A febbraio 2025, una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre l’educazione sentimentale nelle scuole italiane ha superato le 50mila firme necessarie per l’esame parlamentare, aprendo la strada a un cambiamento già sperimentato in altri paesi europei. Il governo, nonostante questo e nonostante i report di Oms e Unesco, appare sordo. E chiude a qualsiasi discussione.
A febbraio 2025, una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre l’educazione sentimentale nelle scuole italiane ha superato le 50mila firme necessarie per l’esame parlamentare, aprendo la strada a un cambiamento già sperimentato in altri paesi europei.
La proposta prevede 33 ore annue dedicate all’insegnamento di competenze emotive e relazionali, con l’obiettivo di fornire a studenti e studentesse gli strumenti necessari per gestire le proprie emozioni, comprendere quelle altrui e costruire relazioni rispettose.
La proposta ha inoltre come obiettivo la formazione di un punto di vista sulle relazioni sessuali, che sia libero da coercizioni e violenze, basato su consapevolezza e rispetto. Lo spirito è quello di una “comprehensive sexuality education”, cioè una formazione ad ampio spettro sui temi relazionali e sessuali che promuova relazioni più sane ed empatiche.
Chi è a favore dell’educazione sentimentale
L’analisi delle firme, resa possibile dai dati disponibili sul sito del ministero della Giustizia, evidenzia differenze significative in base al genere e all’età dei firmatari. Le donne sono infatti le principali firmatarie di questa iniziativa, raccogliendo ben 38mila firme rispetto alle 15mila degli uomini e il 77 per cento dei sostenitori ha tra i 18 e i 37 anni.
Questi dati riflettono sia la sensibilità dei giovani adulti verso i temi relazionali, sia la diversa percezione dell'urgenza del tema tra chi è potenzialmente vittima di violenza nelle relazioni e chi non lo è.
Il ruolo del tessuto sociale
Esiste inoltre una correlazione positiva tra il supporto alla proposta e la qualità del tessuto sociale delle diverse regioni, misurata con la percentuale di persone coinvolte in attività di volontariato. Confrontando le firme raccolte con la media storica del sostegno alle altre proposte, emerge che una maggiore partecipazione al volontariato sia associata a maggiore sostegno alla proposta riguardante lìeducazione sentimentale.
Al contrario, si può immaginare che in luoghi dove il “capitale civico” è più basso, temi come la gestione dei sentimenti, la sessualità e la violenza di genere restino spesso intrappolati in dinamiche di omertà e norme sociali consolidate, rendendo iniziative educative innovative meno popolari.
In Campania, dove il sostegno alla proposta è del 40,6 per cento inferiore rispetto ad altre iniziative, già nel 2012 uno studio (raccolto nel libro Sono caduta dalle scale, a cura di Caterina Arcidiacono e Immacolata Di Napoli) che interrogava parroci e medici di medicina generale, evidenziava come la scarsa fiducia nelle istituzioni, il timore del giudizio sociale e forti strutture familiari tradizionali ostacolino il riconoscimento e la denuncia della violenza.
La necessità dell’educazione sentimentale
La proposta di legge sull’educazione sentimentale risponde precisamente alle raccomandazioni di Sono caduta dalle scale, che evidenzia la necessità di iniziative educative sin dall'infanzia per promuovere competenze relazionali e consapevolezza emotiva.
Un’educazione sentimentale efficace agirebbe su un duplice fronte: da un lato, prevenendo comportamenti violenti attraverso lo sviluppo di strumenti di gestione emotiva e relazionale; dall’altro, creando un tessuto sociale più consapevole e capace di riconoscere, denunciare e sostenere chi subisce abusi.
Le esperienze documentate da parroci e medici mostrano come, in assenza di supporto formativo e culturale, molte donne si ritrovino isolate nell’affrontare e interpretare situazioni di violenza. L’evidenza di scarso sostegno alla proposta proprio dove il tessuto sociale è meno sviluppato ne rende l’introduzione ancora più necessaria. Questi percorsi educativi potrebbero infatti rafforzare proprio quel “capitale civico” carente nelle aree dove il fenomeno della violenza rimane più sommerso, trasformando non solo i potenziali autori di violenza ma anche l'intera comunità in cui agiscono.
L’importanza dei dati
La ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, ha di recente sostenuto che i programmi di educazione sessuale non abbiano effetti sul numero di femminicidi, nonostante due report dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e di Unesco suggeriscano diversamente.
La ministra ha anche aggiunto che «per adeguare le politiche ai bisogni servono dati concreti». Ci preme sottolineare due punti: farsi guidare dai dati nel disegnare le politiche pubbliche è sicuramente un approccio virtuoso, per cui Tortuga si spende da anni; ci pare allo stesso tempo poco in linea con questa idea bocciare una proposta in assenza di evidenza specifica sull’Italia e non considerando i dati aggregati e le linee guida di Oms e Unesco.
La scelta più auspicabile sarebbe quella di avviare almeno una sperimentazione randomizzata di percorsi come quelli suggeriti dall’Oms in Italia. Sarebbe in questo modo possibile individuare credibilmente degli effetti causali e discutere in maniera più libera da distorsioni ideologiche del ruolo che questi programmi possono avere.
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