Le indagini per  l’omicidio di Pio La Torre, deputato e segretario regionale del Partito comunista italiano (Pci) della Sicilia, ucciso assieme a Rosario Di Salvo, lo si capì subito, si rivelarono difficili e complicate a cominciare dalla stranezza delle armi di provenienza militare.

Sulla sua uccisione si è scritto molto. Eppure, dopo tanti anni succede di trovare delle carte inedite che aprono un nuovo scenario. Ho scoperto tra i fondi dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma un documento di 31 pagine con un titolo inequivocabile: Mafia: omicidio Pio La Torre. A distanza di due settimane dall’assassinio, il 17 maggio, l’allora direttore del Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica), Emanuele De Francesco, lo inviò al presidente del Consiglio Spadolini e al ministro dell’Interno Rognoni.  

Quando, qualche mese dopo, De Francesco riceve da Chinnici, giudice istruttore del Tribunale di Palermo, la richiesta di fornire notizie sull’omicidio La Torre, risponde che «il Sisde non è in possesso di elementi per l’identificazione degli autori dell’omicidio dell’on. Pio La Torre o per l’individuazione del possibile movente». Anche un altro ufficiale del Sisde, Bruno Contrada, all’epoca coordinatore dei centri Sisde della Sicilia, interrogato durante il processo La Torre, dichiara di «non essersene mai occupato». Ricavo le due notizie dal libro di Paolo Mondani e Armando Sorrentino Chi ha ucciso Pio La Torre?, edito da Castelvecchi nel 2012.

Quella di De Francesco è una dichiarazione non veritiera, come non veritiera è quella di Contrada. Alla magistratura si poteva mentire perché, secondo questi due poliziotti di razza, funzionari apicali del Sisde, i magistrati dovevano essere tenuti fuori dalle informazioni in loro possesso quasi fossero un corpo estraneo.

Il documento segreto

Il documento che De Francesco invia a Spadolini è identico a quello trasmesso a lui solo pochi giorni prima da Contrada. Dunque ci sono due testi: quello del 17 maggio che è quello ufficiale, e l’altro del 13 maggio che è indirizzato al direttore del Sisde. Lo scritto di Contrada, però, ha il frontespizio oscurato. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, ufficialmente permane il segreto, o mistero che dir si voglia, su chi sia questa fonte che oggi sappiamo essere quella del Sisde di Palermo perché lo ha rivelato Contrada. Perché tenerla ancora segreta?

Ma l’elemento che rende particolare, anzi unico, il documento firmato da De Francesco è il fatto che, annotati a margine ci sono commenti a dir poco singolari che in ogni caso sono molto utili perché svelano un pensiero: ridimensionare l’impegno e l’importanza di La Torre. Chi è l’autore di queste annotazioni a matita? Non si sa. Si possono avanzare delle ipotesi. Potrebbe essere lo stesso direttore che, dopo aver mandato ufficialmente il testo di Contrada, mette nero su bianco il suo pensiero, oppure qualcuno di grado molto elevato perché ha la possibilità di visionare e di annotare un testo di quel tipo.

Le cose più interessanti sono le annotazioni a margine, proprio perché esse ci consentono di far emergere la singolarità del documento. Nella parte descrittiva dei moventi dell’omicidio è detto che una delle cause è la “promozione di una estesa e incisiva campagna politica contro la installazione della base missilistica a Comiso”. Poco dopo questo giudizio troviamo la seguente valutazione: “Egli era divenuto il simbolo della lotta antimafia, non solo nell’ambito del suo partito ma anche in tutti gli altri ambienti cittadini”. A matita, un commento lapidario: Sarà!

È un’affermazione sorprendente perché fa a pugni, tra l’altro, con quanto è detto subito dopo circa l’impegno antimafia del dirigente comunista. «È opinione diffusa in questa città che l’on. La Torre avesse quasi personalizzato il problema della mafia, ne avesse fatta una ragione di vita». Vero, La Torre ne aveva fatto una ragione di vita, ma non aveva “personalizzato” il suo impegno quasi fosse una sua ossessione o questione personale. Tanto è vero che «molti, anche in ambienti qualificati» ritenevano che la stessa campagna contro la base di Comiso fosse «utilizzata per l’obiettivo primario della lotta alla mafia». In modo corretto il documento del Sisde precisa che «negli ultimi due mesi l’attività dell’on. La Torre tendente a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della mafia in Sicilia ed a far sì che divenisse una questione nazionale si era vieppiù intensificata e pubblicizzata».

E allora davvero è incomprensibile quel Sarà! che stride con tutto il resto dello scritto e stride ancor più con l’eco e la risonanza nazionale che l’omicidio ha provocato in tutti gli ambienti. Basti seguire la reazione della stampa di quei giorni per averne una conferma. A Emanuele Macaluso, qualche giorno prima La Torre aveva detto: »Adesso tocca a noi», non immaginando quanto avesse drammaticamente colto nel segno, né tanto meno che potesse essere lui la vittima. Per capire quello che è successo bisognava guardare sia al rapporto mafia-politica sia a quelle che accadeva fuori della Sicilia. È un omicidio italiano non solo siciliano.

La matita del discredito

I giornali mettono in relazione l’uccisione di La Torre e l’arrivo di dalla Chiesa a Palermo come prefetto della città. Di dalla Chiesa si occupa anche il documento firmato da De Francesco. «Non è infine da sottovalutare anche l’opinione piuttosto diffusa in città che nella designazione» del generale dalla Chiesa a Prefetto di Palermo, notizia che aveva allarmato mafiosi e ambienti contigui alla mafia, «avesse avuto una parte determinante anche l’on. Pio La Torre». Commento con la solita matita: «Bah! Tesi poco credibile».

Che senso ha una simile postilla? Era noto, e pubblicizzato sulla stampa, che il 3 marzo Ugo Pecchioli, Pio La Torre e Rita Costa, la vedova del giudice Costa assassinato dalla mafia, erano andati da Spadolini per presentargli proposte sulla lotta alla mafia che avevano elaborato dopo che una delegazione di parlamentari comunisti s’era recata in Sicilia incontrando varie personalità e magistrati. Nel fondo Pecchioli custodito presso la Fondazione Gramsci di Roma, c’è un’ampia documentazione delle proposte avanzate. Pochi giorni dopo il Governo nomina dalla Chiesa prefetto di Palermo. Era evidente che c’era una relazione, o diretta o indiretta, con quell’incontro.

Che La Torre e dalla Chiesa si conoscessero sin da quando La Torre era dirigente sindacale a Bisacquino, che si stimassero e non nascondessero la loro amicizia, e si frequentassero era cosa nota e risaputa. Tra l’altro, il Sismi ha pedinato la Torre per tre decenni, pedinamento che terminò una settimana prima che fosse ucciso. Pura coincidenza? Oppure il pedinamento fu di proposito abbandonato per non essere testimoni di quello che, si sapeva, sarebbe accaduto?

Ancora un giudizio interessante nel documento di De Francesco secondo cui «l’omicidio sia stato perpetrato alla vigilia dell’arrivo a Palermo del nuovo Prefetto» e che l’azione criminale «sia stata fatta eseguire, da chi l’ha demandata, con voluta eclatanza intimidativa». Con la solita matita, un commento non facilmente decodificabile: «Conoscendo l’uomo come lo conosce la Mafia non è molto verosimile».

Due ultime annotazioni è utile segnalare. La prima riguarda un forte disprezzo verso i politici. All’idea di istituire una commissione parlamentare di vigilanza contro il crimine organizzato c’è la solita matita che precisa «lascerei i politici fuori!». La  commissione avrebbe dovuto vigilare quando «operazioni finanziarie o procedure d’appalti appaiono legate alla mafia»; il commento a matita non si fa attendere: «soprattutto per questi motivi escluderei i politici». Infine, quando si accenna alla possibile modifica dell’art. 416 del codice penale, inserendo il bis con il reato di associazione mafiosa, la postilla a matita è: «(Associazione per delinquere). Si, ma quale? (forse per la parte che riguarda la permanente colleganza tra gli associati?)». Evidentemente sfuggiva la portata dell’innovazione dirompente della legge.

Solo e sempre la mafia

Il documento Contrada-De Francesco, (a giusta ragione si potrebbe definirlo così), ha un limite di fondo: suggerisce che gli autori del crimine siano solo mafiosi violenti assetati di sangue. In nessun conto sono tenute le denunce di Pio La Torre sul ruolo del banchiere Michele Sindona e dei suoi molteplici legami mafiosi e finanziari con politici in Sicilia e a livello nazionale, l’individuazione del pericolo di una struttura parallela della Nato, illegale, che all’epoca non aveva un nome e che poi avremmo imparato a chiamare Gladio, la sottolineatura della nuova strategia della mafia e del ruolo di Vito Ciancimino nella Dc diventato più potente dopo l’uccisione di Michele Reina. Solo coppole e niente altro sembra suggerire quello scritto del Sisde.

Nelle carte della Fondazione Gramsci c’è il documento finale del IX congresso regionale del Pci siciliano, l’ultimo a cui partecipò La Torre che nella sua relazione sostenne che «gli omicidi politici compiuti dal terrorismo mafioso in Sicilia nel ‘79 e nell’‘80 non possono essere esaminati come singoli episodi» perché, invece sono “sequenze allucinanti” collegate tra di loro: gli omicidi di Giuliano, Terranova, Mattarella, Basile, Reina, Costa.

Nel documento del Sisde c’è scritto invece che questi omicidi «trovano origine e conclusione in ambienti e fatti di mafia», per cui non c’è spazio per un interrogativo che pure aveva posto La Torre per gli altri omicidi e che ora tornava ancora più stringente dopo la sua morte: siamo sicuri che solo e soltanto di mafia si tratti? E siamo sicuri che non ci sia una «matrice politica», quella già individuata da La Torre in un’intervista al “Mondo” del 26 ottobre 1979 già solo per i delitti di Reina, Giuliano e Terranova e che diventava più attuale proprio dopo gli omicidi che precedevano il suo?

Coppole certo, non si discute, ma qualcosa di più e di molto più grande doveva pur esserci per capire il senso dell’omicidio La Torre.

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