La vicenda del bambino che deve essere operato al cuore, ma i cui genitori non vogliono che per una possibile, necessaria trasfusione venga utilizzato il sangue di una persona vaccinata, ha avuto un grande rilievo sui mass media e ha suscitato stupore, incredulità e indignazione in chi ha fiducia nella scienza e nella medicina.

Le motivazioni addotte a questo rifiuto – giustamente impedito dalle autorità competenti – sono piuttosto preoccupanti in quanto rispecchiano quella che è la cieca e illimitata fede che le persone no-vax hanno nelle bufale che vengono loro raccontate, e che a loro volta spesso alimentano.

Le motivazioni

Ma vediamo quali sono le motivazioni di questa triste vicenda. Iniziamo da quelle di ordine religioso, basate su una informazione del tutto errata relativa all’uso di cellule umane fetali nella preparazione dei vaccini contro il Sars-CoV-2. I vaccini che stiamo utilizzando, e che hanno totalmente cambiato il corso della pandemia, sono basati sull’ingegneria genetica, cioè sulla costruzione in laboratorio di una molecola di Dna o di Rna messaggero che contengano le informazioni necessari a far produrre la proteina spike all’interno del nostro organismo, così da permettere il suo riconoscimento da parte del sistema immunitario.

Non c’è alcun utilizzo di cellule dal momento che nella preparazione del vaccino il processo di amplificazione del Dna o dell’Rna avviene in vitro, senza cellule, con reazioni di puro carattere biochimico, un po’ complesse da spiegare ma estremamente efficienti dato che i costrutti molecolari (cioè le molecole che costituisco i vaccini) sono stati finora moltiplicati un numero pressoché infinito di volte.

Il secondo motivo del rifiuto è legato alla paura che nel sangue delle persone vaccinate circoli la proteina spike, che viene – erroneamente - ritenuta capace di provocare danni al miocardio, amplificati in chi soffre già di una patologia cardiaca.

Ma la spike, o per meglio dire, la porzione della proteina che serve per indurre la risposta immunitaria, è veramente presente nella parte liquida del sangue, cioè nel plasma? La risposta è molto semplice: certamente e necessariamente si, ma solo per un breve periodo e all’inizio del ciclo vaccinale. La vaccinazione con mRna o Dna deve far produrre la proteina di interesse alle cellule dendritiche della regione in cui il vaccino viene iniettato. Per essere in grado di attivare la risposta immunitaria immunogenica, la proteina deve prendere due vie.

Una parte della spike viene immediatamente degradata dentro alla cellula stessa, e i suoi frammenti sono montati su particolari molecole che vengono esposte sulla membrana cellulare. Questi frammenti vengono fatti vedere ai linfociti T, le cellule che devono aiutare quelle che producono anticorpi, e li attivano. L’altra parte della proteina prodotta deve invece uscire intatta dalla cellula ed essere captata dai linfociti B, che dopo essere stati aiutati dai linfociti T diventano plasmacellule e producono gli anticorpi che ci difendono.

È questa la spike che circola nel plasma. Questo processo è stato studiato molto bene fin dall’inizio della campagna vaccinale, e sappiamo che 24 ore dopo la prima dose la proteina compare nel sangue, raggiunge il suo massimo (circa 70 picogrammi – ovvero 0,07 miliardesimi di grammo - per millilitro di plasma) dopo 4-5 giorni e poi scompare in circa due settimane, quando inizia la produzione dei primi anticorpi.

Quando una persona riceve la seconda dose di vaccino, la spike trova già degli anticorpi che la aspettano e la rimuovono dal plasma, lasciandola però capace di attivare nuovamente il sistema immunitario, con una ulteriore produzione di anticorpi e cellule T.

Il fenomeno si ripete con maggior forza dopo la terza somministrazione. Quindi il plasma di una persona vaccinata con il ciclo completo è da subito del tutto privo di spike, e può essere usato con la massima sicurezza.

Inoltre, se si aspetta un paio di settimane dopo la somministrazione della terza dose, lo stesso plasma contiene un altissimo titolo di anticorpi che possono proteggere chi lo riceve, anche e soprattutto un bambino che subisce un forte stress capace di abbassare le difese immunitarie, come un intervento cardiochirurgico.

© Riproduzione riservata