C’è un filo che unisce le scelte commerciali della regione Lombardia durante la pandemia e gli interessi della multinazionale farmaceutica DiaSorin. La trama che compone è un fitto intreccio tra politica e operazioni finanziarie effettuate anche con soldi pubblici, tra nomine decise sulla base dell’affiliazione alla Lega e bonifici oggi ritenuti sospetti dall’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia, che Domani ha potuto leggere in esclusiva.

Il baricentro del sistema è a Varese, dove il Carroccio ha la sua roccaforte originaria e dove i potenti colonnelli di Salvini si muovono da sempre come pesci nell’acqua. Anche se hanno attitudini molti diverse da quelle del loro leader: poche chiacchiere e molta sostanza, zero slogan ma relazioni che incidono sul territorio e negli affari. I protagonisti di questa storia sono tutti, in un modo o nell’altro, parte integrante del blocco di potere eretto negli anni dal partito e del governatore lombardo Attilio Fontana.

Alla Lega fanno capo i dirigenti coinvolti in questa vicenda, nominati dal presidente della regione in importanti istituti di ricerca. Alla Lega sono riconducibili le figure a capo delle società e degli enti che dalla multinazionale farmaceutica hanno ricevuto milioni di euro negli ultimi due anni. Alla Lega appartiene Fontana, che ha dato il benestare sull’accordo milionario tra la DiaSorin e il policlinico San Matteo di Pavia per la cessione di 500mila test sierologici per la ricerca delle tracce del coronavirus nel sangue.

L’accordo tra l’azienda e l’istituto di ricerca pavese e il successivo affidamento al sistema sanitario lombardo tramite Aria (la centrale acquisti della regione) è finito sotto la lente di due procure, Pavia e Milano. La prima indaga per peculato e turbata scelta del contraente i vertici del policlinico e della multinazionale piemontese. I magistrati di Milano, invece, stanno verificando se sia tutto regolare nell’affidamento di aprile scorso, fatto senza bando di gara, che ha garantito a DiaSorin circa 2 milioni di euro per la cessione dei test al sistema sanitario lombardo. Era intervenuto anche il tribunale amministrativo bocciando l’accordo tra il policlinico e l’azienda, ma il Consiglio di stato ha ribaltato la sentenza riabilitando entrambi. Al di là degli esiti processuali e investigativi ancora sconosciuti, esistono però evidenti conflitti di interesse. Che non per forza hanno rilievo penale ma chiamano in causa responsabilità politiche e questioni di opportunità. Ecco quali sono.

I soldi ai manager

Varese è la culla del potere leghista: non di quello che strilla contro l’invasione e sbraita mantra sovranisti, ma un leghismo autonomista ma moderato, che si muove con passo felpato tra banche e sanità pubblica e privata, nomine lottizzate e amicizie partitiche. Ecco: lo stesso canovaccio sembra alla base della genesi dell’accordo tra la DiaSorin e il San Matteo di Pavia per la produzione di 500mila test sierologici. Il direttore generale del policlinico Carlo Nicora, oggi indagato, è un professionista nominato in quota Lega, come mostrano alcuni documenti interni al partito pubblicati dal Fatto Quotidiano. Anche il presidente del San Matteo Alessandro Venturi è in quota Lega. Entrambi sono entrati nell’istituto di ricerca quando Fontana era già presidente della regione. La casa farmaceutica, dopo aver avviato la ricerca con il policlinico San Matteo di Pavia, ha confezionato i test “Elisa” e “Clia”: entrambi funzionano con prelievo di sangue e analisi in laboratorio. Domani ha scoperto però che tra aprile e luglio scorso l’ente ospedaliero ha ricevuto 100mila euro proprio da DiaSorin. «Per questi bonifici la banca segnalante lamenta di aver trovato un muro di gomma da parte della fondazione in merito alla produzione di giustificativi», si legge nella relazione delg’antiriciclaggio che ha ricevuto l’alert di operazione sospetta dall’istituto di credito dove sono stati eseguito i due bonifici da 50mila euro l’uno. «Tale comportamento appare sospetto anche perché fino a quel momento la fondazione è stata sempre solerte nel fornire giustificazioni e documentazione».

Abbiamo chiesto al San Matteo un commento su questi pagamenti: con DiaSorin c’è un rapporto commerciale su più fronti, spiegano, «50mila euro ricevuti in quell’arco temporale tra aprile e luglio sono relativi all’accordo per la validazione dei test sierologici, accordo ritenuto legittimo dal Consiglio di stato». L’ufficio comunicazione ha aggiunto: «Gli altri 50mila euro sono invece relativi a un progetto sulla diagnosi e il monitoraggio delle malattie infettive, progetto co-finanziato dal ministero della Salute e avviato nel 2016». Nessun conflitto di interesse, sostengono. Né agevolazioni legate a simpatie politiche. Anche se è una delle anomalie contestate da chi indaga: i test della DiaSorin sono stati venduti alla sanità lombarda ancora prima di ottenere la certificazione, avuta solo il 17 aprile 2020.

È stato un concorrente di DiaSorin a presentare l’esposto che ha fatto partire le indagini, e convinto la procura di Pavia a mettere sotto inchiesta per peculato e turbata scelta del contraente i vertici del policlinico e quelli della multinazionale piemontese. Nel decreto di perquisizione firmato dai magistrati si legge: «La scelta di affidare in esclusiva al test frutto della collaborazione tra San Matteo e DiaSorin il compito di procedere alla mappatura sierologica a livello regionale è confermata da esplicite diffide da parte dell’assessorato regionale alla Sanità e dalle Ats regionali nei confronti degli enti pubblici che avevano deliberato di farvi ricorso. Al riguardo diversi amministratori locali sentiti come testimoni hanno riferito di atteggiamenti a dir poco ostruzionistici nei loro confronti da parte di esponenti politici regionali della Lega nord». Questo è lo spunto da cui partono gli investigatori per approfondire eventuali «legami politici che possono avere influito sulla scelta del contraente», cioè DiaSorin.

Chi “Servire”?

La multinazionale ha uffici anche all’interno dell’Insubrias Biopark a Gerenzano, in provincia di Varese: il parco scientifico tecnologico incubatore di aziende biotech. Il Biopark, un tempo centro ricerche Pfizer, è gestito dall’Istituto insubrico di ricerca per la vita, voluto e fondato dall’allora presidente della provincia di Varese, il leghista Marco Reguzzoni. L’ente ha tra i suoi fondatori enti pubblici e aziende private, compreso il gruppo ospedaliero San Donato. Da allora a dirigere la fondazione c’è Andrea Gambini, commissario della Lega di Varese fino ai primi mesi del 2020 e manager della sanità: è attualmente presidente della fondazione istituto neurologico Carlo Besta, nominato sempre su proposta di Fontana.

Prima Gambini sedeva nel consiglio di amministrazione dell’istituto tumori. Con il governatore i rapporti sono più che buoni. «Un successo la serata con Fontana», si legge in un articolo su un giornale locale in occasione di un incontro informale tra i militanti di Varese, Gambini e il presidente della regione. «Una pizzata che aveva anche lo scopo di raccogliere fondi per l’attività della nostra sezione», diceva entusiasta Gambini, che ha lavorato come farmacista in provincia di Varese fino al 2005 prima del grande salto dell’istituto insubrico. Le cui attività riguardano anche il campo della farmaceutica: l’organismo è nato qualche anno fa, quando la Pfizer – che ha Gerenzano aveva investito in un centro medico scientifico – “regalò” alla provincia, in seguito a una ristrutturazione aziendale, alcuni segmenti di ricerca.

Domani ha scoperto che su uno dei conti correnti dell’istituto tanto caro alla Lega sono arrivati diversi bonifici disposti da DiaSorin, in totale un milione di euro. Si tratta del «22 per cento dell’intera movimentazione della fondazione», scrive l’antiriciclaggio, che sottolinea come alcuni di questi versamenti non riportano «alcuna causale». Uno in particolare si colloca nel periodo in cui avviene l’accordo tra il San Matteo e DiaSorin e il successivo affidamento di regione Lombardia: un pagamento di 96mila euro del 21 aprile scorso, sempre disposto da DiaSorin nei confronti della fondazione di ricerca di Gambini. Dieci giorni prima la centrale acquisti della regione aveva firmato l’accordo con la multinazionale per i test.

Nello stesso periodo altri bonifici arrivano sul deposito bancario di Servire srl, la società di gestione del Biopark: il presidente del consiglio di amministrazione è ancora Gambini. In questo caso le cifre sono molto più rilevanti. Tra il 14 aprile e il 14 maggio 2020 Servire srl registra incassi da DiaSorin per 420mila euro. Un parte degli oltre 3 milioni che Servire riceve dalla multinazionale tra il 2018 e il 2020. Si tratta del 74 per cento, rileva l’antiriciclaggio, della totalità del flusso in entrata sul conto corrente della ditta.

Abbiamo chiesto a Gambini spiegazioni di questi flussi finanziari, che segnalano un potenziale conflitto di interessi vista la sua organicità al partito che governa la regione e con cui DiaSorin ha concluso l’affidamento dei test su cui indagano le procure lombarde. Nessuna risposta, ma con una lettera firmata dai suoi avvocati il manager della Lega ci ha diffidato dal pubblicare «notizie false e tendenziose». Nessun commento nemmeno sui motivi per i quali il suo nome è finito nell’elenco dei manager nominati in quota Lega che, dopo aver ottenuto l’incarico in società pubbliche o aziende sanitarie, hanno donato un contributo economico al partito.

Ha fornito la sua versione, invece, DiaSorin. In una prima email ha detto che i pagamenti arrivavano al massimo a 350mila euro l’anno. Quando Domani ha spiegato di aver letto i documenti dell’antiriciclaggio con cifre assai diverse, hanno rettificato, chiarendo che in generale i soldi avuti da DiaSorin sono legati all’affitto dei locali e a «servizi logistico-amministrativi riguardanti la gestione centralizzata dell’approvvigionamento di materiali di laboratorio quali, ad esempio, sali, enzimi, prodotti chimici in genere e altri materiali di consumo».

Potere Mascetti

Seguendo il filo della storia, si scopre che fino al 2017 il vicepresidente dell’istituto insubrico di ricerca per la vita era Andrea Mascetti. Un potente avvocato considerato molto vicino alla Lega e ai suoi uomini della sezione di Varese.

Mascetti non ama i riflettori e segue la lezione, dice chi lo conosce, del suo grande amico Giancarlo Giorgetti, numero due di Salvini e abile mediatore politico, straordinario tessitore di relazioni anche con il mondo finanziario. Mascetti ha imparato da lui l’arte del comando: non appare in tv o sui giornali, ma è onnipresente negli organismi che contano: nei consigli di amministrazione (come Italgas), nelle banche (Intesa Sanpaolo in Russia), nelle fondazioni bancarie. Come quella della Cariplo dove Mascetti siede nella commissione centrale beneficenza.

È proprio da Cariplo che il solito istituto insubrico, diretto dall’amico Gambini, ha ottenuto di recente un finanziamento da 1,3 milioni di euro per l’ampliamento degli spazi destinati alle aziende dell’Insubrias Biopark. Mascetti è anche membro della Fondazione comunitaria del varesotto (una onlus collegata alla fondazione Cariplo) che all’istituto insubrico ha dato, tra i 2018 e il 2020, 22mila euro.

Il peso specifico di Mascetti, centrale nelle strategie leghiste in Lombardia, viene confermato da un politico di Forza Italia di Varese, Nino Caianiello, finito nei guai per corruzione nell’inchiesta “Mensa dei poveri”. Indagine in cui era stato coinvolto lo stesso governatore Fontana, la cui posizione era stata rapidamente archiviata. «Lui (Fontana ndr) lo subisce Andrea (Mascetti ndr), ma Andrea è intelligente perché non compare mai, è come Giorgetti», diceva Caianiello senza sapere di essere intercettato dalla Guardia di finanza. Dopo l’arresto nel 2019, l’ex Forza Italia ha collaborato con la procura di Milano, e in uno dei suoi interrogatori ha spiegato che Mascetti è uno dei luogotenenti di Giorgetti e ha parlato di un incontro in cui l’avvocato gli ha ribadito la volontà della Lega di ottenere tutte le tre nomine in fondazione Cariplo «spettanti» alla provincia di Varese. C’era anche Gambini quel giorno e, sostiene Caianiello, gli disse di aver ottenuto la nomina nel consiglio d’amministrazione della fondazione Carlo Besta grazie alla Lega.

Tra Tar e telefoni

Torniamo al caso DiaSorin-San Matteo. Due inchieste, una a Pavia e l’altra a Milano, puntano a verificare la regolarità dell’accordo tra la società e il policlinico e dell’affidamento della regione. Uno degli ultimi atti dei pm pavesi è stato l’acquisizione del traffico telefonico di Attilio Fontana, del capo della sua segreteria Giulia Martinelli (ex compagna di Salvini, con cui ha avuto una figlia) e dell’allora assessore al Welfare Giulio Gallera. Nessuno dei tre è indagato, ma gli investigatori hanno fatto copia del contenuto dei loro cellulari per verificare se ci siano all’interno conversazioni, chat o messaggi utili a ricostruire la filiera decisionale che ha portato all’accordo tra DiaSorin e San Matteo, e successivamente all’affidamento diretto da 2 milioni di euro per i 500mila test stipulato dalla centrale acquisti della regione Lombardia.

La vicenda si è però trasformata anche in una battaglia tra aziende concorrenti, che si è combattuta nei tribunali amministrativi a colpi di ricorsi e carte bollate: il Tar aveva dato ragione alla concorrente di DiaSorin inficiando l’accordo con la regione Lombardia, ma il Consiglio di stato ha ribaltato tutto.

Il contratto d’accordo con il policlinico è dunque regolare. Almeno dal punto di vista del diritto amministrativo.

Il presidente Fontana ha esultato per la decisione del Consiglio di stato, e la regione Lombardia ha ripreso a fare affari con la multinazionale che ha versato centinaia di migliaia di euro alla società diretta dai leghisti. Tramite un bando pubblico DiaSorin ha firmato recentemente contratti con la centrale acquisti per oltre 5 milioni di euro. La metà sarà spesa per i test “Clia” ed “Elisa”, una fornitura da 2,5 milioni cominciata l’8 gennaio 2021 e che durerà fino a luglio prossimo. Convenzione che sarà prorogabile, si legge nei documenti.

Fontana e i suoi uomini sperano che le inchieste penali si chiudano presto, certi di aver rispettato la legge. I conflitti di interesse tra aziende private, enti pubblici e politici sembrano invece evidenti, ma in Italia, e non solo a causa dell’emergenza pandemia, sembrano interessare a pochi.

 

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