Impossibile catalogare Ferdinando De Giorgi, per tutti Fefè, in una singola definizione. Il sorriso e la battuta sempre pronta sono tratti distintivi del carattere fin da quando era giocatore, palleggiatore della Generazione dei Fenomeni che ha fatto la storia della pallavolo con tre ori mondiali (1990,1994,1998). Da allenatore c’è una componente che forse emerge meno, perché lontana dai microfoni e dai riflettori. La concentrazione, la meticolosità, la rigidità su alcuni concetti. Viene definito un martello dai propri giocatori.

«Ho una mia idea solare della vita. Faccio battute perché adoro le persone positive, ironiche. Da giocatore mi prendevano in giro trasformando il soprannome Fefè in Tse-Tse, come la mosca fastidiosa, perché parlavo in continuazione. Da allenatore non sono eccessivamente rigido, però ci sono alcuni principi che devono essere rispettati e non transigo. In una squadra deve prevalere il senso di attenzione e rispetto verso gli altri».

È docente all’Università di Lecce in Teoria Tecnica e Didattica degli sport di squadra. Nel libro scritto nel 2023 per Mondadori ha scelto un titolo che all’apparenza risulta spiazzante: Egoisti di squadra.

Io lavoro per unire e far interagire un insieme di atleti talentuosi. L’egoismo è un atteggiamento positivo quando è sano, può essere una forza anche in una squadra. Non è da confondere con l’egocentrismo che è un comportamento totalmente diverso, brutto e controproducente

Il capitano della sua Italia è Simone Giannelli, un predestinato fin dall’esordio 17enne in serie A. È uno dei migliori palleggiatori del mondo, ha ottenuto una sfilza di premi individuali, ma ancora adesso a 28 anni guarda male chiunque osi definirlo un leader.

Il talento di Simone è pari allo spessore umano, al suo voler mettere al primo posto il gruppo. Lui giocherà con Perugia le Final Four di Champions League in Polonia dal 16 al 18 maggio mentre noi saremo già in ritiro a Cavalese. Mi ha detto: «Coach, io vi raggiungo il giorno dopo la Champions se vuole, sono a sua disposizione già dalla prima tappa di VNL». Ovviamente non lo chiamerò, deve fare qualche giorno di vacanza, il riposo è importante come recupero fisico. Ma quello di Giannelli è un messaggio importante, proprio perché arriva dal capitano. La sua disponibilità incondizionata per la maglia azzurra è sinonimo di amore, di orgoglio, di spinta verso tutti gli altri.

Trento ha appena conquistato lo scudetto in gara 4 contro Civitanova. Di Alessandro Michieletto, eletto MVP della finali della Superlega, sappiamo tutto, è una colonna della sua Italia. Il rendimento della stagione appena conclusa ha influenzato le sue convocazioni. Mi fa tre nomi?

Mattia Boninfante, a 19 anni ha fatto vedere cose di buonissimo spessore. È stato il palleggiatore titolare di Civitanova, sicuramente la novità più in evidenza della stagione. Mattia Bottolo ha 25 anni e faceva già parte della Nazionale, ma ha fatto un ulteriore salto di qualità come crescita. Poi ho voluto convocare Giulio Pinali perché lo merita con la sua storia.

Pinali, 28 anni, ha vinto con la sua Italia gli Europei e i Mondiali ma poi è stato a lungo fermo per un infortunio alla caviglia.

Giulio ha avuto il timore di dover chiudere con il volley perché l’infortunio era davvero serio. È sceso di categoria, si è rimesso in gioco in A2 a Cuneo dove è stato protagonista della recente promozione. L’ho convocato per i suoi meriti tecnici ma anche umani, è un esempio per tanti ragazzi. È un messaggio ad uscire dalla comfort-zone. Alcuni giovani preferiscono fare il quarto uomo in una società blasonata quando invece potrebbero giocare titolare in un’altra categoria. Pinali ha dimostrato coraggio, volontà e resistenza.

Il coraggio non manca nemmeno a lei. Al suo esordio in una competizione internazionale da C.t. dell’Italia ha subito vinto gli Europei nel 2021 puntando su Yuri Romanò che non aveva mai giocato titolare in Superlega. Le piace scommettere sui giovani.

Non mi piace il verbo scommettere, perché implica un azzardo. È come quando si abusa del termine fortuna. Nello sport l’unica fortuna è stare bene, non avere infortuni, tutto il resto te lo devi guadagnare. Essere allenatore dell’Italia è sempre stato il sogno della mia vita, secondo lei potrei mai essere un pazzo nel rischiare tanto per fare? Nella chiamata di Romanò avevo privilegiato un ragionamento. Lui è stato bravissimo a sfruttare la sua chance. Per me non è importante la categoria, ho convocato anche Bovolenta dalla A2. I dubbi di riuscire a vincere o meno ce li ho, fanno parte del lavoro, ma dietro ogni scelta c’è sempre una progettualità, una lunga riflessione.

Dopo quell’Europeo vinto nel 2021 c’è stata la cavalcata trionfale dell’oro mondiale nel 2022, un titolo che mancava da 24 anni, dai trionfi dell’Italia di Velasco con lei giocatore. Com’è cambiato il vostro rapporto adesso che siete entrambi C.t. azzurri?

Io e lui, insieme alla Generazione di Fenomeni, abbiamo vissuto un periodo lungo e di grandissima intensità. Oltre ai successi ci sono stati anche momenti difficili, solo noi sappiamo tutto quello che abbiamo passato, per questo abbiamo un legame fortissimo che ci unirà per tutta la vita.

ANSA

E quella volta che Velasco lasciò a casa Fefè De Giorgi, escludendolo dai Giochi del 1992?

Glielo rinfaccio sempre: tu non mi hai convocato alle Olimpiadi di Barcellona! E poi mi metto a ridere. All’epoca ero deluso, mi dispiaceva. Aveva preferito chiamare Fabio Vullo, una scelta tecnica di tutto rispetto ci mancherebbe. Poi però ci siamo ritrovati, Julio mi ha richiamato in Nazionale per i Mondiali del 94.

Nessun rancore quindi?

Con Velasco mai e poi mai. Un mese fa abbiamo realizzato una intervista doppia, un faccia a faccia diventato virale sul web, uno spasso. In generale il rancore non lo faccio entrare nella mia vita perché non porta a niente. Il nostro è un mestiere precario, da allenatore ho vissuto anche momenti delicati, con alcuni esoneri. Nel mio curriculum vengono elencate solo le vittorie e viene omessa la parte delle sconfitte che è invece la più interessante, perché molti successi nascono dagli insuccessi. Come li affronti, come reagisci, è ciò che fa di te una persona di valore. Sa qual è il mio motto?

Dica.

Da allenatore io devo festeggiare con sobrietà e deprimermi con coraggio.

A Parigi 2024 l’Italvolley maschile ha chiuso quarta, dopo aver perso la finale per il bronzo con gli USA. Il presidente Mattarella vi ha invitato al Quirinale, un notevole cambio di narrazione per tutti i quarti posti.

È stato un gesto importante. Credo che Mattarella abbia dato una bella spallata alla mancanza di cultura sportiva. I risultati devono sempre essere associati ad un percorso, ad un processo di miglioramento. Certo, saremmo stati più contenti con una medaglia al collo ma dobbiamo pure considerare che eravamo la nazionale più giovane delle Olimpiadi. Siamo riusciti a fare un cambio generazionale vincendo subito, gli Europei e il Mondiale, una fase di assestamento era anche da mettere in preventivo.

La nuova stagione è alle porte. Esordio in Nations League a Québec, Canada, dall’11 al 15 giugno. L’appuntamento clou sarà il Mondiale nelle Filippine dal 12 al 28 settembre. La pressione di essere campioni in carica sarà la domanda ritornello della sua estate, ne è consapevole vero?

Gestisco un progetto iniziato quattro anni fa, l’obiettivo è continuare a migliorare. Confermarsi nello sport è una sfida complicata, a maggior ragione in questo periodo storico del volley dominato dall’equilibrio, con tante squadre forti. Dobbiamo restare concentrati su noi stessi, soprattutto nella prima fase di questa lunga estate azzurra, con la nostra umiltà e il nostro senso di squadra. La pressione di difendere il titolo mondiale è una opportunità che non tutti hanno. Ecco perché dobbiamo essere in grado di sfruttarla e di godercela.

© Riproduzione riservata