Sono solo “elementi suggestivi” quelli che i procuratori di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno portato davanti al Tribunale di Milano per convincerlo della colpevolezza di Claudio

Sono solo «elementi suggestivi» quelli che i procuratori di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno portato davanti al tribunale di Milano per convincerlo della colpevolezza di Claudio Descalzi e degli altri imputati nel processo per corruzione internazionale che coinvolge Eni e Shell in Nigeria? Così si è espressa mercoledì l’avvocato Paola Severino, che difende l’amministratore delegato del gruppo petrolifero italiano, durante la sua arringa nella quale ha difeso con forza il manager per cui l’accusa ha chiesto, lo scorso luglio, otto anni di carcere. La legale si è presentata davanti ai giudici con il compito di «spazzare via ogni dubbio, anche reputazionale» intorno al suo assistito, che ha fatto nient’altro che gli «interessi industriali» della sua società nell’acquisizione dei diritti di sfruttamento del campo petrolifero offshore nigeriano Opl 245. E per questo motivo deve essere assolto «con la più ampia formula possibile» da tutte le accuse di questo lunghissimo processo, dato che «il fatto non sussiste».

Accuse che parlano di una tangente da 1,092 miliardi di dollari americani pagata per ottenere questi diritti dalla società Malabu che li deteneva al momento e che era riconducibile a uno degli uomini politici più potenti di tutta la Nigeria, quel Dan Etete chiamato da tutti anche “chief” (capo) a sottolinearne il ruolo.

I dubbi sulla vicenda

In realtà, restano dubbi intorno a questa vicenda. Molti di questi girano intorno alla figura di Emeka Obi, il mediatore di questo affare da cui durante il processo Eni ha cercato di prendere le distanze, di confinarlo il più possibile a un ruolo marginale. La figura di Obi è tanto sfuggente quanto centrale in questo processo. Assisteva il venditore Malabu ma non era voluto da Etete, che non avrebbe voluto pagargli un dollaro.

Era sponsorizzato da parte dei vertici della società italiana, che però fa di tutto per disconoscerlo. Qual è stato il suo ruolo, in realtà, visto che poi si è visto riconoscere da una corte inglese oltre 100 milioni di dollari in una causa contro Malabu per aver chiuso l’affare? Neutralizzare la figura del mediatore Obi è una scelta necessaria per difendere Descalzi e gli altri imputati, perché il faccendiere nigeriano sponsorizzato da Luigi Bisignani – anch’esso imputato in questo processo – aveva una fame di denaro e, come ha ricordato il pm De Pasquale nella sua requisitoria lo scorso luglio «non faceva mistero dei suoi rapporti con l’ambiente politico nigeriano». Quello al quale sarebbero poi arrivati parte dei soldi a conclusione di tutto il processo.

Bisognerà capire il vero ruolo di quest’uomo: personaggio alla fine marginale e ininfluente o, invece, il perno che avrebbe assicurato la conclusione di questo affare e che, per questo motivo, Eni avrebbe dovuto in qualche modo “assoldare” seppur non ufficialmente perché i regolamenti societari lo vietano? Sciogliere questo dubbio servirà a comprendere molto di questo processo, perché corruzione e intermediari dalle parcelle multimilionarie sono spesso le due facce della stessa medaglia.

Potrebbe anche essere che abbia ragione la difesa di Descalzi, ma agli atti di questo procedimento, coma hanno sottolineato i pubblici ministeri ci sarebbero le prove che egli «si sia incontrato nelle più varie situazioni e orari con Casula e Descalzi per più di un anno per parlare del campo Opl 245».

Il grande accusatore

In questa vicenda è pian piano scivolato in secondo piano il ruolo di Vincenzo Armanna, il grande accusatore dei vertici Eni, anch’egli imputato nel processo che rischia sei anni e otto mesi di carcere se la corte accoglierà le richieste dei pm.

Le sue tante dichiarazioni, ritenute non sempre credibili e più volte giudicate contraddittorie, sono state quasi dimenticate. Ma resteranno da soppesare attentamente soprattutto per ciò che riguarda l’incontro “non ufficiale” ad Abuja tra Descalzi e il presidente della Nigeria del tempo, Goodluck Jonathan, che potrebbe essere stato decisivo a livello politico per chiudere la compravendita.

Armanna è anche indagato in un’altra importante inchiesta della procura di Milano. Quella sul tentativo di Eni, un “complotto” secondo gli inquirenti, di scongiurare le inchieste sulla Nigeria e, prima ancora, sui maxi appalti di Saipem in Algeria, per cui tutti gli imputati sono stati assolti dalla Corte d’Appello di Milano dopo una condanna parziale in primo grado (Paolo Scaroni e l’Eni erano stati assolti). Il pm De Pasquale durante il processo nigeriano, a fine dibattimento, aveva chiesto di poter interrogare l’ex consulente legale esterno Piero Amara sul perché la società volesse inquinare questa inchiesta, ma il tribunale si era opposto. Chissà che non sarà proprio il “complotto” a far luce su tutto, anche su quello che forse forse ancora non si sa su Opl 245.

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