Il bisogno non si arresta alla materialità, chiede di essere corrisposto nella sua domanda di senso, amore e giustizia. Bella prova per la sinistra reimparare che il linguaggio della concretezza ha un’intelligenza se arriva al cuore con gli esempi e una visione, quasi una fede di umanità
Fame d’anima», dal treno mi appare quella scritta pitturata in verticale, a legare, piano dopo piano, la vita di un casermone grigio che non si era goduto il 110 per cento per la facciata. Tra la stazione di Rogoredo e il centro Milano, una ragazza o un ragazzo in due parole ha gridato tutto.
Che a quel palazzone di fatiche e solitudini non basta un’imbiancatura. Il bisogno non si arresta alla materialità, chiede di essere corrisposto nella sua domanda di senso, amore e giustizia. Bella prova per la sinistra reimparare che il linguaggio della concretezza ha un’intelligenza se arriva al cuore con gli esempi e una visione, quasi una fede di umanità.
Ci sono stati giorni in cui lo sguardo era al comignolo. Credenti e non, sapevano che la cosa li riguarda. Il bene della laicità è maturato in un crogiolo dove giacciono incontri ma anche confronti drammatici nelle culture, nelle religioni, nello stesso cristianesimo.
Dopo il Risorgimento, la Resistenza, mescolata di idealità, ha donato una Costituzione segnata da una religiosità civile, la dignità umana e le radici dell’Illuminismo. Poi, la tempesta. L’Europa ha smarrito la promessa di pace e uguaglianza, il mondo è dominato dai rapporti di forza, la Terza guerra mondiale a pezzi si allarga. E Francesco era una luce nell’ordalia di odi, fondamentalismi, violenze su donne e bambini, tecnoplutocrazie col loro vitello d’oro da adorare. Lui, il papa gesuita, come congedo ha donato la papamobile a Gaza dove si consumano crimini e muore la nostra civiltà. Ha offerto misericordia e speranza, non steccati di paura e castigo.
Ora è la prima volta di un agostiniano, pastore di Chicago, teologo e missionario tra i poveri del Perù. Ha scelto il nome, Leone, come richiamo al pontefice dell’enciclica che agli albori della rivoluzione industriale fondò la dottrina sociale della chiesa contro gli sfruttamenti nel lavoro. Rerum novarum, le cose nuove, oggi si misurano con un balzo tecnologico senza eguali, con l’intelligenza artificiale e lo svuotamento della democrazia in nome del profitto e di un dominio sulle menti e la vita. Come ha scritto Marco Damilano, prima la trepidazione, poi l’annuncio, «cardinale Prevost», lo stupore e l’applauso liberatorio perché la piazza, come altre piazze, ha intuito la portata di un messaggio universale mentre i nazionalismi frantumano spazi e comunità.
Di seguito l’ascolto delle parole, «una pace disarmata e disarmante», «chi ha autorità si faccia più piccolo», «aiutateci a fare ponti». Il sipario si è alzato sulla bestemmia dell’uso di Dio a giustificazione delle guerre, dell’aggressione all’Ucraina, del pogrom di Hamas, della strage nella Striscia o dei migranti incatenati. Il re di Mar a Lago col suo cerchio evangelico è sembrato un paragrafo nella logica metastorica della chiesa. «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».
Ricordo il cardinale Camillo Ruini predicare l’astensione sul referendum contro le parti odiose della legge sulla fecondazione assistita. Però allora un presidente del Consiglio, Romano Prodi, si è definito cattolico adulto, convinto che la laicità delle istituzioni fosse un dovere e una garanzia di convivenza. Noi saremo sempre per i diritti umani, la pace, la cittadinanza, un lavoro sicuro.
La dignità delle persone non è divisibile e difenderemo la 194, la legge sul fine vita, il primato della scuola pubblica, i diritti Lgbt, l’autodeterminazione delle donne, e chissà se il Sinodo le riconoscerà nelle funzioni. Era il 1987 quando Carlo Maria Martini inaugurava la Cattedra dei non credenti. Diceva, «Ciascuno di noi ha dentro di sé un non credente e un credente che ci parlano dentro, che si interrogano a vicenda».
Quale accoglienza da un credente come lui. Forse voleva significare che mescolare inquietudini, visioni etiche aiuta a costruire virtù civiche condivise. E aiuta a interpretare quella fame d’anima, scritta sul muro di un caseggiato, che chiama in causa la sinistra in un cammino dell’alternativa che abbracci una profonda restituzione di umanità.
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