Il green pass, esteso a una serie di attività e servizi dall’ultimo decreto-legge (n. 105/2021), sarà forse previsto anche per altri usi, dai trasporti pubblici ai luoghi di lavoro. In attesa delle prossime decisioni, ci si chiede se un ricorso ancora più ampio a questo strumento non rischi di introdurre surrettiziamente un obbligo di vaccino. E, allora, perché non imporre un obbligo vero e proprio in via generalizzata, al di là di singole categorie di lavoratori? Vanno chiarite le condizioni alle quali l’imposizione è subordinata.

Le condizioni per imporre un obbligo vaccinale

L’art. 32 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di tutelare la salute, «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», disponendo inoltre che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», e sempre entro «i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Dunque, l’art. 32 sancisce il diritto del singolo di scegliere se, quando e come curarsi, cioè anche il diritto di non curarsi, quindi pure di rifiutare la vaccinazione. Tuttavia, la salute è un bene non solo individuale, ma anche collettivo: non si è liberi di nuocere alla salute altrui. Perciò la Costituzione prevede che possa essere imposto un determinato trattamento sanitario, quindi anche una vaccinazione, mediante una legge dello Stato. Può utilizzarsi un decreto-legge, ma non un atto amministrativo o una legge regionale.

La Consulta ha affermato che la legge impositiva di un obbligo vaccinale deve soddisfare alcune condizioni: il trattamento dev’essere «diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri»; non deve comportare conseguenze negative per la salute di chi vi è sottoposto, salvo quelle «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»; nell'ipotesi di danno ulteriore va prevista «una equa indennità».

E non basta. Di ogni restrizione della sfera di libertà individuale - qual è l’obbligo vaccinale - dev’essere motivata la proporzionalità alla gravità della situazione su cui interviene; l’adeguatezza e la necessarietà al fine cui è indirizzata; la minore pervasività rispetto ad altre soluzioni. La proporzionalità comporta, tra l’altro, una gradualità nella soluzione adottata (e questo spiega anche il motivo per cui, prima di valutare il ricorso all’obbligo vaccinale, il governo abbia introdotto il green pass, progressivamente in forma più estesa). L’adeguatezza al fine impone che sia individuato l’obiettivo perseguito dalla limitazione: il governo dovrebbe precisarlo puntualmente (immunità di gregge, attenuazione della circolazione delle varianti, alleggerimento della pressione sulle strutture sanitarie ecc.), ciò anche per consentire di valutare la necessarietà dell’obbligo stesso. Le predette condizioni, attinenti al piano scientifico, andrebbero motivate in trasparenza, con dati a supporto. Da esse scaturisce una conseguenza ulteriore: la previsione di un termine finale dell’imposizione, legato all’obiettivo cui l’obbligo è funzionale. A questo proposito – per inciso - il governo farebbe bene a chiarire la finalità e, quindi, la scadenza nell’utilizzo del green pass, come necessario per ogni limitazione della sfera individuale.

Infine, se per ineludibili ragioni di salute pubblica venisse imposto il vaccino da una certa data, entro tale data ciascuno dovrebbe avere la possibilità di vaccinarsi: ogni obbligo dev’essere esigibile. Questo è un elemento essenziale nella decisione, in termini di disponibilità sia di dosi di vaccino che di vaccinatori.

Le condizioni elencate andrebbero rispettate anche nel caso di un uso del green pass esteso a un punto tale da renderlo condizione per lo svolgimento di una “normale” vita sociale: come detto, la vaccinazione diventerebbe una soluzione comunque “obbligata”, data l’onerosità dei costi del tampone, sia pure a prezzo calmierato.

Le penalizzazioni per la mancata vaccinazione

Negli ultimi giorni, qualcuno ha proposto “penalizzazioni” per i non vaccinati: ad esempio, far gravare su di essi in tutto o in parte le spese per curarli da Covid-19. Al riguardo, va chiarito che, nemmeno ove la vaccinazione divenisse obbligatoria, la sanzione per la violazione dell’obbligo potrebbe consistere nell’annullamento di diritti inviolabili, come quello alle cure. E mettere a carico di un no-vax anche solo alcune spese sanitarie potrebbe comportargli l’impossibilità di curarsi. Il servizio sanitario esistente in Italia è universale anche nel senso che garantisce le prestazioni mediche di cui ogni persona necessita, a prescindere dalla causa che le rende necessarie. Quanto affermato trova conforto nella disciplina delle attuali vaccinazioni obbligatorie per la popolazione in età scolastica: la violazione dell’obbligo non determina il divieto di accesso all’istruzione, ma solo l’impossibilità di frequentare asili nido e scuole dell’infanzia, mentre per le altre c’è una sanzione pecuniaria a carico dei genitori (o di chi esercita la potestà).

Parimenti poco fondata sul piano giuridico appare la proposta di un ticket sanitario “maggiorato” per i non vaccinati. Il ticket rappresenta un eventuale contributo del cittadino al Servizio Sanitario Nazionale. Non può esserne prevista una valenza “sanzionatoria”: se ne distorcerebbe la natura. Peraltro, ogni cittadino-contribuente è obbligato a stipulare con lo Stato la propria “assicurazione” sanitaria, pagata attraverso l'imposizione fiscale: le relative prestazioni non potrebbero poi essergli negate con la richiesta di un pagamento ulteriore. Infine, imporre un ticket più elevato ai non vaccinati aprirebbe la strada all’uso dello stesso metodo verso chi mette a rischio la propria salute con eccessi di cibo, alcool o altro. Lo stato “etico” sarebbe a un passo.

Chiarito questo profilo, va comunque detto che un obbligo vaccinale - per essere tale – va corredato di conseguenze in caso di violazione. Può prevedersi una sanzione pecuniaria a titolo di riparazione, analogamente alle mancate vaccinazioni dei bambini, che avrebbe anche una funzione deterrente.

La Consulta ha affermato che, considerata la necessità di bilanciare i molteplici «valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni» - dalla salute pubblica alla libertà personale alla solidarietà sociale - il legislatore può valutare le «modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive», selezionando «talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo». La decisione circa la tecnica da adottare deve, quindi, basarsi su valutazioni sia scientifiche – «condizioni sanitarie ed epidemiologiche», nonché «acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica» - sia politiche, cioè discrezionali.

In conclusione, un obbligo vaccinale anche generalizzato sarebbe legittimo, nel rispetto delle condizioni sopra viste. Non resta che attendere le prossime scelte del governo.

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