L’amore della Difesa per i droni sembra non avere fine. Dopo la richiesta per armare i sei Reaper già in dotazione delle forze armate italiane ed usati fino ad oggi per operazioni di sorveglianza e ricognizione, il ministero ha avuto il via libera dalla commissione difesa al Senato per l’acquisto dei cosiddetti droni kamikaze. I velivoli, dopo l’approvazione della Camera attesa per la prossima settimana, dovrebbero essere consegnati alle Forze speciali che operano all’estero ed in particolare nel teatro iracheno.

Si tratta di velivoli a guida remota dotati di una testata esplosiva (in inglese Loitering ammunitions) che possono essere diretti contro un obiettivo specifico anche a decine di chilometri di distanza. I droni kamikaze non hanno bisogno della presenza di truppe di terra nelle vicinanze del loro target per poter essere utilizzati, sono particolarmente versati, precisi e facili da trasportare. Tutte caratteristiche che, come specificato dalla Difesa, soddisfano le necessità operative immediate delle forze speciali al fine di garantirne l’autodifesa nei teatri operativi in cui sono impiegate.

L’Iraq

La richiesta per l’acquisto dei droni kamikaze, si legge nel documento redatto dal ministro, è stata presentata sulla base “del mutato scenario operativo in Iraq”. Nel prossimo futuro la coalizione internazionale anti-Isis a guida statunitense passerà sotto l’egida della Nato e il suo comando dovrebbe essere affidato all’Italia.

Il nostro paese infatti avrà il contingente più numeroso. I 4mila militari europei e canadesi che continueranno ad essere attivi in Iraq anche dopo l’addio americano avranno il compito di coordinare e addestrare le truppe locali con l’obiettivo di combattere ciò che resta dello Stato islamico. Tutte operazioni non-combat che comportano degli specifici margini d’azione per le truppe italiane e Nato.

È su questo punto che si sofferma l’analisi dell’Osservatorio Milex, secondo cui l’impiego di droni kamikaze non sarebbe del tutto in linea con il tipo di operazioni che le forza speciali italiane sono chiamate a svolgere in Iraq. L’utilizzo di velivoli a comando remoto creati appositamente per distruggere il loro obiettivo rischia tra l’altro di modificare la postura italiana nello scenario iracheno, oltre a rendere più facile il ricorso all’uso della forza.

Seppure in un’ottica di auto-difesa, come specificato dal ministero. Considerando le conseguenze che la dotazione dei droni kamikaze avrebbero, il tema, secondo Milex, dovrebbe essere discusso in maniera approfondita più in Parlamento, anziché passare per le sole Commissioni, Tra l’altro, trattandosi di operazioni condotte dalle forze speciali, è impossibile sapere in quali teatri questi droni saranno utilizzati.

Le informazioni relative a questo tipo di missione sono classificate, per cui ad oggi l’unica indicazione che si ha è quella contenuta nel documento della Difesa e che fa esplicito riferimento al teatro iracheno.  

Da Israele alla Sardegna

I droni kamikaze che il ministero vorrebbe acquistare sono gli Hero-30 prodotti dall’azienda israeliana UVision. I velivoli a comando remoto hanno un peso di circa 3 chili, una autonomia dai 5 ai 40 chilometri e possono volare fino ad un massimo di 30 minuti. Prima di poter essere impiegati è però necessario che gli operatori italiani seguano un corso di formazione a Tzur Igal, città israeliana in cui ha sede la UVision.

Resta ancora da capire che ruolo avrà l’industria nazionale in questa commessa. La manutenzione e la riparazione di parti non funzionali degli Hero-30 dovrebbero essere affidate a una società italiana non meglio specificata. Secondo diversi siti specialistici, la scelta dovrebbe ricadere sulla Rwm Italia, società del gruppo tedesco Rheinmetall con sede a Domusnovas, in Sardegna. A fornire i primi indizi su un simile accordo era stato lo stesso amministratore delegato, Fabio Sgarzi, durante l’audizione del 29 luglio alla Commissione Difesa della Camera.

L’azienda, che ha sede anche a Ghedi, è nota per aver prodotto gli ordigni utilizzati dall’Arabia Saudita in Yemen e il cui impiego è costato la vita a diversi civili. Sulla questione è intervenuto a inizio anno anche il governo, revocando l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Riad.

L’azienda e l’Agenzia governativa per gli armamenti (Uama) sono tra l’altro sotto indagine da parte della Procura di Roma. Compito dei magistrati è capire se, al momento dell’autorizzazione all’export, Rwm e Uama fossero al corrente delle violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione civile portate avanti dall’Arabia Saudita.

La spesa militare

La scelta della Difesa di richiedere l’armamento dei droni Reaper e l’acquisto degli Hero-30 rientra nel piano del governo di dotare il paese di una “difesa molto più significativa”, come affermato dallo stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi. Il premier ha più volte sottolineato la necessità di aumentare le spese militari nel momento in cui gli Stati Uniti sono sempre meno interessati al contesto mediterraneo e mediorientale, teatri in cui l’Italia è direttamente coinvolta. Non a caso, secondo un’indagine preliminare di Milex, le risorse dedicate alla Difesa nel 2021 ammontano a 24,97 miliardi di euro, con un aumento dell’8,1 percento rispetto al 2020 e del 15,7 percento rispetto al 2019.

L’interesse della Difesa verso i droni kamikaze era stato chiaramente esplicitato già a novembre del 2020 dal capo di stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, che durante un’audizione parlamentare aveva evidenziate le carenze dell’esercito italiano. Il generale aveva fatto riferimento al conflitto nel Nagorno Karabakh, durante il quale si è assistito ad un massiccio impiego di droni da parte dell’Azerbaijan, sostenuto dalla Turchia. I velivoli a comando remoto sono stati decisivi per la vittoria azera, dimostrandosi ancora una volta un vero e proprio game changer su cui anche l’Italia è desiderosa di mettere le mani.

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