La nuova variante Omicron del coronavirus si sta diffondendo rapidamente in tutto il pianeta e gli scienziati lavorano giorno e notte per rispondere a molte domande: la nuova variante è più contagiosa? È più aggressiva e quindi più mortale? Può sfuggire al vaccino? Dove ha avuto origine? In poche settimane lo sapremo, ma abbiamo già alcune risposte.

Il primo paziente

Sappiamo dove Omicron ha probabilmente avuto origine. Lo scorso 11 novembre un paziente malato di Aids e gravemente immunodepresso, originario del Botswana in Africa, e che da tempo aveva sviluppato anche i sintomi del Covid, viene sottoposto un tampone molecolare. Quando leggono il referto del test che serve per rilevare la presenza del virus, gli studiosi notano qualcosa di strano.

Normalmente si utilizzano tre “esche” molecolari per tre differenti geni del virus, che, se presenti, abboccano all’amo e vengono rilevati durante l’esame. Il test di questo paziente, però, rivela la presenza di soli due geni e non del terzo, il gene S che codifica per la proteina Spike del virus, un fenomeno che in gergo viene detto «scomparsa del gene S».

Gli scienziati dunque si mettono in allarme, perché se non il gene S non viene pescato significa una sola cosa: che il virus presente nel soggetto possiede una proteina Spike così piena di mutazioni da essere irriconoscibile al test.

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Nei giorni successivi gli studiosi di un altro laboratorio, questa volta sudafricano, notano la stessa scomparsa del gene S in otto altri campioni prelevati da pazienti Covid ricoverati nel Paese, e temendo la comparsa di una variante pericolosa, avvertono immediatamente il network di sorveglianza genomica del Sud Africa (Ngs-sa), che immediatamente, martedì scorso, convoca un meeting di emergenza.

«Abbiamo subito sequenziato l’Rna di ognuno di quei campioni, e siamo rimasti sconvolti dal numero di mutazioni presenti nella proteina Spike», afferma Tulio de Oliveira, virologo e capo dell’università KwaZulu-Natal e capo del Ngs-sa. «Ho immediatamente avvertito il ministro della Sanità sulla circolazione di una nuova variante del coronavirus che pareva pericolosissima».

I medici sudafricani erano preoccupati perché in quei giorni stavano osservando un enorme aumento di casi Covid nella provincia di Gauteng, quella attorno a Johannesburg. «Nelle 24 ore seguenti, il mio team ha sequenziato il genoma di 77 tamponi prelevati da malati nella provincia di Gauteng, e tutti avevano la stessa proteina S mutata», prosegue de Oliveira.

«Così abbiamo avvertito immediatamente i responsabili dell’Organizzazione mondiale della sanità dicendogli che avevamo identificato una nuova variante del virus responsabile di una grave ondata epidemica». Venerdì scorso, gli esperti dell’Oms hanno chiamato «Omicron» questo nuovo ceppo del coronavirus.

L’origine della nuova variante ci insegna una cosa fondamentale: Omicron è nata in un paziente immunodepresso, dove il virus per mesi ha potuto replicarsi incontrastato. Come negli immunodepressi anche nei non vaccinati il virus è in grado di replicarsi con più facilità.

Immunodepressi e non vaccinati

Ogni volta che si replica, un virus deve ricopiare il suo genoma per generare due virus figli, ma è proprio in quel processo di ricopiatura che possono sorgere mutazioni. Mentre in un individuo dove è presente la copertura vaccinale il virus in poche ore viene ucciso dal sistema immunitario addestrato dal vaccino, in un individuo immunodepresso o non vaccinato il virus può replicarsi indisturbato per giorni, settimane o addirittura mesi, rischiando di generare varianti. Il vaccino insomma diminuisce la probabilità che nascano nuove varianti.

I primi studi degli scienziati sulla variante Omicron forniscono altri dati confortanti. In un primo momento, quando si sono resi conto che conteneva ben 32 mutazioni nella sua proteina Spike - quella che il virus utilizza per attaccarsi alle nostre cellule – gli studiosi si sono spaventati.

La proteina è alla base della contagiosità e della aggressività del virus, è come una “chiave” che esso utilizza per entrare dentro alla “serratura” formata dal recettore Ace2 presente sulle superficie di certe nostre cellule. Ogni mutazione altera la sua struttura, e la rende in grado di entrare meglio oppure peggio dentro alla "serratura-cellula”. La chiave-spike che entra meglio nella serratura apre meglio le cellule.

La variante Omicron sembrava essere contagiosissima, perché in Sudafrica in una sola settimana i casi Covid erano aumentati di 30 volte. Però gli scienziati si sono resi conto che alcune caratteristiche della variante possono tranquillizzarci.

La proteina Spike del coronavirus in realtà è fatta di due porzioni, definite «subunità». La prima, chiamata S1, aggancia il recettore sulla cellula, attraverso una sua porzione fatta a “pinza” e chiamata Receptor Binding Domain, ovvero «dominio che lega il recettore» e che sembrerebbe responsabile della contagiosità del virus.

La seconda subunità, la S2, provoca la fusione fra la membrana del virus e quella della cellula, e permette al primo di iniettare il suo materiale genetico, il suo Rna, dentro la seconda, per infettarla e generare tante copie di virus figli. E in questo caso sembrerebbe essere responsabile della aggressività del virus.

Le 32 mutazioni nella proteina Spike di Omicron sono quasi tutte concentrate nella subunità S1, e pare che essa si agganci con più efficienza alle cellule delle nostre vie aeree rendendo la variante più contagiosa. La sua subunità S2 è praticamente priva di mutazioni, e quindi il virus non sembra essere più aggressivo e letale.

Ma la proteina Spike è anche quella che genera la risposta immunitaria del nostro organismo. I nostri linfociti B producono diversi tipi di anticorpi contro i vari antigeni presenti sulla superficie del virus, ma sono quelli contro la proteina Spike i più efficaci a bloccare il virus, e sono i linfociti T che riconoscono la proteina Spike del virus quelli che meglio degli altri lo uccidono e lo fagocitano.

Per questo motivo, i vaccini contengono un virus innocuo che esprime la proteina Spike sulla sua superficie, oppure goccioline di lipidi al cui interno sta un Rna che istruisce le nostre cellule a produrla. Quando ci vacciniamo con la Spike il nostro sistema immunitario produce anticorpi contro entrambe le subunità della proteina omonima.

Quelli contro la S1 bloccano il virus nel momento in cui cerca di agganciarsi alla cellula, quelli contro la S2 pare che siano capaci di bloccare la fusione delle due membrane, anche se non ne siamo così sicuri.

La protezione

AP Photo/Achmad Ibrahim

Studi recenti dimostrano che gli anticorpi diretti contro la subunità S2 sono quelli che ci proteggono meglio dalla malattia. Con un meccanismo particolare: si legano a S2 e richiamano verso il virus certe cellule specifiche dell’immunità innata che lo eliminano, uccidendo sia il virus sia la cellula infettata. E la proteina S2 è anche il bersaglio di certi linfociti T che in numerosi studi hanno dimostrato la maggiore efficacia contro la malattia.

Infine, la subunità S2 della variante Omicron è molto simile a quella presente in molti coronavirus responsabili del nostro comune raffreddore, e quindi il nostro sistema immunitario potrebbe essere già pronto per sconfiggere questa variante. Perciò è probabile che la variante Omicron sia più contagiosa ma meno aggressiva.

In sostanza: è probabile che la variante Omicron in breve tempo sostituisca la Delta, provocando una nuova ondata di pandemia in tutti i paesi del mondo. Ma l’ultima nata non sembra sfuggire ai vaccini in uso, o meglio, forse diminuirà la loro capacità di prevenire le infezioni, mentre dovrebbe restare invariata quella di prevenire la malattia e le morti da essa provocate.

Tutti, vaccinati e non, dovremo ridurre al minimo le probabilità di essere da essa contagiati, usando mascherine e distanziamento. I non vaccinati correranno un rischio enorme perché la nuova variante sembra essere 30 volte più contagiosa delle varianti precedenti.

L’impatto di Omicron sui nostri ospedali rischia di essere molto pesante. Queste conclusioni si basano sulle nostre conoscenze attuali, che possono cambiare di ora in ora.

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