In questo periodo di dolore e tragedie provocate dall’invasione dell’Ucraina, almeno c’è una buona notizia: la pandemia di Covid-19 in Italia sta terminando. Sarebbe forse più giusto dire che sta finendo questa ondata epidemica, perché una nuova variante mutata del coronavirus capace di sfuggire all’immunità acquisita e in grado di reinfettarci tutti quanti potrebbe comparire nel mondo da un momento all’altro. Ma almeno per ora, l’epidemia sta volgendo al termine, come dimostrano i dati dell’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità, pubblicato venerdì scorso.

Si legge nel rapporto: «Nel corso delle ultime settimane è stata registrata una diminuzione del numero dei casi segnalati, delle ospedalizzazioni e dei ricoveri in terapia intensiva. Sono invece ancora in aumento i decessi. Nell’ultima settimana il tasso di incidenza risulta superiore ai mille casi per 100mila abitanti solo nella fascia d’età 0-9 anni, mentre in tutte le altre fasce d’età risulta compreso fra 250 e mille casi per 100mila abitanti. Il tasso di incidenza a setti giorni dei casi segnalati e dei ricoveri in tutte le fasce di età risulta in diminuzione da tre settimane». In altre parole, per ora è finita. Lo dicono i dati.

L’Rt è basso

L’Rt – ovvero il numero di riproduzione, che indica quanti individui in media può contagiare ogni infetto dal coronavirus – nelle scorse due settimane è stato pari a 0,70, in ulteriore calo rispetto allo 0,77 delle settimane precedenti. L’Rt non era così basso da giugno scorso.

Diminuisce anche l’incidenza settimanale dei casi di Covid, che passa da 704 per 100mila abitanti della settimana tra il 7 e 13 febbraio a 560 per 100mila abitanti della settimana successiva: la curva continua a scendere, rispettando una tendenza iniziata ormai da alcune settimane.

Prosegue il rapporto: «Nella fascia 0-9 anni si registra il più alto tasso di incidenza a 14 giorni, pari a 2.551 per 100mila, mentre nella fascia di età 70-79 anni si registra il valore più basso, pari a 628 casi per 100mila abitanti. Decresce in tutte le fasce l’incidenza a 14 giorni. Nelle fasce 0- 9 e 10-19 anni si registra la maggiore diminuzione. L’età mediana dei soggetti segnalati negli ultimi 14 giorni è pari a 37 anni, stabile rispetto alla scorsa settimana». Il che significa che i nuovi casi di infezione da coronavirus si registrano soprattutto tra i più giovani, che sono meno vaccinati rispetto al resto della popolazione adulta.

Il tasso di occupazione delle terapie intensive scende all’8,4 per cento – non era così basso dal 16 dicembre scorso, quando aveva raggiunto il valore di 9,6, e da quel giorno si era mantenuto sempre sopra il 10.

Grazie al vaccino

I casi settimanali di Covid sono in enorme diminuzione per un unico motivo: il coronavirus non riesce più a trovare individui suscettibili da infettare, dato che gran parte della popolazione si è immunizzata perché è entrata in contatto col virus oppure perché si è vaccinata. Dal 7 al 20 febbraio sono stati segnalati 771.327 nuovi casi di Covid, e tra questi 715 sono deceduti.

La mortalità nella popolazione di età superiore ai 12 anni, fra il 31 dicembre 2021 al 30 gennaio 2022, per i non vaccinati (114 decessi per 100mila abitanti) è sei volte più alta rispetto ai vaccinati con due dosi (23 decessi per 100mila abitanti) e 17 volte più alto rispetto ai vaccinati con la terza dose (sette decessi per 100mila abitanti). I ricoveri in terapia intensiva per i non vaccinati (30 per 100mila) sono sei volte più alti rispetto ai vaccinati con ciclo completo (cinque ricoveri per 100mila) e 17 volte più alti rispetto ai vaccinati con terza dose (due ricoveri per 100mila).

Scendono sotto i 5 milioni gli italiani al di sopra dei 5 anni che non hanno ancora fatto neanche una dose di vaccino anti Covid: sono 4.847.910. Gli ultracinquantenni non vaccinati sono 1 milione e 282. Solo una settimana fa erano rispettivamente 5 milioni e 1,3 milioni. Lentamente, quindi, gli irriducibili o gli incerti decidono di vaccinarsi, e sempre più genitori decidono di vaccinare i figli. Tuttavia, la fascia di età dove più numerosi sono i non vaccinati resta quella pediatrica (sono 1.615.397, pari al 44 per cento del totale dei bambini tra i 5 e gli 11 anni).

Una nuova variante

Grazie a questi dati incoraggianti, la cabina di regia del ministero alla Salute e dell’Istituto superiore di sanità ha deciso che il sistema dei colori delle regioni, come ha annunciato il presidente del Consiglio Mario Draghi, a partire dal primo aprile non sarà più utilizzato.

Solo un dato preoccupa: nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni è pari al 3,1 per cento sul totale dei casi segnalati, in leggera diminuzione rispetto alla settimana precedente (3,2 per cento): ma in sei mesi, dal 24 agosto 2021 al 23 febbraio 2022, i casi di reinfezione segnalati sono stati 232.818. Un numero enorme, che ci dovrebbe tenere sul chi vive: l’epidemia è in fase calante ma potrebbe ripartire da un momento all’altro. Ormai sappiamo che l’immunità acquisita grazie un vaccino o a una infezione precedente cala col tempo, e quindi un individuo si può reinfettare. Inoltre, può sempre sorgere una variante mutata del coronavirus che sfugga all’immunità precedenti e possa reinfettarci, come è capitato con Omicron.

Qualcuno aveva detto che con omicron il virus si era “raffreddorizzato”: d’altronde, i dati sperimentali mostravano che essa aveva una minore virulenza rispetto a Delta, e provocava più raramente polmoniti gravi. Però non dobbiamo scordarci che solo nell’ultimo mese omicron ha provocato 250-300 decessi al giorno (che sarebbero stati mille e più al giorno senza i vaccini). Tutti morti di raffreddore?

Un’immunità difficile

Fortunatamente, Omicron ha incontrato una popolazione in gran parte già immune, dotata di difese sufficienti non a bloccare l’infezione ma a ridurre il rischio di malattia grave.

Quindi la pandemia non è finita ma è finalmente entrata in una nuova fase: quella in cui il coronavirus incontra ostacoli crescenti alla sua diffusione perché un numero sempre maggiore di individui ha sviluppato difese immunitarie – stimolate dal vaccino o dalle infezioni precedenti – capaci di limitarne l’aggressività e la letalità. In altre parole, ci stiamo a poco a poco avvicinando all’immunità di gregge.

Cosa succederà nei prossimi due tre anni? L’immunità acquisita dalle infezioni precedenti e dalle vaccinazioni non è riuscita a impedire la diffusione di Omicron, perché Omicron è una variante “immuno-evasiva”, in grado di sfuggire agli anticorpi circolanti, ma le malattie gravi e le morti sì. Potrebbe succedere ancora? Probabile. Per due motivi: in ogni momento potrebbe sorgere una nuova variante immuno-evasiva del virus, dall’altra, gli anticorpi prodotti dai linfociti B tendono a diminuire con il tempo e, sotto un certo livello, non sono più in grado di impedire al virus di infettarci.

Convivere con il  virus

Tuttavia, anche se era in parte immuno-evasiva, Omicron ha fatto meno morti delle varianti precedenti: perché? Perché c’è un altro tipo di immunità oltre a quella mediata dagli anticorpi, ma che funziona benissimo anche contro le varianti e dura più a lungo. È l’immunità mediata dai linfociti T, che riconoscono le cellule infettate dal virus e le distruggono.

In altre parole, noi siamo protetti da due tipi di risposte immuni: gli anticorpi che neutralizzano il virus, che durano poco e sono molto sensibili alle mutazioni delle varianti immuno-evasive; e le cellule T che uccidono le cellule infettate e con esso il virus, che hanno una durata di vita molto più lunga e sono meno sensibili alle sue mutazioni.

Quindi, con ogni probabilità sorgeranno nuove varianti del coronavirus che non saranno in grado di evadere del tutto nostre le difese immuni ma provocheranno altre ondate epidemiche: molti di noi si infetteranno, ma pochi finiranno in ospedale, e ancor meno moriranno. Così, potremo “convivere” con il virus.  

E tutto questo sarà vero fino a quando non comparirà una nuova variante del coronavirus dotata di così tante mutazioni da sfuggire completamente all’immunità acquisita. Un evento raro, ma che può sempre accadere.

© Riproduzione riservata