Il Centro di riabilitazione Villa Beretta si pone all’avanguardia della medicina riabilitativa mettendo a disposizione dei pazienti un nuova tecnologia: il Wandercraft Atalante, l’unico robot in Italia che permette alle persone con lesione spinale di fare riabilitazione camminando senza appoggiarsi ad alcun supporto.
L’acquisizione del Wandercraft Atalante rientra nel progetto “Fit for medical robotics”, coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dall’Istituto di biorobotica di Pisa. Il progetto ha lo scopo di rivoluzionare, attraverso nuove tecnologie robotiche e digitali, i modelli riabilitativi per le persone con ridotte funzioni motorie. Ed è proprio questo ciò che fa Wandercraft Atalante, infatti, permette a coloro che hanno subito lesioni spinali di camminare senza ulteriori supporti. Un grande passo avanti nelle tecnologie per la riabilitazione.
«Ben vengano le innovazioni tecnologiche ma solo se vengono messe a disposizione del maggior numero possibile di persone e in tempi brevi. È questo lo scopo della Medicina riabilitativa, che non è una scienza ausiliare, ma una scienza in sé e sempre più determinante per la salute dei cittadini»: queste le parole della dottoressa Mariella Enoc, Procuratrice speciale dell’ospedale Valduce di Como.
Dunque, Wandecraft Atalante segna un deciso cambio di passo nell’utilizzo della tecnologia robotica indossabile al servizio della Medicina riabilitativa. Questa branca della medicina si occupa del recupero delle capacità di pensare, muoversi e relazionarsi a fronte di disabilità che derivano da lesioni del sistema nervoso avvenute dopo traumi, infezioni, eventi vascolari o determinate da malattie genetiche o neurodegenerative.
Il direttore del Centro di riabilitazione di Villa Beretta, Franco Molteni, ha spiegato: «A differenza dei classici robot, che tendono a sostituirsi alla volontà e al pensiero della persona, i cobot come Wandercraft Atalante, se opportunamente programmati dagli specialisti, entrano in relazione e interagiscono con l’individuo al punto da coadiuvarne il pensiero e l’intenzione di movimento. Sono strumenti che rappresentano l’avanguardia della biotecnologia, la massima interazione possibile tra corpo umano e macchina, e consentono prospettive di recupero impensabili fino a pochi anni fa».
«Gli studi hanno dimostrato che i programmi riabilitativi con robotica collaborativa permettono una riorganizzazione del sistema nervoso centrale attraverso un aumento della plasticità sinaptica e della connettività funzionale, grazie anche all’incremento dell’attività dei neurotrasmettitori, considerati il “carburante” per il suo funzionamento. Camminare con le braccia libere di reggere un vassoio o di far rimbalzare un pallone non è un vezzo biomeccanico: è un modo biotecnologico per riconquistare gli spazi di movimento e di interazione con l’ambiente che la persona aveva dentro, impressi nel suo Dna, ma che ha perduto una volta costretta alla carrozzina».
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