Ha 22 anni e ha già percorso tutta la storia dell’emancipazione femminile. Ha iniziato a pedalare a 14 anni fingendosi un ragazzo e correndo sotto falso nome. Il ritorno al potere dei Talebani ha reso la sua attività sportiva fuorilegge. Ha potuto lasciare il paese grazie all’associazione Road to Equality di Alessandra Cappellotto. Ora ha un contratto nel World Tour, la serie A delle biciclette
Fariba Hashimi è una giovane donna afghana. Di lavoro fa la ciclista e in soli 22 anni di vita ha percorso tutta la storia dell’emancipazione femminile nello sport. Ha grandi doti da scalatrice e non potrebbe essere altrimenti. Il suo breve viaggio personale è un distillato del lungo calvario delle donne verso le pari opportunità e lo fa assomigliare a una salita verticale che conduce dall’inferno al paradiso.
Fariba nasce nel 2003 in una zona rurale ai confini col Turkmenistan. Inizia a pedalare all’età di 14 anni: si finge un ragazzo e si iscrive a gare locali sotto falso nome. Quando viene scoperta la famiglia la sostiene ma la gente la combatte, perché andare in bicicletta è considerato immorale.
Sembra la cronaca di quanto fece Alfonsina Strada un secolo fa, per prendere parte al Giro d’Italia del 1924, registrandosi con l’omissione della “a” finale (Alfonsin) e accumulando insulti tappa dopo tappa. Per fortuna nostra non si scoraggiò e aprì la strada (e la pista) a generazioni di donne, cicliste e campionesse: tra tutte Alessandra Cappellotto che, a San Sebastian nel 1997 fu la prima a regalare ai colori azzurri un titolo mondiale nel ciclismo su strada.
Il ruolo di Cappellotto
Nemmeno Fariba, per fortuna sua, si lasciò dissuadere. Per via degli imprevedibili talvolta magici giri del destino, accadde che, nel 2021 con l’avvento dei Talebani, la sua bici mise le ali e, invece che in fuga, la portò in volo. Ad attenderla molte migliaia di chilometri ad ovest e parecchi balzi epocali più avanti, nel futuro, c’era Alessandra e la Road to Equality la sua rotta tracciata per i viaggi nel tempo grazie alla quale, oggi, Fariba è diventata la prima donna afghana, ciclista professionista per una squadra World Tour (il massimo livello riconosciuto dall’UCI, Unione Ciclistica Internazionale). Lo scorso 25 gennaio, ha esordito alla Challenge Mallorca con il blasonato team Ceratizit-WNT Pro Cycling.
Nel 2017 mentre Fariba, nel lontano Afghanistan, corre le sue prime gare in bicicletta, Cappellotto diventa vicepresidente nel CPA, l’Associazione Internazionale dei Ciclisti Professionisti e strappa la possibilità di fondare la sezione femminile (CPA Women) di cui diventa directing manager e con cui concretizza uno straordinario avvicinamento tra ciclismo femminile e maschile.
Un traguardo storico sudato quanto o forse più del suo titolo iridato. Ma anche Alessandra è una che non molla facilmente: nella sua carriera agonistica, oltre all’oro mondiale e due bronzi vanta due partecipazioni olimpiche, due tricolori, il Collare d’Oro al Merito Sportivo. Già da atleta aveva il carisma della leader e fu senz’altro suo il grosso impulso con cui la fortissima squadra nazionale degli anni Ottanta-Novanta (Canins, Luperini, Bonanomi, Pregnolato, Cristofoli, sua sorella Valeria) riuscì a cambiare l’immagine del ciclismo femminile: con loro, la donna che pedala passa da fenomeno da circo ad atleta rispettata e magari pure ammirata.
Alessandra e Valeria, “le sorelle Cappellotto”, sono state le prime cicliste ad avere un fan club in anni in cui, per le strade del Veneto dove si allenavano, qualcuno ancora urlava loro di andare a casa a fare la polenta.
Personalità e capacità di dimostrarla non le facevano difetto: correva forte e sapeva parlare bene. Era capitana ma anche gregaria all’occorrenza. Agli eventi si presentava in décolletèe con tacco 15, quando la normalità era scegliere tra la tuta della società e quella della nazionale. In casa aveva respirato sempre aria di uguaglianza tra uomo e donna e a lei, che il ciclismo andasse a braccetto col patriarcato non spaventava affatto: ha sempre saputo come farsi largo tra i due per segnare lo spazio in cui costruire la parità.
Insomma, tutto dell’Alessandra-atleta faceva presagire che il suo rapporto col ciclismo non sarebbe finito insieme all’agonismo praticato. Ad oggi, è l’unica donna, ciclista, italiana che sia stata capace di scalare la leadership dirigenziale internazionale; prima un mandato in consiglio federale, poi la vicepresidenza dell’associazione ciclisti professionisti italiana e da lì, il grande balzo in CPA.
Ha lavorato talmente bene che perfino l’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) il vertice di una piramide di sopraffina storia monogenere, si è guadagnata una buona reputazione nell’ambito delle pari opportunità. Con lei alla guida la visibilità di CPA Women si diffonde in tutto il mondo e con essa crescono anche le richieste di aiuto provenienti dai paesi più disparati: c’è chi chiede materiale per l’attività, chi un visto per l’Europa.
Cappellotto dirigente
C’è tanto da fare e Alessandra ha bisogno di uno strumento ulteriore, più agile del CPA. Cosi fonda Road To Equality; formalmente una semplice associazione sportiva dilettantistica ma lo statuto esprime cose grandi: si rifà all’obiettivo 5 dell’agenda ONU 2030 in materia di gender equality per garantire la dignità delle donne-atlete di Paesi colpiti da emergenza umanitaria. È il 2021 quando al CPA Women arriva la richiesta di sostegno per organizzare una gara, a Kabul, perché anche una piccola iniziativa dedicata allo sport femminile aiuti a tamponare l’angoscia per l’avanzata talebana.
Si sceglie una data simbolica, l’8 marzo: partecipano 57 atlete tra cui la promettente Fariba ma della gara alla fine non si parla, si teme per la loro incolumità. Il CPA resta vigile e in contatto costante finchè ad agosto, con la ritirata degli Stati Uniti e il paese ormai in mano ai talebani, la situazione precipita. Cappellotto sollecita il presidente della Federazione italiana che a sua volta attiva i ministri degli Esteri, della Difesa e degli Interni. In tempi rapidissimi è pronta la lista coi nomi delle ragazze autorizzate a imbarcarsi su uno dei C130 dell’Aereonautica militare: ma come raggiungerlo?
Sono i giorni che tutti ricordiamo per le immagini agghiaccianti della folla che cerca di entrare in aeroporto, dei genitori che lanciano i bambini ai militari al di là del muro di cinta, delle persone che si attaccano agli aerei in decollo, del caldo, della sete, del sangue degli attentati. I cellulari si scaricano, le notizie si perdono, i giorni passano. Due settimane di silenzio e poi arriva una chiamata dal campo profughi allestito ad Avezzano: sono 14, sono vive, sono lì e Alessandra si precipita ad abbracciarle.
La svolta per Hashimi
Una rete internazionale di associazioni e federazioni ciclistiche si suddivide la responsabilità di prendersene cura: vitto, alloggio, vestiario, lo studio della lingua, qualche piccolo lavoro, l’organizzazione dell’attività agonistica. Road to Equality ne adotta 5, tra loro Fariba e sua sorella maggiore Yulduz. Le cose poi vanno veramente alla velocità della luce: imparano l’italiano, corrono, fanno risultati, partecipano ai Mondiali e ai Giochi olimpici di Parigi dove chiedono e ottengono di vestire la maglia dell’Afghanistan e non della squadra dei rifugiati.
Fariba è scelta come alfiere, il massimo dell’emozionale e del simbolico. Dice di voler correre forte per aiutare la causa delle donne afghane e non sono parole di circostanza: qualche mese dopo vince una tappa del Tour de l’Ardèche e arriva l’ingaggio per la squadra World Tour nella stagione 2025. Ormai, la provincia afghana dove correva sotto falso nome è un ricordo sfumato ma la famiglia e il desiderio di tornare libera nella sua terra sono la ragione di vita. Uno scenario che sembra lontano ma non impossibile per chi si muove per salti quantici lungo la road to equality. Ad Alessandra Cappellotto è stato assegnato nel 2022 il premio Amnesty International “Sport e diritti umani”. Per ricordarci che anche i miracoli nascono nella fatica.
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