Il contrasto al Covid, la fine del commissariamento, la campagna vaccinale. Alessio D’Amato ha raccontato le sue prodezze da assessore alla Sanità nel Lazio, ha sfidato Giuseppe Conte al quale «non vuole lasciare la patente di riformista e progressista», ma soprattutto ha conquistato la candidatura a presidente della regione Lazio mettendo in un angolo i dubbi e le perplessità del Pd. I democratici hanno sciolto la riserva e appoggiano l’assessore uscente nonostante sia condannato in primo grado dalla Corte dei conti per danno erariale.

Una decisione che ha isolato chi, come Goffredo Bettini ma anche Nicola Zingaretti, sperava in un’alleanza con il M5s e in un altro candidato. L’eterna indecisione Pd è stata superata dall’assessore che prima ha ottenuto il sostegno del terzo polo e poi, in un’affollata assemblea, ha aperto la sua campagna elettorale. Si è definito «un combattente», ha elencato virtù e successi ottenuti nel contrasto al Covid, il palcoscenico che gli ha permesso di diventare un volto conosciuto e soprattutto apprezzato considerando il disastro di altre regioni.

«Avevo paura quando chiamai il ministro Speranza e ci recammo a palazzo Chigi con gli scienziati dello Spallanzani a relazionare sulla prima attività di tracciamento messa in atto in Europa», ha ricordato D’Amato. L’assessore si è tributato un encomio postumo per il lavoro svolto: «Abbiamo resistito e siamo stati presi a modello in Italia e in Europa». Ciò che non ha raccontato D’Amato è la sua conversione nei confronti di Francesco Vaia, oggi direttore generale dello Spallanzani, l’accordo con i russi sui vaccini e la recente condanna contabile. D’Amato vuole guidare la regione che, secondo i giudici, avrebbe danneggiato con la sua condotta per fatti risalenti a quando era consigliere regionale.

L’amico Vaia

Iniziamo dai rapporti con Vaia. Con D’Amato, Vaia condivide successi e un’ascesa inarrestabile. Oggi è tra i manager più influenti della sanità regionale e piace anche alla destra, che lo ha proposto come nome per il Cts, e questo rende la candidatura di D’Amato, ex giovane comunista, gradita oltre il campo del centrosinistra.

Quando Vaia è arrivato a Roma, dopo l’esperienza napoletana, ha trovato sponda nella sanità a guida centrodestra nelle mani di Francesco Storace presidente e Domenico Gramazio, presidente della commissione Sanità, con i quali è legato da duratura amicizia e reciproca stima, non certo in D’Amato che gli riservava parole di fuoco e stilettate. Correva l’anno 2008 e in libreria usciva Lady Asl, l’atto d’accusa dell’ex comunista D’Amato, che allora da consigliere regionale si sentiva un “combattente” contro la sanità gestita dalle destre.

«A differenza del monarca borbonico – con cui condivide l'origine napoletana – rimasto sul trono per un anno soltanto, Vaia il suo ruolo di direttore, prima delle Usl e poi delle Asl, lo ha mantenuto per 15 anni passati all’ombra di potenti lobby, c’è chi dice l'Opus Dei», scriveva D’Amato. Vaia è rimasto in sella «attraversando giunte politiche di tutti i colori, un camaleonte capace di rimanere sempre al posto di comando», aggiungeva.

Poi l’allora fustigatore ricordava le vicende giudiziarie di Vaia. «Aveva esordito dirigendo, a Napoli, la Usl 41, ed era subito finito nel mirino della procura locale per atti illeciti (…) Così il gip Figliolia che ne ha disposto l’arresto: “Particolare allarme sociale desta la situazione afferente al Vaia. Lo stesso risulta pluricondannato a una pena complessiva di un anno e 7 mesi di reclusione e a lire 1.200.000 di multa, per associazione a delinquere, reato commesso in Napoli dal 1991 al 1993, nonché per vari e numerosi reati di corruzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio”».

D’Amato ricordava l’inchiesta napoletana nella quale Vaia ha patteggiato e quella romana dalla quale è uscito pulito (grazie anche alla prescrizione). In entrambi i casi Vaia è riuscito a rendersi irreperibile prima di consegnarsi agli inquirenti, un record per un manager pubblico, per questo D’Amato intitolava il capitolo «La fuga di Franceschiello», definito «una cariatide della sanità pubblica».

La svolta

Passano gli anni, passano le giunte e D’Amato si è convertito. E di Vaia la sanità laziale non è riuscita più a fare meno: è stato nominato prima direttore sanitario dello Spallanzani, nel gennaio 2020, e, pochi mesi fa, direttore generale nonostante i raggiunti limiti di età, 65 anni (scoglio superato grazie a una modifica normativa), una condanna erariale e il vecchio guaio giudiziario (oggi il casellario è immacolato dopo l’estinzione dei reati).

Dall’istituto hanno chiarito che il tutto è avvenuto seguendo le norme, anche perché la sentenza della Corte dei conti è stata riconosciuta dai giudici come colposa e non dolosa. La nomina a direttore generale è stata votata nella commissione regionale da tutti i partiti.

Lo stesso capo dello stato, Sergio Mattarella, nel dicembre 2021, ha nominato Vaia cavaliere di gran croce al merito della Repubblica italiana. Pochi mesi prima Vaia firmava il memorandum di collaborazione scientifica dell’istituto Spallanzani con il centro russo Gamaleya e con il fondo russo degli investimenti diretti, tanto discussi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. «Lo Spallanzani e la regione sottoscrivono questo accordo tecnico-scientifico che darà il via alle sperimentazioni con Sputnik», spiegava il direttore sanitario dello Spallanzani, Vaia, nell’aprile 2021.

D’Amato offriva sponda politica a questo accordo. «Ho chiesto oggi durante l’incontro con le regioni al governo nelle persone dei ministri degli Affari regionali e della Salute rispettivamente, Mariastella Gelmini e Roberto Speranza, di valutare tra l’altro la possibilità di produrre anche in Italia il vaccino russo Sputnik V», diceva D’Amato. Il tutto si rileverà un clamoroso buco nell’acqua e segnerà una distanza con il ministro Roberto Speranza, che ha definito la firma del memorandum una scelta autonoma dell’istituto.

Un istituto che con l’ascesa di Vaia ha visto andare via la responsabile della virologia Maria Rosaria Capobianchi, la vice Concetta Castilletti, due delle tre che hanno isolato il virus, il responsabile della microbiologia Antonino Di Caro, ma anche Nicola Petrosillo, capo del dipartimento clinico, e Giuseppe Ippolito, ex direttore sanitario.

D’Amato ha sempre ribadito di non aver alcun legame professionale con Vaia, ma che sono indubbi i risultati raggiunti. «Ricordo la foto di mesi fa che ha fatto il giro del mondo del G20 con metà platea composta dallo Spallanzani e dal dottor Vaia che come sa ha ricevuto gli auguri di buon lavoro dal professore Fauci e dal professore Guido Silvestri che presiederà il board scientifico dello Spallanzani. Nella scelta dei direttori generali non c’è alcuna valutazione politica, ma solo del lavoro svolto e dei risultati raggiunti», diceva l’assessore D’Amato.

La condanna contabile

Nella sua corsa verso la presidenza della regione Lazio c’è, però, un altro intoppo. L’assessore uscente, secondo la sentenza di primo grado della giustizia contabile, ha danneggiato la regione che vorrebbe guidare, alla quale dovrebbe restituire, insieme ad altri responsabili, 275mila euro. I fatti risalgono agli anni 2005-2008, periodo nel quale sono stati stanziati i fondi pubblici, utilizzati, secondo i giudici contabili, in spregio dell’interesse pubblico e in maniera difforme rispetto all’oggetto dello stanziamento.

Il processo penale per truffa aggravata si è chiuso con la prescrizione del reato e non con l’assoluzione. La vicenda è molto semplice e gira attorno a due associazioni attraverso le quali si è realizzato l’uso disinvolto dei fondi pubblici e la distrazione dei soldi dalle originarie finalità. I soldi servivano per realizzare progetti di ricerca e valorizzazione delle culture dei popoli amazzonici.

E, invece, i soldi dei cittadini sono stati utilizzati per sostenere, in modo indebito, l’attività politica e di propaganda elettorale. Così è arrivata la sentenza e la richiesta di restituzione del danno erariale, un pronunciamento contro il quale i coinvolti annunciano ricorso, mentre D’Amato lancia la corsa alla presidenza.

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