Giovedì in Grecia la religione dello sport mondiale sceglie il suo papa, votando per la successione a Thomas Bach sul trono del comitato olimpico internazionale. I temi sul tavolo: la partecipazione transgender alle gare femminili, la riammissione della Russia, la lotta al doping, le controversie della boxe. Il presidente che verrà proverà a resistere al nuovo scenario politico mondiale o si rassegnerà al potere di «chi più ha più conta»?
Se vincesse Morinari Watanabe, numero 1 della Federginnastica mondiale, sarebbe una rivoluzione: le Olimpiadi si moltiplicherebbero, andrebbe in pensione la sede unica e le città dei Giochi diventerebbero cinque, una per continente, con 10 discipline sportive a testa. Tipo il nuoto in Australia, il basket negli Stati Uniti, la scherma in Italia, il cricket – in arrivo dal 2028 – in India e il rugby a 7 in Sudafrica. Un modo per coinvolgere più mondo possibile, ma anche un attacco alla sacralità dell’evento degli eventi del mondo dello sport.
Però non succederà, i curatori dei pronostici lo assicurano: il giapponese non ha chance. La sua, però, è senz’altro la proposta più innovativa della campagna elettorale per la successione a Thomas Bach, l’ex fiorettista tedesco che non può ricandidarsi a presidente del Comitato Olimpico Internazionale e lascia dopo 12 anni.
In un mondo che mangia storicamente pane e unanimismo, la sfida di giovedì 20 marzo in Grecia somiglia a un insulto: si sono iscritti alla gara in sette e le previsioni sono un rompicapo. “Inside the Games”, il sito sempre informatissimo sulle cose olimpiche, scomoda il paragone con un conclave per l’elezione papale.
Favoriti e outsider
Almeno sui tempi, però, la fumata bianca olimpica dovrà essere più veloce. L’habemus presidentem qui è per la sera stessa. Uscirà fuori da una rosa di sette nomi. Con Watanabe ci saranno Kirsty Coventry, l’ex nuotatrice olimpionica dello Zimbabwe che non è un mistero goda della preferenza di Bach; il gran capo dell’atletica mondiale, l’inglese Sebastian Coe, olimpionico pure lui; Juan Antonio Samaranch jr., catalano e figlio d’arte visto che suo padre è stato presidente dal 1980 al 2001.
Questa è la triade dei favoriti. Poi un outsider, il francese David Lappartient, presidente della Federciclismo internazionale; il suo omologo dello sci, Johan Eliasch, dai due passaporti, svedese e britannico; il principe Feissal Al Hussein di Giordania.
La procedura elettorale è una corsa a eliminazione, a ogni turno ci sarà un escluso fino al momento in cui uno dei candidati supererà il colle della maggioranza assoluta. La suspence è assicurata pure da altre regole: i membri CIO dei Paesi dei candidati non potranno votare (almeno fino a quando non sarà eliminato il loro connazionale), le classifiche parziali scrutinio per scrutinio non saranno comunicate ai votanti, dentro il conclave olimpico si entrerà senza telefonini o tablet.
I votanti
Ma questo “parlamento” CIO che deciderà il successore di Bach da chi è formato? Lasciate perdere le Nazioni Unite con il suo “un Paese un voto”. Il CIO è una miscela di cooptazioni approvate dall’assemblea plenaria e rappresentanze (per esempio, gli atleti sono eletti), i suoi membri devono da Carta Olimpica difendere gli interessi del «movimento olimpico nei rispettivi Paesi e nelle organizzazioni in cui sono impegnati».
C’è il Liechtenstein ma manca una potenza olimpica e sportiva come l’Olanda, c’è il Principato di Monaco ma sono fuori Nigeria e Bangladesh, in due 400 milioni di abitanti. Un’altra assenza pesante è quella del Messico, che l’Olimpiade l’ha pure ospitata nel 1968. L’Italia ha tre membri: il presidente del Coni, Giovanni Malagò; Ivo Ferriani, presidente della federazione mondiale del bob; Federica Pellegrini, una delle rappresentanti di atlete e atleti.
Solo Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno più votanti, quattro, mentre a tre ci sono pure Spagna, Svezia, Germania, Cina e Giappone. L’era Bach è stata quella di una nuova geografia con un’apertura ai paesi economicamente e sportivamente meno forti: gli europei sono ora “solo” 43, gli americani 19, l’Asia ha 21 membri, l’Africa 19, l’Oceania 7. E il numero di donne è fortemente cresciuto: sono 48 su 109.
La posta in gioco
Martedì, il gruppo si è riunito dove tutto cominciò, a Olimpia. Mercoledì ci si sposterà a Costa Navarino, Peloponneso meridionale. Da Milone, il lottatore di Crotone che faceva incetta di trionfi nell’antichità, a Cristiano Ronaldo, che stravede per questo mare dalle frequentazioni hollywoodiane. Ma quanto e cosa è in gioco? Bach cominciò dichiarando guerra al gigantismo per contrastare la fuga dalle Olimpiadi, nel senso che in pochissimi (vero Roma?) avevano più voglia di organizzarle spendendo spese folli.
Così ha pilotato la nave in burrasca verso lidi sicuri (niente scontro fra Parigi e Los Angeles, all’una il 2024 all’altra il 2028, e già che ci siamo mettiamo al sicuro pure l’australiana Brisbane 2032, della serie meglio l’usato sicuro con tre Paesi dalla robusta tradizione olimpica) e oggi può sorridere a un rinnovato interesse per ospitare i Giochi (per il 2036 c’è per esempio l’India).
Ha avuto l’intuizione della squadra olimpica dei Rifugiati in un mondo dove sempre più persone sono costrette a lasciare la propria casa per fuggire da guerra e fame. Il finale di mandato è stato carico di conflittualità: con l’esclusione della Russia prima per doping e poi per l’invasione dell’Ucraina, lo scontro con la federboxe internazionale diretta da un dirigente ad alta fedeltà putiniana, sospesa per mancanza di trasparenza, le polemiche trumpian-muskiane contro Imane Khelif a Parigi, accusata di essere “un uomo” ma difesa a spada tratta dal CIO, il no a qualsiasi provvedimento contro Israele nelle settimane dei bombardamenti di Gaza ma anche la salvaguardia di una presenza palestinese a Parigi, i rapporti problematici con diverse federazioni sportive che non sopportano troppi lacci e lacciuoli olimpici.
C’è però una domanda che attraversa tutte le altre. Le Olimpiadi devono provare sempre a essere la casa di tutti o fisiologicamente la loro copertina sarà sempre più fatalmente riempita dai Paesi con più impianti, più soldi, più allenatori preparati? Meglio Olimpiadi con 10 statunitensi nei 100 metri (Jacobs permettendo) o 10 cinesi nei tuffi o 10 sudcoreani nel tiro con l’arco con una filosofia “superleghista”, nell’accezione calcistica dell’espressione, o bisogna difendere il principio dell’inclusività mantenendo una porta aperta per una piccola isola dei Mari del Sud o un paese del terzo mondo che magari non ha mai vinto una medaglia in vita sua?
A giudicare dai discorsi elettorali, Lappartient sembrerebbe il candidato più concentrato a percorrere la prima strada: una redistribuzione di risorse per salvare l’idea di Olimpiadi per tutti. Il francese ha detto che «da presidente del CIO direi a Trump di rispettare l’autonomia».
Coe insiste sul “benessere” degli atleti, non è distante del presidente statunitense in termini di presenza (o meglio, esclusione) delle atlete trasgender (e non solo) con la famosa politica delle “soglie” di testosterone da non superare, rivendica la scelta dei premi in denaro per i vincitori olimpici, invoca una modernizzazione capace di intercettare nuove risorse, riflette sull’idea di spostare alcune discipline indoor delle Olimpiadi estive per rafforzare il programma invernale.
Più nella continuità sembrano Coventry e Samaranch, l’ex nuotatrice cita come obiettivo quello dei primi Giochi in Africa. Tutti i candidati spendono parole durissime contro il doping, altra trincea dove il suprematismo sportivo sta mostrando i muscoli con il progetto di Giochi enhanced “accresciuti” o ancora meglio “potenziati”, in cui sia possibile gareggiare ubriacandosi di epo o steroidi, un’idea fatta propria pure dall’altro Trump, Donald junior, il figlio del tycoon presidente.
La verità è che in un mondo così frantumato e spaccato, l’olimpismo che ha aggiunto da poco la parola together” insieme al suo classico «citius, altius, fortius» – più veloce, più in alto, più forte – rischia di giocare perennemente in difesa. Bach è uscito di scena ricordando i valori dei Giochi, «l'idea di promuovere la pace attraverso lo sport, in netto contrasto con lo spirito prevalente». Con la prospettiva che anche nello sport, i più forti siano sempre più forti e i deboli sempre più deboli, il presidente che verrà proverà a resistere a questo scenario o si rassegnerà all’aria che tira nel mondo, l’aria del «chi più ha più conta e più vince»?
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