Il piano italiano, che sarà discusso la prossima settimana al Consiglio europeo, per un price cap, cioè per un tetto al prezzo del gas, prevede il divieto di commerciare gas tra operatori in tutti i paesi europei a un prezzo superiore agli 80 euro per megawatt ora (MWh).

Prima della guerra era intorno a 20 MWh, nei momenti più drammatici è arrivato a 350, ora è intorno ai 124. Facile a dirsi, difficile da applicare, come si impone il prezzo del gas a Vladimir Putin?

Sulla base dei documenti del governo Draghi, la risposta è che non si impone a Putin, ma alle imprese europee, con una decisione che non abbia bisogno di passare dai parlamenti nazionali, per esempio un regolamento del Consiglio europeo che è vincolante immediatamente e non richiede ratifica.

Se all’interno dell’Ue venisse vitato il commercio di gas a più di 80 euro per MWh, chiaramente nessuno avrebbe più l’incentivo a importarlo per cifre superiori, perché sarebbe un’operazione in perdita. Dunque, con un atto che vincola gli europei e non i russi, Putin e Gazprom si troverebbero all’istante di fronte aziende private costrette a richiedere gli stessi volumi di oggi o superiori a 80 euro per MWh invece che a 124.

Perché la Russia dovrebbe accettare un simile, drastico, taglio del prezzo? A palazzo Chigi e al ministero della Transizione ecologica di Roberto Cingolani hanno fatto i conti e hanno una risposta. Tra 2017 e 2020, il prezzo del gas ha oscillato tra 5 e 30 euro per MWh. Quotazioni molto più basse di quelle attuali e comunque parecchio inferiori anche alla soglia del price cap, cioè 80 euro per MWh.

Ai produttori russi, dunque, non converrebbe ridurre l’offerta in modo drastico, perché rischiano di tenere nei giacimenti del gas che, passata la guerra e tornata la normalità precedente, potrebbero comunque vendere a prezzi più bassi. Certo, a venderlo a 124 euro per MWh fanno più soldi, ma la scommessa del governo Draghi è che anche di fronte a un prezzo calmierato non avranno scelta.

L’Europa rappresenta i tre quarti del mercato potenziale via tubo per gli esportatori di gas russi, non saprebbero a chi vendere i 350 miliardi di metri cubi annui che arrivano verso l’Ue. La Cina può contare su un solo gasdotto, e costruirne altri richiede anni.

Che succede sul mercato

03 March 2022, Russia, St. Petersburg: A flag with the Gazprom logo flies at a branch of the Russian state-owned corporation in St. Petersburg. Photo by: Igor Russak/picture-alliance/dpa/AP Images

Peraltro, la mossa drastica proposta dall’Italia, se approvata dal Consiglio europeo la prossima settimana, potrebbe risolvere anche gran parte delle attuali tensioni sul mercato dei prezzi spot, cioè quello a cui si compra e si vende il gas nell’immediato (il resto è con contratti future/forward, per forniture future).

I prezzi oggi sono impazziti perché gli operatori incorporano nelle loro decisioni il rischio di future interruzioni di fornitura, o per le sanzioni europee o per ritorsioni dal lato russo. Con il rischio che non ci sia modo di adeguare gli stoccaggi in autunno, tutta la parte di mercato che riguarda transazioni future è paralizzata. E chi deve comprare gas per bilanciare le proprie posizioni (cioè per detenere il gas che si è impegnato a consegnare con qualche contratto precedente), non trova venditori.

Col risultato che i prezzi salgono ben oltre quello che i fondamentali, cioè l’andamento di domanda e offerta, giustificherebbero: la domanda di gas non è salita, dall’inizio della guerra, e l’offerta, tranne che per le ritorsioni di Gazprom negli ultimi giorni, non si è ridotta.

Con il price cap e la Russia priva di alternative, si determinerebbe un nuovo equilibrio che finirebbe per rassicurare gli operatori e adeguare le loro aspettative sul futuro: Putin continuerebbe a vendere gas agli europei, noi a comprarlo, ma le risorse per finanziare la guerra sarebbero quasi dimezzate rispetto all’attuale miliardo di euro al giorno (prima o poi produrranno effetti anche gli annunci di embargo del petrolio).

Il piano italiano ha il grande vantaggio di far leva su dinamiche di mercato: non costerebbe un euro ai contribuenti, niente miliardi buttati per sussidiare il consumo come è stato, per esempio, sulla benzina. I consumatori avrebbero guadagni immediati, perché il prezzo dell’elettricità che è legato a quello del gas si adeguerebbe subito al ribasso.

Chi si oppone

Ukraine President Volodymyr Zelenskyy, right, talks with Prime Minister of Italy Mario Draghi at the Mariyinsky Palace in Kyiv, Ukraine, Thursday, June 16, 2022. (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Le resistenze però non mancherebbero, a cominciare da quei produttori extra-europei che i paesi Ue stanno coinvolgendo per sostituire la Russia, per esempio Equinor (norvegese, secondo fornitore dell’Ue, 20 per cento del mercato del gas) o gli algerini di Sonatrach.

Anche loro si troverebbero a vendere il gas a 80 euro per MWh invece che a 124 attuali. E avrebbero da ridire anche tutte le aziende energetiche europee che vendono energia con prezzi agganciati a quello di riferimento del gas, quello fissato nell’hub olandese noto come Ttf (Title transfer facility).

I loro famosi extra-profitti si ridurrebbero, ma non ci sono alternative allo strumento del price-cap: come ha spiegato nei giorni scorsi l’Autorità dell’energia (Arera), è praticamente impossibile stimare quale sia il ricavo dovuto ai prezzi alti per le singole aziende, perché il regolatore non conosce nel dettaglio i contratti e le spese per i derivati che proteggono dalle oscillazioni dei prezzi.

Non basta, insomma, guardare l’andamento del prezzo per stabilire chi ci guadagna e quanto. Ma se tutti sono costretti per legge a scambiarsi gas allo stesso prezzo, gli extra-profitti svaniscono o almeno si riducono molto.

Nel medio periodo l’Ue dovrà comunque insistere con il suo piano di emancipazione dal gas russo, tra ricerca di nuovi fornitori e transizione ecologica, ma nell’immediato il piano italiano sembra la via più efficace per spezzare il ricatto del gas russo.

Il piano c’è, ora serve che Draghi trovi il consenso necessario nel Consiglio europeo della prossima settimana.

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