Un reset natalizio per riportare l’epidemia ai valori tranquilli di indici trasmissione sotto a uno. La proposta del virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti ha avviato il dibattito su un nuovo lockdown. Che per essere tale deve essere completo. Non le mezze vie tentate da alcuni paesi come l’Olanda e che è stato ribattezzato “lockdown intelligente”, vale a dire invito ad autoisolarsi se non si sta bene, proteggere gli anziani e chiusure selettive di negozi per non far crollare l’economia. Un po’ come in Svezia. Visti i risultati non brillanti, pare che anche l’Olanda si sia ricreduta e ora pensi a “lockdown pieno”. Un’opzione che si sta valutando un po’ ovunque in Europa, dove l’epidemia è in fase di forte accelerazione. In Italia i nuovi casi sono passati da 45 su 100.000 abitanti nel periodo 21 settembre-4 ottobre a 75 su 100.000 nel periodo 28 settembre-11 ottobre, mentre i sintomatici stanno leggermente salendo rispetto agli asintomatici, ora al 55 per cento.

Perché a Natale

Ma perché chiudere a Natale? «La misura avrebbe una sua logica, o almeno l’aveva quando l’ho ventilata, ma ogni giorno che passa la situazione si fa più difficile e bisogna vedere se potremo aspettare così tanto», spiega Crisanti. «Con un sistema di contact-tracing ormai sbriciolato, una pausa che riporti l’epidemia sotto controllo è nelle cose. La ragione per farlo sotto Natale è di non interrompere la scuola e le attività produttive in questo periodo di festa, e di chiedere a tutti il sacrificio di non muoversi per l’Italia rallentando così la trasmissione del virus».

La misura sarebbe comunque ferale per turismo ed esercenti, allargando ulteriormente il divario fra chi può fare lo smart working da casa e la massa di lavoratori manuali a rischio disoccupazione. «Mai più lockdown, né a Natale né mai» commenta l’economista Giovanni Dosi del Sant’Anna di Pisa. «Ammazza gli ultimi e concede una vacanza a chi può permetterselo, e non è risolutivo. Il combinato dei due lockdown porterebbe a una depressione economica, diciamo un meno 30 per cento del Pil. Mi stupisce che non si tengano in conto le conseguenze in termini di violenze domestiche, depressioni, effetti sui ragazzi. Possiamo proteggere persone fragili e anziani e lasciare relativamente libero il resto della società, pur con mascherine e freni alla movida».

Un’altra economista che l’anno scorso si è aggiudicata il Nobel proprio sui mezzi per contrastare la povertà, la francese Esther Duflo in forza al MIT, è invece possibilista: «Tre settimane di lockdown per l’Avvento, così salviamo il Natale». E già si retrocede la misura ai primi di dicembre.

Minimo due settimane

Bastano tre settimane? In teoria ne potrebbero bastare anche due, stando a uno studio dell’Università di Pisa, Fondazione Kessler e Istituto Superiore di sanità, secondo cui la prima settimana di lockdown in Italia dall’11 al 18 marzo  è stata sufficiente per abbassare la mobilità del 40 per cento e con essa riportare l’indice dei contagi (Rt) da 3 a 1. Non solo. Anche dopo la prima riapertura del 4 maggio l’indice è rimasto sotto soglia almeno fino all’inizio dell’estate, segno che la dura esperienza della chiusura ha indotto la popolazione a una prudenza che ha rotto gli argini solo in agosto, portando progressivamente a dove siamo adesso.

Va notato però che ora non siamo a un contagio forza 3 come a marzo, ma grazie a un migliore monitoraggio siamo a una media nazionale sulla settimana di 1,2, con punte di 2 a Milano. Quindi c’è ancora un po’ di tempo per pensarci.

A giudicare dall’“indice di rigore” inventato dall’Università di Oxford, gli italiani sembrano non sfigurare in Europa quanto a gesti barriera e distanze, ma sono pasticcioni nel tracciare i casi, reperire rapidamente i contatti e isolarli.

La app Immuni, scaricata da otto milioni di italiani, non segnala mai un positivo nei paraggi perché molte regioni non hanno ancora il sistema per dare ai nuovi positivi i codici da inserire nel sistema. «Una pena» si lamenta il direttore di Epidemiologia & Prevenzione Francesco Forastiere. «È mancato un piano nazionale tamponi e ognuno ha fatto a modo suo. Ora manca un piano nazionale lockdown. Che invece servirebbe per capire quali sono le misure più efficaci per abbassare in fretta la curva senza chiudere proprio tutto. Ma per fa questo servono i dati che il ministero non condivide con la comunità scientifica».

I quattro scenari

Il governo confida ancora di farcela senza chiudere tutto e si attiene a quattro scenari in ordine crescente di gravità elaborati nel documento Strategie e pianificazione nella fase di transizione della stagione autunno-invernale, che prevedono uno stillicidio di misure via via più stringenti: dall’obbligo di mascherina all’aperto alla chiusura selettiva dei locali, lavoro agile dal 50 al 70 per cento,  coprifuoco dopo le 22, istituzione di zone rosse prima in comuni (in Sicilia a Sambuca e Mezzojuso), poi se necessario in province e regioni. Un film già visto.

Il decano degli epidemiologi italiani Rodolfo Saracci, di stanza a Lione sotto coprifuoco, non esclude un lockdown. «Per quattro motivi: l’epidemia sta accelerando e già si fa sentire sugli ospedali. Già si avverte l’incremento di morbosità e mortalità non solo per Covid ma anche per le altre cause che tornano a essere trascurate, con un rallentamento di screening e interventi già rimandati in primavera. Le misure parziali come le chiusure notturne non si sa se e quanto funzionano. È accertato invece che il lockdown funziona. Prepariamoci».

Come proteggersi

Come dovrebbe funzionare questo piano per il lockdown per limitare contagio e danni? L’epidemiologo dell’Università statale di Milano Carlo La Vecchia mette al primo posto la scelta di «rinunciare a visite ad amici e parenti e stare nella cerchia famigliare stretta». Seguono: estrema attenzione agli anziani, da non abbandonare ma proteggere prima di tutto dalle nostre effusioni. Chi può si metta in smart working da domani, lasciando più margine a chi deve lavorare in presenza. Stare all’aria aperta e fare quando possibile, commissioni a piedi e in bicicletta, evitare i mezzi pubblici in orari di punta. Preservare fino all’ultimo la scuola ma prepararsi senza tragedie a un ritorno al virtuale, purché breve.

Tutte cose che hanno un costo, ma la posta è alta. Dice un proverbio turco: «Un uomo che ha il cibo ha molti problemi. Un uomo che non ha il cibo ne ha uno solo».

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