Dipendenza da internet, lo psichiatra Tonioni: «Per tutelare i nostri figli vanno educati i genitori»

«La responsabilità delle piattaforme digitali nel tutelare i minori? Non è minimamente paragonabile a quella dei genitori. E bisogna smetterla con i luoghi comuni sull’iperconnessione e sulla dicotomia vita reale-vita virtuale. La relazione genitore-figlio va ben oltre l’uso della tecnologia: è la fiducia che va recuperata e sono i genitori a dover essere educati prima e più dei figli»: lo psichiatra e psicoterapeuta Federico Tonioni, dal 2009 a capo del primo Ambulatorio in Italia sulla dipendenza da internet - ribattezzato nel 2016 Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web, presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma - non ha dubbi sulla strada da seguire affinché i bambini di oggi e gli adolescenti di domani non perdano definitivamente la voglia di emozionarsi e di meravigliarsi. Foto sui social, asimmetrie e vizi: solo alle donne è chiesta autocritica Tonioni, i ragazzi sono “dipendenti” da Internet? I primi ad accendere i riflettori sul fenomeno dell’Internet addiction sono stati gli americani. Ma il fenomeno è molto più ampio e complesso. Si tende a separare nettamente vita reale da vita virtuale: questo è il primo errore perché il confine fra offline e online non esiste e le relazioni digitali sono in tutto e per tutto reali nel mondo degli adolescenti così come in quello degli adulti. Partendo da questa doverosa premessa - perché si continua a fare molta confusione sulla questione – il ragionamento da fare è un altro: qual è la differenza fra una relazione e una comunicazione gestita online da quella che comporta il contatto fisico? Quei figli in vetrina sui social, perché lo “sharenting” è pericoloso E qual è? Ebbene nel primo caso manca il contenuto emotivo. Dalla nostra esperienza ci siamo resi conto ad esempio che in una conversazione via webcam non si verifica mai il tipico arrossamento del volto in caso di vergogna poiché lo schermo di un pc o di uno smartphone fa da barriera all’emozione stessa. E per manifestare le emozioni nelle comunicazioni scritte, come quelle delle chat, si usano le emoji, ossia le faccine, oramai ce ne sono a centinaia ma è chiaro che nessuna delle faccine può davvero corrispondere a un’emozione reale. Il contenuto emotivo è dunque castrato e la conseguenza principale è che c’è maggior tendenza all’interpretazione e dunque alla paranoia. Sono questi i sintomi più importanti davanti ai quali ci troviamo quando i ragazzi si rivolgono alla nostra struttura. Tutta la vita degli adolescenti si muove all’interno della dicotomia vergogna-popolarità. Ma se in passato una brutta figura era quella ad esempio fatta davanti a tutta la classe per un’interrogazione andata male o si veniva presi in giro da un gruppo ristretto di persone oggi la potenzialità di esporsi è enorme. Sono molti i ragazzi che innescano preventivamente condotte evitanti e tendono a detonare la rabbia attraverso sessioni di videogiochi dove lo “sparatutto” è l’obiettivo. È l’unico modo che consente paradossalmente di mantenere un equilibrio. L’Ue prova a proteggere i minori sui social, ma le Big Tech sono disponibili a cambiare? E i genitori che fanno? I genitori pensano in buona fede che l’unica via sia vietare i videogiochi o limitare l’uso di computer e smartphone ma ciò scatena inevitabilmente l’indirizzamento della rabbia verso altre situazioni ancor più pericolose con una violenza dilagante. E attenzione perché la noia e la rabbia sono il substrato ideale delle psicopatologie negli adolescenti. Tutte le mamme e i papà con cui abbiamo a che fare non riescono a mantenere la distanza dai figli, puntano sul controllo e non sulla fiducia. Siti porno, come funzionerà la verifica della maggiore età senza fornire i documenti Cosa manca quindi? Ciò che manca è il buon senso e il vero disturbo dell’apprendimento è il pregiudizio e ce l’hanno in primis gli adulti. E c’è di più: il rapporto fra i genitori e i bambini con il cellulare è letteralmente fusionale nella prima fase della vita di un bambino. I genitori fanno foto in continuazione e le postano sui social, i primi selfie dei bambini sono quelli con i genitori, si lodano i propri bimbi per la capacità di maneggiare un cellulare. Fin qui tutto più o meno nella norma. I problemi nascono quando il cellulare viene dato ai figli affinché non disturbino o non si ha voglia di impegnarsi in attività con loro. E poi ci si lamenta quando nell’adolescenza i ragazzi stanno sempre con lo smartphone in mano, peraltro lo fanno anche i genitori, e si passa al metodo del controllo e dei divieti. Quindi in sostanza si considerano i figli dei geni da piccoli e degli incapaci da grandi. E mi lasci dire che controllare lo smartphone di un ragazzo nella fase della sessualizzazione e quindi dell’adolescenza è incestuoso. A proposito di sessualità, per accedere ai siti porno è necessaria la verifica dell’età. È davvero una tutela? I ragazzi vanno nel dark web quindi il tema non è la verifica dell’età sui siti porno. Sanno muoversi nella rete in modi che nemmeno riusciamo a immaginare quindi se pensiamo di proteggerli con i divieti di accesso ci si sbaglia alla grande. Non ci si preoccupa del fatto che nella maggior parte delle scuole elementari non si fanno lezioni di informatica, non si usano i computer quando siamo al tempo dei visori virtuali. Vivere senza social è possibile. Anzi, si sta molto meglio Che conseguenze ha? I bimbi sviluppano sin da subito un profilo cognitivo diverso dove il linguaggio per immagini prevale su quello delle parole perché l’ambiente postnatale che li accoglie è multimediale, fatto di schermi portatili e interattivi, e di genitori che considerano il cellulare come un prolungamento di se stessi. Nell’era digitale lo spazio e il tempo si vivono in modo diverso e la scuola non segue questa evoluzione. L’unica novità di questi anni? Dallo zaino si è passati al trolley pieno di carta. Non si può continuare così.