Omicron, la nuova variante del Sars-CoV-2 da poco identificata in Sudafrica, si sta diffondendo rapidamente in tutti i paesi del mondo, e sta colpendo anche individui vaccinati o guariti, già immunizzati.

Ormai i dati scientifici lo dimostrano chiaramente: la variante Omicron ha una notevole capacità di sfuggire all’immunità prima acquisita grazie al vaccino o alla malattia; perciò, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane provocherà moltissimi altri casi di Covid, e noi dovremo essere pronti.

Il pericolo è grande, ma non dobbiamo farci prendere dal panico perché nonostante tutto la situazione è sotto controllo. Per prima cosa, anche se sfugge parzialmente al vaccino, con questa nuova variante rischia di essere infettato, di ammalarsi in maniera grave e di morire soprattutto chi non è vaccinato, mentre chi è vaccinato ha minori probabilità di ammalarsi, e ancor meno di aggravarsi o di morire.

E poi, abbiamo i mezzi per difenderci, che sono soprattutto le terze dosi dei vaccini e le cosiddette misure non farmacologiche di intervento, come mascherine, tracciamento e distanziamento sociale.

La lezione inglese 

Gran parte delle nostre conoscenze su Omicron provengono dai paesi in cui l’epidemia viene più attentamente controllata: gli Usa e la Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, la variante Omicron è diventata dominante in soli sette giorni: una settimana fa rappresentava appena il 10 per cento dei casi, oggi è responsabile del 75 e in alcuni stati addirittura del 95 per cento dei circa 120.000 positivi giornalieri.

In Gran Bretagna i casi da Omicron sono esplosi. Ma quel che più preoccupa sono i cosiddetti “breakthrough cases”, ovvero le infezioni che “fanno breccia” nell’immunità precedentemente acquisita, colpendo individui già vaccinati o guariti dalla malattia.

Il nuovo Rapporto sullo stato dell’epidemia di Covid-19, dal titolo “Crescita, distribuzione nella popolazione e fuga dall’immunità della variante Omicron in Inghilterra”, redatto dal team di scienziati dell’Imperial College di Londra, e pubblicato il 16 dicembre scorso, offre molte informazioni interessanti.

Il team di scienziati stima che il rischio di reinfezione con la variante Omicron sia 5,4 volte maggiore di quello da variante Delta. Ciò significa che la protezione della reinfezione garantita da un’infezione precedente o dal vaccino è scesa al 19 per cento.

Poi, gli scienziati descrivono l’andamento dell’epidemia in Inghilterra, nella settimana precedente: «In totale, abbiamo avuto 196.463 casi positivi al Sars-CoV-2 senza fallimento del bersaglio del gene S (probabilmente infettati da un’altra variante), e 11.329 casi con fallimento del bersaglio del gene S (probabilmente infettati dalla Omicron)». Cosa significa questa frase?

I casi da variante Omicron vengono ancora identificati in maniera “presuntiva” attraverso il fenomeno del «fallimento del bersaglio del gene S» al tampone molecolare.  

I tamponi molecolari

Cecilia Fabiano/ LaPresse

Normalmente, nel test con tampone molecolare – che in realtà noi scienziati chiamiamo Pcr, ovvero Reazione a catena della polimerasi – si utilizzano tre “esche” molecolari per pescare tre geni del virus, che, se sono presenti, abboccano all’amo, vengono amplificati da una macchina, e poi rilevati nell’esame.

Nei portatori di variante Omicron, il tampone molecolare rileva la presenza di due geni ma non del terzo, il gene S che codifica per la proteina Spike del virus, fenomeno che viene detto «fallimento del bersaglio del gene S».

Ciò accade perché il gene S che codifica la sua proteina Spike contiene così tante mutazioni, 53 per la precisione, da non essere riconosciuto dalle esche molecolari. Quindi, tutti i tamponi molecolari che risultano positivi per due geni su tre, con fallimento del gene S, vengono conteggiati come Omicron.

Quello che scrivono gli scienziati nel rapporto è preoccupante: «I risultati suggeriscono che la proporzione di casi di Omicron stia raddoppiando ogni due giorni a partire dall’11 dicembre. Sulla base dei nostri risultati stimiamo che il numero di riproduzione (R) di Omicron sia superiore a 3».

Cosa significa? Il numero di riproduzione R indica il numero medio di individui che un soggetto infetto da un virus può contagiare, in media. Quindi, dire che la variante Omicron ha una R pari a 3 significa che ogni soggetto da esso infettato ne contagia in media altri tre: questo è un dato rassicurante perché la variante Delta aveva un R pari a 6, praticamente doppio.

Però quello che preoccupa è il dato seguente, il cosiddetto tempo di raddoppio: i casi di variante Omicron raddoppiano ogni due giorni, mentre quelli da variante Delta lo facevano circa ogni sette giorni, il che significa che Omicron si sta diffondendo a una velocità altissima.

Il tempo di raddoppio

Cecilia Fabiano/LaPresse

E perché? Perché se penetra nel tuo corpo, il virus Omicron, grazie alla sua proteina Spike mutata, si attacca alle cellule del tuo naso e dei tuoi polmoni con straordinaria efficacia, e non si stacca più.

La proteina Spike è quella che il virus utilizza per attaccarsi alle nostre cellule, perché agisce come una “chiave” che esso utilizza per entrare dentro alla “serratura” formata dal recettore Ace2 presente sulle superficie delle cellule delle vie aeree e degli alveoli polmonari.

Le tante mutazioni nella proteina Spike di Omicron ne hanno alterato la struttura, e le hanno conferito la capacità di agganciarsi meglio alle cellule delle nostre vie aeree, rendendolo più contagioso.

La proteina Spike, però, è anche quella che genera la risposta immunitaria del nostro organismo. I nostri linfociti B producono diversi tipi di anticorpi contro i vari antigeni presenti sulla superficie del virus, ma sono quelli contro la proteina Spike i più efficaci a bloccare il virus, e sono i linfociti T che riconoscono la proteina Spike del virus quelli che meglio degli altri lo uccidono e lo fagocitano.

Il problema è che chi è stato contagiato da una variante precedente del virus oppure è stato vaccinato con i vaccini attuali possiede linfociti B e T che agiscono contro la proteina Spike, ma dei virus “vecchi”.

Purtroppo, le tante mutazioni della proteina Spike di Omicron le conferiscono la proprietà di non essere riconosciuta, almeno in parte, dagli anticorpi prodotti dai linfociti B e dai linfociti T killer attivati dalle varianti precedenti: perciò Omicron si dice che “evade” parzialmente dalla immunità precedentemente acquisita.

Scrivono gli scienziati inglesi: «I ricercatori hanno trovato un aumento significativo del rischio di sviluppare un caso di Omicron sintomatico in chi aveva ricevuto due dosi di vaccino, e anche in chi aveva ricevuto una dose booster di vaccino da due settimane. Ciò si traduce in una efficacia del vaccino nel prevenire un’infezione sintomatica da Omicron che varia tra lo 0 e il 20 per cento per chi ha ricevuto due dosi, e tra il 55 e l’80 per cento per chi ha ricevuto la terza dose». 

L’efficacia del vaccino

Cecilia Fabiano/LaPresse

Attenzione! Non facciamo allarmismi: questi dati significano che i vaccini hanno un’efficacia diminuita nel prevenire un’infezione sintomatica, mentre mantengono ancora un’efficacia sufficientemente alta nel prevenire la malattia grave e le morti. Inoltre, i primi dati preliminari suggeriscono che la terza dose del vaccino possa proteggere in maniera efficace sia dall’infezione sintomatica che dalla malattia grave.

«Lo studio non ha trovato evidenze che Omicron provochi una malattia meno grave della Delta», proseguono gli scienziati.

Infine, il professor Neil Ferguson, capo del team dell’Imperial College, ha affermato: «Questo studio offre prove ulteriori di quanto Omicron possa evadere da un’immunità precedentemente acquisita in seguito all’infezione o alla vaccinazione.  Il suo livello di evasione immunitaria significa che Omicron pone una minaccia grave e imminente alla salute pubblica».

Una minaccia grave ed imminente, ricordiamolo: perciò, dobbiamo vaccinare tutti con la terza dose, vaccinare i bambini, indossare mascherine al chiuso ed evitare assembramenti, mentre gli scienziati dovranno sviluppare in fretta nuovi ed efficaci vaccini.

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