbiamo tutti dei figli e dei bimbi piccoli. E per noi è molto triste e avvilente offrirgli solo quello che può produrre la tv, i cartoni animati, i fumetti o Netflix. Per noi lo spettacolo dal vivo è fondamentale».

Senza spettacoli

Con la sospensione degli spettacoli dal vivo, abbiamo tutti sperimentato che si può vivere e crescere senza. Ma «il problema sono gli effetti che ancora non possiamo prevedere e non promettono bene», avverte Niccolai. «Molta della nostra personalità e della nostra attitudine alla vita deriva dall’aver visto fin da piccoli il circo che arriva in città, l’arte di strada, i musicisti in piazza. E quel sapore, quel senso di vita che dà molta libertà, per noi è importantissimo per dare una forma artistica alla diversità e alla molteplicità di modi di essere. Noi siamo preoccupati perché questa è la parte che più viene dimenticata e tagliata dal punto di vista culturale. Il sistema dei bandi o delle sovvenzioni privilegia sempre la grande progettazione, dà struttura a progetti artistici e culturali di grande pregio ma che rischiano di essere più freddi».

Durante i lunghi mesi di isolamento, dentro casa, Chiara Trevisan temeva che le persone non avrebbero sentito la mancanza dell’arte di strada. «Invece sono bastate un paio di uscite per vedere che non è così, che ce n’è desiderio, ce n’è bisogno, che il pubblico ha già imparato a mantenere le distanze, a rispettare la turnazione, a stare dietro a una riga per terra». Per questo si augura che finisca l’intermittenza della possibilità di stare nello spazio pubblico, ancora più pesante per chi fa un mestiere, come il suo, per natura intermittente. In questo anno, oltre al reddito, gli artisti di strada hanno perso la possibilità di esprimersi e per molti questo coincide con la possibilità di essere sé stessi.

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