Ristrutturare le agenzie libiche, integrare le milizie locali e rafforzare le capacità tecniche. Una partita guidata dalla missione di assistenza alle frontiere dell’Ue in Libia (EUbam), con uomini e mezzi dedicati a creare una struttura centralizzata nazionale per la sicurezza e la gestione delle frontiere libiche. Inizia da qui l’ultima tappa della strategia europea per chiudere la rotta del Mediterraneo. Una strategia – per ora sulla carta – preparata dalla missione di assistenza alle frontiere dell’Ue in Libia (EUbam).

In un documento interno dell’Ue ottenuto da Domani si delinea la strategia per stabilire un’autorità nazionale per la sicurezza e la gestione delle frontiere e addestrare gli uomini dei corpi navali, di polizia interna e di frontiera, l’aviazione e i funzionari doganali adibiti ai controlli passaporti e merci. Sullo sfondo: l’incoerente e frammentata realtà Libica. «Circa 49.000 funzionari sono a libro paga delle agenzie di frontiera libiche; personale non qualificato che ostacola la gestione delle operazioni quotidiane», si legge nel documento ottenuto da Domani.

Bruxelles vuole creare un apparato di sicurezza nazionale per il controllo delle frontiere di terra, mare e aria, ma gli apparati statali libici sono in competizione per il potere. In Libia, le Istituzioni rimangono deboli o inesistenti, l’architettura di sicurezza frammentata, milizie e gruppi armati solo formalmente integrate all’interno dei ministeri dell’Interno o della Difesa. «Difficile individuare le strutture dello stato... limitate possibilità di accesso a Tripoli e la situazione di sicurezza impediscono alla missione di completare la raccolta di informazioni necessarie», scrivono gli ufficiali europei a Bruxelles. Ma per l’Europa l’obiettivo è offrire consulenza e strumenti – tramite l’assistenza materiale, tecnica e politica alle autorità libiche – per intercettare migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale. Il risultato però è che i libici li riportano nei centri di detenzione.

Le origini

Sono passati 17 anni da quando l’Europa ha iniziato a parlare di addestrare e coordinare i libici. Novembre 2004, un team di 14 esperti della commissione europea e di Europol, arriva per la prima volta in Libia. Nella relazione tecnica della Commissione europea del 2004 i dettagli, le foto, la strategia. Nel toolkit per bloccare i migranti, l’Italia è a capofila in un piano iniziato nel settembre 2002. Una lista dettagliata condivisa con l’Ue include uno stanziamento “speciale” per la costruzione di centri di detenzione nel sud del paese, a Kufra e Sebha. Ma anche fuoristrada Mitsubishi, autobus Iveco, materassi, lettini metallici, tende da campo e binocoli per la visione diurna forniti da Roma. E il finanziamento di un programma di voli charter per il rimpatrio dalla Libia verso i paesi di origine. In quegli anni la Libia inaugura arresti e deportazioni.

Centri di detenzione finanziati dall’Italia e 145mila persone deportate tra il 2003 e il 2005. Di loro non si è più saputo nulla dopo il loro arrivo.

Le richieste libiche proseguono: sostegno tecnico per monitorare le frontiere, supporto logistico e più formazione.

L’Italia propone pattugliamenti marittimi con equipaggi misti libici e con personale della Guardia di finanza italiana per l'attività di formazione, di assistenza e manutenzione.

Ma servono le risorse europee.

Il ruolo di Eubam

Nel 2013 l’Europa invia un contingente di esperti per creare una «strategia di gestione delle frontiere». Istituita il 22 maggio del 2013, la missione non sembra essere in grado di raggiungere i risultati sperati.

Un’operazione di 30 milioni di euro all’anno, «per creare contatti e influenza, e redigere rapporti per le strutture dell’Ue», racconta un ex-capo della sicurezza dell’Agenzia europea per la difesa. Proprio per ragioni di sicurezza, la missione è costretta a ridurre il personale internazionale (solo tre funzionari, di cui uno italiano) e lasciare Tripoli per operare dalla Tunisia, racconta un funzionario di Bruxelles.

Alla guida di EUbam fino allo scorso settembre, l’italiano Vincenzo Tagliaferri, classe 1963, alto funzionario di polizia. A Tripoli è considerato l’uomo della collaborazione Italia-Libia. Tagliaferri propone un piano di riforma del settore della sicurezza, e attività di assistenza nella gestione delle frontiere, forze dell'ordine e giustizia penale.

Ma la formazione e la consulenza strategica non sembrano funzionare: «i progressi rimangono limitati in assenza di una soluzione politica, la fine del conflitto militare e un ritorno alla stabilità», si legge su un documento di 21 pagine, etichettato come «EU limited».

E i diritti umani?

«Manca un approccio sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani», scrive il Consiglio dei diritti umani dell’Onu in un commento interno al documento strategico di EUbam del piano di gestione delle frontiere. Ma la missione ribadisce: «L’intero processo è stato costantemente guidato da principi in materia di diritti umani e consigliato da esperti».

La strategia dell’Ue per controllare i confini prevede inoltre un sistema di riconoscimento biometrico e d’analisi dei dati sulla migrazione (Midas. Grazie a un accordo firmato con l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Iom), scanner per le impronte digitali e telecamere per il riconoscimento facciale verranno installati in sette posti di frontiera, a partire dagli aeroporti di Mitiga e Misurata.

L’Iom ha previsto inoltre di ristrutturare il posto di frontiera di Ra’s Ajdir alla frontiera con la Tunisia. «Non è chiaro quali siano le tutele che verranno applicate per garantire la protezione dei dati personali e la privacy», conclude un funzionario delle Nazioni unite a Ginevra.

Nonostante nella strategia di EUbam compaia un ufficio legale per il rispetto dei diritti umani, il suo ruolo non sarà indipendente. Non è chiaro quali siano i meccanismi previsti per garantire l’accesso alla giustizia per i migranti e i rifugiati i cui diritti possono essere colpiti dalla cooperazione dell’Ue con i paesi terzi. A maggio il parlamento europeo aveva criticato la Commissione europea e alcuni paesi dell’Ue nel quadro della politica esterna di asilo e migrazione Ue. Per Tineke Strik, eurodeputata olandese dei Verdi e membro della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) «serve un migliore monitoraggio, una maggiore trasparenza sull’uso dei fondi Ue e un maggiore controllo democratico da parte del parlamento europeo».

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