È il “fiume più inquinato d’Europa” e a contribuire al suo inquinamento non ci sono solo le industrie, ma anche lo stato. I comuni, infatti, hanno un ruolo decisivo nella devastazione ambientale del fiume Sarno. Emerge chiaramente dalle indagini in corso che vogliono individuare i responsabili penali di ciò che è accaduto. Ma non serve un’inchiesta giudiziaria, le colpe politiche sono indicate in una sintetica tabella che chiarisce omissioni e responsabilità.

Il fiume attraversa i comuni delle province di Avellino, Salerno e Napoli terminando la sua corsa nel golfo partenopeo. L’acqua è limpida alla sorgente ma diventa nera e putrida durante il tragitto prima di sfociare in mare. La storia della bonifica e del definito rilancio del corso d’acqua è lunga mezzo secolo.

Nel 1973 infatti, all’interno del progetto speciale di risanamento dell’intero golfo di Napoli, è stato avviato il disinquinamento del fiume Sarno che si inserisce. Dieci anni dopo un articolo ne celebrava il fallimento. «Ancora un disastro ecologico. Sotto accusa è di nuovo il fiume Sarno», così scriveva nel 1983 sul Mattino, il cronista precario Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra due anni dopo.

L’articolo era intitolato “Allarme per la fogna Sarno”. Da allora sono passati 38 anni e una lunga stagione commissariale. Nel 1995 il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e ha nominato un commissario. Nel decreto veniva descritto il livello di inquinamento a partire dal «pessimo stato di qualità delle acque superficiali, già gravemente compromesso dalle acque di scarico scarsamente o per nulla sottoposte a processi di trattamento», denunciando anche la «pratica diffusa dell’abbandono in alveo di rifiuti di varia origine lungo le aste fluviali del Sarno e dei suoi tributari».

Il commissario doveva completare «la costruzione del nuovo sistema depurativo del Sarno, la progettazione e realizzazione delle reti fognarie dell’intero bacino nonché l’attuazione di specifici interventi sulle aziende e sulle industrie presenti nel territorio per ridurne l’impatto negativo sull’ambiente». Obiettivi mai raggiunti. E l’emergenza, mai risolta, è diventata infinita.

Gli scarichi delle industrie

Per affrontare la situazione è stato adottato un nuovo approccio investigativo. Per la prima volta i carabinieri del nucleo operativo ecologico guidati dal comandante Pasquale Starace, hanno iniziato un’indagine a partire dagli inquinanti presenti nel fiume per risalire alle imprese coinvolte, quelle conserviere (che lavorano pomodori) e quelle conciarie (che lavorano pelli). Su 280 aziende ne sono state monitorate 230. La metà è stata sanzionata perché non ha rispettato la normativa ambientale, 107 titolari sono stati denunciati, 40 sono stati i sequestri.

Molte aziende sono state denunciate perché prive dei titoli autorizzativi. In pratica operavano in violazione della disciplina degli scarichi con i comuni che non avevano alcuna contezza delle attività produttive presenti sul territorio.

Alcune aziende scaricavano direttamente nel fiume i rifiuti liquidi altre, anche in possesso di depuratori, evitavano di metterli in funzione per risparmiare sui costi di gestione. Per alcune violazioni è scattata una semplice sanzione amministrativa: rischio penale zero e fiume inquinato. In alcune imprese mancavano addirittura le vasche di raccolta delle acque nei piazzali dove venivano stoccati i rifiuti, così tutto è finito direttamente nel Sarno.

Nel bacino del fiume viaggiano ogni giorno quantità enormi di rifiuti che nella stagione delle piogge provocano continue esondazioni. Ma non ci sono le imprese. In ogni analisi realizzata lungo i 24 chilometri di estensione del corso d’acqua è stata evidenziata la presenza di un batterio: l’escherichia coli. È il batterio delle acque nere proveniente dagli scarichi dei servizi igienici. La situazione è, in alcuni tratti, ferma a quel titolo di 38 anni fa: “Fogna Sarno”. Ci sono comuni che non hanno la rete fognaria, altri che non hanno i collettori di collegamento con i depuratori. Il Sarno è lì a digerire tutto, ogni tipo di scarico umano.

La mappa del disastro

L’indagine è condotta da tre procure, quella di Avellino, di Nocera Inferiore e di Torre Annunziata. Agli atti dell’inchiesta è finita una tabella riassuntiva che, per ogni comune, racconta lo stato dell’arte.

I comuni di Casola, Lettere e Gragnano hanno la rete fognaria in esercizio provvisorio. Il comune di Santa Maria La Carità, invece, non ha la rete fognaria in esercizio. Stessa situazione nel comune di Poggiomarino. «Da cittadino mi viene da piangere», dice il segretario generale dell’ente, Aniello D’Angelo. Bisogna attivare la rete fognaria e allacciarla ai depuratori.

Per affrontare parzialmente il problema alcuni condomini dispongono di vasche dove confluiscono le acque nere che poi vengono raccolte da aziende preposte allo smaltimento. Ma è una soluzione a perdere. «Queste vasche quando piove si riempiono e allagano tutto. Alcune zone vengono sommerse da un mare di acqua putrida, veniamo travolti dai reflui delle fogne nere dei comuni vicini. Così le malattie aumentano», dice l’assessore e vicesindaco Luigi Belcuore.

L’amministrazione è in carica da sette mesi e ha ereditato un disastro. «È vero Poggiomarino scarica le acque reflue direttamente nel fiume Sarno, ma non siamo l’unico comune», dice Belcuore. Dalla regione spiegano che entro l’anno saranno espletate le gare per la realizzazione dei collettori, il rifacimento delle vasche di raccolta e l’utilizzo di Conte di Sarno, un canale realizzato venti anni fa e mai messo in funzione, in grado di raccogliere una parte delle acque ricanalizzando il fiume.

«Lo stato generale del fiume Sarno versa ancora in pessime condizioni gli scarichi senza alcuna depurazione confluiscono direttamente nel fiume (e suoi affluenti), dato che diversi comuni non hanno provveduto alla realizzazione di un depuratore comunale», si legge nelle relazioni dell’Agenzia regionale di protezione dell’ambiente.

Percorrendo il corso d’acqua si scoprono altri “inquinamenti di stato”. Nel comune di Striano la rete fognaria non è allacciata all’impianto di depurazione comprensoriale e recapita i reflui nel fiume Sarno, ma dall’ente locale nessuno ha voluto rispondere di questo disastro quotidiano. Nessun chiarimento neanche dal comune di Ottaviano, dove la rete fognaria è in esercizio e recapita le acque reflue nella vasca San Gennariello, ma non è ancora allacciata al depuratore di Angri e così, a ogni pioggia, il mare nero finisce nel fiume.

A Pompei, che ospita gli scavi archeologici famosi in tutto il mondo, «un’aliquota poco significativa di acque nere continua a finire nel fiume Sarno», si legge nella tabella. Ora la magistratura dovrà accertare, chi tra comune, regione e la società Gori (soggetto gestore del servizio idrico) era deputato alla realizzazione dei lavori e non l'ha fatto, ma anche il mancato utilizzo dei finanziamenti stanziati. Domande che ruotano attorno a una certezza: il Sarno resta una fogna di stato.

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