Immaginare cosa possa accadere nel prossimo conclave è sempre rischioso. Tuttavia è possibile dare uno sguardo d’insieme a quelli che sono gli attuali equilibri nel collegio cardinalizio.

Papa Francesco ha inciso profondamente su questo aspetto della vita della chiesa. Se si tiene presente il criterio delle nomine cardinalizie a seconda del pontificato, si vede che, su un totale di 252 cardinali, 149 sono stati “creati” dal pontefice appena scomparso, 62 da Benedetto XVI e 41 da Giovanni Paolo II.

Se poi si restringe il quadro ai soli porporati elettori, cioè quelli con meno di 80 anni che hanno diritto a entrare in conclave, i numeri sono ancora più netti: 108 quelli nominati da Francesco, 22 da Ratzinger e solo 5 i “sopravvissuti” della lunga stagione wojtyliana.

D’altro canto Bergoglio ha introdotto diverse novità nella scelta dei cardinali. E si può dire che questo aspetto è sicuramente uno degli elementi di riforma della vita della chiesa più visibili. Il pontefice argentino ha cercato di scardinare alcune leggi non scritte. In particolare non ha più seguito in modo automatico il criterio delle cosiddette sedi cardinalizie per tradizione, anche perché queste si trovavano quasi sempre nel nord del mondo, in paesi dalla lunga tradizione cattolica magari oggi in preda alla secolarizzazione.

Non solo, il fatto che una determinata sede arcivescovile dava come approdo finale il cardinalato aveva come conseguenza quella di accrescere forme di carrierismo nella chiesa, il che voleva dire, non di rado, conformismo e adeguamento alle prassi del potere ecclesiastico e laico.

Berrette periferiche

Francesco ha invece invertito questa tendenza consegnando la porpora a vescovi che si trovavano anche in piccoli paesi, in territori dove la chiesa era minoranza assoluta oppure non godeva di particolari privilegi.

In questo senso, ha dato la priorità a sedi episcopali collocate nelle periferie del mondo dove, a suo giudizio, si trovavano uomini di chiesa in grado di servire il proprio popolo.

Adottando questi criteri, ha cercato di riequilibrare il peso specifico delle chiese in crescita del sud del mondo, rispetto a quelle in crisi di fede e di vocazioni del mondo occidentale. Il tentativo è stato quello di costruire un collegio cardinalizio più rappresentativo dell’universalità della chiesa cattolica.

Ma ha dato seguito anche a nomine importanti sotto il profilo diplomatico o internazionale, in base alle aree di crisi del mondo: è il caso del nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari, del patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, dell’arcivescovo di Teheran, Dominique Joseph Mathieu.

Cresce il Sud del mondo

Dopo l’ultima serie di nomine cardinalizie dello scorso ottobre il collegio cardinalizio risulta composto da 135 elettori. La soglia massima orientativa di partecipanti a un conclave stabilita da Paolo VI, e confermata dai papi che l’hanno seguito, era di 120. Un numero che, attualmente, è stato ampiamente superato.

La grande maggioranza di loro avrà quindi un imprinting bergogliano. E anche se non si tratta di un gruppo omogeneo dal punto di vista della visione sulle questioni che riguardano la vita e il governo della chiesa resta un dato: la possibile ipoteca di Francesco sul suo successore.

Anche perché il collegio ha un’impostazione decisamente meno eurocentrica. L’Europa ha, ora, 53 porporati elettori; l’America Latina 17, il Centroamerica 4, l’Asia 23, l’Africa 18, il nord America (Usa e Canada) 16, l’Oceania 4. Se si guarda agli equilibri generali, si può notare che America Latina e Centrale, Asia, Africa e Oceania da una parte, Europa e America del Nord dall’altra sono quasi pari (66 a 69). Inoltre, i nuovi paesi entrati nel Collegio con le ultime nomine sono Algeria, Australia, Ecuador, Iran, Serbia.

Certo, il criterio geografico non può esser l’unico in base al quale determinare l’elezione del successore di Francesco, ma l’estrema varietà della provenienza dei cardinali, considerato dunque che molti non si conoscono fra di loro, potrebbe avere il suo peso.

Ultimamente sono usciti di scena, causa limiti d’età, due “pesi massimi” fra i cardinali elettori: l’indiano Oswlad Gracias, che ha compiuto 80 anni a dicembre, e l’austriaco Christoph Schoenborn, ex arcivescovo di Vienna che ha superato la fatidica soglia lo scorso 22 gennaio. Il primo marzo, poi, per lo stesso motivo, è uscito dal novero degli elettori il cardinale spagnolo Fernando Vergez Alzaga.

Ad aprile, rispettivamente il 6 e il 19, hanno compiuto gli anni il cardinale emerito di Santiago del Cile, Celestino Aós Braco, e l’indiano George Alencherry.

Tagle, Pizzaballa, Parolin

Rischioso fare anche previsioni sui possibili successori. Ma è possibile ragionare su alcuni profili. Se i cardinali decideranno che il papato, dopo l’Argentina, debba continuare il suo giro del mondo, allora potrebbe toccare all’Asia, continente sul quale la chiesa sta investendo molto in termini di evangelizzazione.

Una soluzione in questo senso potrebbe essere quella del filippino Luis Antonio Tagle, ex arcivescovo di Manila, da diversi anni all’opera in Curia, dove ricopre l’importante incarico di pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione (ex Propaganda fide), il che lo ha messo in contatto con le chiese di mezzo mondo.

C’è poi il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, una vita in Medio Oriente (è stato anche a lungo a capo della custodia francescana di Terra Santa), avrebbe il pregio di essere italiano di origine, quindi di conoscere bene i meccanismi del potere curiale, e mediorientale d’adozione, il che gli consente già oggi di giocare un ruolo di primo piano in una delle crisi più drammatiche del nostro tempo. Senza contare la forte esperienza maturata a livello ecumenico in modo speciale con le chiese orientali.

Esiste poi l’“opzione Wojtyla”, ovvero un papa da eleggere in contrapposizione al presidente Donald Trump, un po’ sul modello di quanto è accaduto con l’elezione del papa polacco in contrapposizione alla Russia comunista.

In questo caso il pontefice potrebbe essere statunitense, anche se non godrebbe dell’appoggio di tutti i cardinali a stelle e strisce, divisi al loro interno fra conservatori e progressisti. Diversi i candidati possibili: dagli ex arcivescovi di Washington e Boston, Wilton Gregory e Sean Patrick O’Malley, entrambi anziani (il primo ha compiuto 77 anni ed è il primo cardinale afroamericano degli Usa, il secondo ha già 80 anni), che per questo potrebbero essere scelti per un pontificato breve; si arriva poi all’arcivescovo di Chicago, Blase J. Cupich, autorevole cardinale liberal della chiesa statunitense, e al neo arcivescovo della capitale americana, Robert McElroy, uomo di punta della chiesa più vicina alla visione riformatrice di papa Francesco.

Se infine la scelta cadesse su un papabile italiano, sono almeno tre i nomi emersi fino a ora. Oltre al già citato Pizzaballa, ci sono l’attuale segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che per il ruolo istituzionale ricoperto può contare su un’ampia conoscenza della chiesa universale, e la sua sarebbe un’opzione di continuità con il pontificato di Francesco ma più diplomatica nei toni e nei contenuti, e infine l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei Matteo Zuppi, che si è fatto conoscere a livello internazionale per la sua missione di pace come inviato del papa per il conflitto in Ucraina. Ogni conclave può riservare comunque sorprese. Si pensi solo all’elezione inattesa di papa Francesco.

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