Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.

Sappiamo, da Tullio Cannella e da una serie di elementi oggettivi, che a metà del 1993 Bagarella fonda un suo partito. Lo chiama Sicilia Libera: libera dalle leggi e dalle galere, libera dalle tasse. Libera nel senso di porto franco. È incredibile, ma in quel periodo sono in tanti a pronosticare per la Sicilia un futuro da Panama d'Italia. Sicilia Libera vuole, inequivocabilmente, essere il partito della mafia. Ha un suo simbolo, la Trinacria, una sua precisa linea politica, una lista di iscritti e poche, ma certamente qualificate, sezioni sul territorio.

Lo scopo di Bagarella è quello di infilarsi personalmente in politica con uomini e programmi tutti suoi. E con parole d'ordine che corrispondano alle esigenze di Cosa nostra. La mafia, insomma, deve farsi partito, deve arrivare in Parlamento senza intermediari. È un'idea che viene formalmente appoggiata anche da altri in seno all'organizzazione, ma che poi, all'improvviso, viene abbandonata.

Bisogna tener conto anche del contesto di quegli anni: lo scandalo di Tangentopoli, da una parte, e le stragi mafiose, dall'altra, hanno quasi messo in ginocchio le istituzioni e scardinato il tradizionale sistema dei partiti.

Il ragionamento di Bagarella poggia sulla convinzione che «i politici» hanno preso in giro suo cognato. Non sono stati ai patti, non hanno rispettato gli impegni. Ragion per cui è giunto il momento che la mafia si presenti alle elezioni, e magari vada al governo. Questa è la sua pretenziosa visione: condizionare direttamente la vita politica italiana.

Il progetto di un partito indipendentista

Il movimento di Bagarella è una sorta di piccola Lega siciliana che rappresenta il primo e forse unico esperimento della partecipazione diretta nelle istituzioni degli uomini di Cosa nostra. Le liste di Sicilia Libera compaiono nelle elezioni provinciali del 1993 e non vanno malissimo. Anzi, a Catania, capolista il vecchio andreottiano Nino Drago, ottengono il 10 per cento dei suffragi. Tullio Cannella, in rappresentanza del movimento siciliano (e di Bagarella in persona), partecipa a una riunione a Lamezia Terme, al fine di dar vita a una sorta di federazione di tutti i movimenti autonomisti del Meridione. Ma poi di colpo il progetto si arena.

Siamo alla fine del 1993 e, secondo alcuni collaboratori di giustizia, Bagarella capisce che la sua creatura politica è destinata a essere messa da parte: gli fanno notare che quello che lui, con tante difficoltà, sta mettendo in piedi ha poche possibilità di concretizzarsi, almeno a breve termine. I voti che Sicilia Libera può raccogliere nell'isola sono, a livello nazionale, una goccia nel mare.

Del resto anche il più ampio progetto delle cosiddette Leghe meridionali, di cui fanno parte alcuni membri di logge massoniche segrete e soggetti legati all'eversione nera, non sembra avere prospettive concrete. La Direzione investigativa antimafia ha già steso alcuni rapporti e diversi esponenti di primo piano (persone perbene, convinti monarchici o veri autonomisti), avendo intuito l'interesse delle grandi organizzazioni criminali per quel movimento, si tirano indietro.

Molti pentiti raccontano poi dell'attenzione di alcuni capi di Cosa nostra per il programma di Forza Italia, neonata formazione politica le cui proposte in materia di liberalizzazione dell'economia, di deregulation nel settore delle pubbliche commesse e, soprattutto, di riforma della giustizia in una logica cosiddetta garantista, potevano sembrare, in parte, corrispondenti alle aspettative del sodalizio mafioso.

Non sappiamo cosa sia successo. Di certo, a Sicilia Libera Bagarella ci crede. Per dar vita a questa sua creatura politica, il boss corleonese tira fuori cento milioni delle vecchie lire che, vista la sua proverbiale oculatezza, non devono essergli sembrati pochi.

Peraltro quella «sagoma» di Tullio Cannella, capace di organizzare una truffa anche mentre dorme, ci ha messo del suo. La festa di presentazione del nuovo partito, don Luchino l'ha appaltata proprio a lui. E Tullio non si è fatto pregare. Banchetto di lusso, musica, vallette e dépliant, centinaia di invitati, esponenti del popolo di mafia, belle ragazze, politici, avvocati, dottori e colletti bianchi.

Al San Paolo Palace, albergo sul lungomare di proprietà dei fratelli Graviano: sala addobbata, caviale e champagne. Qualche giorno dopo Tullio presenta a Bagarella la nota delle spese sostenute. Totalmente falsa.

I Graviano, infatti, per rispetto verso il cognato di Totuccio Riina, non si sono fatti pagare. Hanno offerto loro i locali, il banchetto e tutto il resto. Dunque Cannella non ha tirato fuori nemmeno una lira. Si è intascato i cento milioni, ha fatto, come si dice, la cresta. Uno dei suoi tanti piccoli imbrogli, insomma. «Se Bagarella lo avesse saputo» racconta Tony Calvaruso «a Tullio gli avrebbe scippato (sradicato) la testa.»

Sogni di evasione

Un'altra delle imprese titaniche sognate dal boss di Corleone è un progetto di evasione dal carcere dell'Ucciardone dove, prima dell'entrata in vigore della legge sulle videoconferenze, spesso transitava per partecipare ai processi, progetto che Bagarella ha studiato e messo a punto nei minimi dettagli. Lo stratega corleonese, per la sua liberazione, predispone un vero e proprio piano di guerra. Con l'uso di missili terra-aria e granate anticarro per buttare giù il muro di cinta dell'antica fortezza borbonica.

Un commando di picciotti, armati di kalashnikov, sarebbe dovuto quindi entrare nel carcere, avrebbe dovuto ammazzare qualche decina di agenti penitenziari, e portarlo via. Quando il piano viene comunicato a Giovanni Brusca, incaricato della sua realizzazione, il giovane capomafia di San Giuseppe Jato, che non aveva certo voglia di rischiare la sua latitanza e la sua stessa vita per liberare don Luchino, risponde così: «Dicitici a Bagarella che forse s'ha vistu troppi film miricani!».

copertina libro sabella cacciatore

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