Eni ha annunciato che non stipulerà nuovi contratti con la Russia, ma quelli esistenti proseguiranno. L’embargo degli Stati Uniti e della Gran Bretagna al petrolio e ai carburanti russi, ovvero il divieto di ingresso nei mercati nazionali di questi prodotti, «servirà semplicemente ad aumentare il turismo del greggio», spiega Salvatore Carollo, esperto di trading petrolifero con un passato in Eni. Oggi è «difficile separare la realtà dall’emozione» prosegue, e nonostante l’impatto mediatico della scelta dei due paesi, la mossa non indebolirà l’economia russa.

I contratti e gli annunci

Il Financial Times il 9 marzo non escludeva che la cattiva fama del petrolio venduto da Mosca possa andare a influenzare la vendita del greggio e dei prodotti raffinati anche altrove. La raffineria della russa Lukoil in Sicilia ha riferito di aver avuto problemi nella commercializzazione, infine la multinazionale Shell, dopo essere stata criticata per aver acquistato il greggio russo a prezzi scontati ha annunciato che non si rifornirà più dal paese, con una specificazione, «nel mercato spot». Una formula che lascia spazio a molte possibilità.

Le compagnie petrolifere e le società che gestiscono le raffinerie possono comprare sia sul mercato chiamato appunto spot sia con «contratti a termine di un anno, due anni, che definiscono i volumi, mentre il prezzo sarà il prezzo di mercato in cui lo ritiro».

Il che vuol dire che qualora una società avesse contratti a termine in essere, pur facendo a meno del mercato spot, continuerebbe ad acquistare dalla Russia. «Io penso che tutte le compagnie del mondo ovviamente rispetteranno le regole imposte dai propri paesi – dice Carollo -, ma se non saranno imposte dai governi queste misure, le compagnie si comporteranno di conseguenza».

In caso contrario, la rescissione da questi contratti avrebbe un costo. Eni interpellata da Domani ha specificato: «Eni ha sospeso la stipula di nuovi contratti relativi all’approvvigionamento di greggio o prodotti petroliferi dalla Russia». Per tutto il resto «in ogni caso opererà nel pieno rispetto di quanto stabilito dalle istituzioni europee e nazionali».

Usa e Gb

Sul fronte interno sia Gran Bretagna che Stati Uniti possono tranquillamente affrontare l’ammanco. La perdita del greggio Russo non sarà un dramma per il mercato statunitense per due motivi: «È abbastanza assimilabile a una serie di greggi del golfo persico» dunque quello che verrà a mancare basterà acquistarlo da altri paesi produttori. In secondo luogo, il limitato apporto ai consumi dei due paesi. Nel 2021 negli Stati Uniti la Russia ha rappresentato circa l'8 per centro tra petrolio e raffinati, circa 672.000 barili al giorno secondo i dati del Wall Street Journal.

Isolando il dato del greggio, si tratta di circa 200.000 barili al giorno, circa il 3 per cento delle importazioni statunitensi. «Si può benissimo sostituire il tutto» dice Carollo. Anche per la Gran Bretagna il contributo è residuale, seppure leggermente maggiore in termini percentuali, 13,4 per cento dell’import. La misura, adottata di concerto con gli Stati Uniti, inoltre, sarà introdotta gradualmente nel resto del 2022, ha affermato il segretario agli affari Kwasi Kwarteng.

I prodotti raffinati

Per quanto riguarda i prodotti petroliferi, quindi benzina, gasolio e nafta, avverte Carollo, è tecnicamente è difficile garantire che nei due paesi non arriverà più niente di russo. I prodotti vengono spesso acquistati dai trader e rivenduti, a quel punto individuarne la provenienza diventa impossibile. Non a caso una settimana fa due Ong ucraine sostenute da 24 europee, tra cui Transport & Environment, Cittadini per l'Aria e Legambiente, hanno chiesto che il paese di origine dei prodotti petroliferi sia addirittura indicato chiaramente nelle stazioni di servizio per garantire che i consumatori non finanzino inavvertitamente il regime di Putin. «I paesi europei - si legge in una nota delle associazioni - dovrebbero introdurre una tariffa o un prelievo sulle esportazioni russe di combustibili fossili prima di un embargo completo». Così non è stato.

Il mercato e la Russia

I mercati sono sempre il termometro di come stanno andando realmente le cose. A oggi riguardo l’embargo «non vedo questo impatto sul mercato internazionale: i greggi non sono trasportati con pipeline, la nave cambia rotta», commenta Carollo. In teoria, la Russia può semplicemente vendere il suo petrolio ad altri acquirenti in un altro mercato. Il petrolio russo chiamato “Ural”, è un greggio medio pesante e ad oggi è trattato in molte raffinerie del Mediterraneo, e non solo: «Ciò che non viene venduto negli Stati Uniti o nel Regno Unito può essere spedito altrove, dall’Europa all’Estremo Oriente». Per quanto riguarda «l’eventuale costo di trasporto non è a carico del produttore. Non vedremo neanche cambiare il prezzo».

Non a caso i giornali il 9 marzo, il giorno seguente l’annuncio dell’embargo, hanno parlato di “tregua del petrolio” e il Wti, il greggio statunitense, ha addirittura perso qualcosa nelle quotazioni: il 4,08 per cento, attestandosi su 118,65 dollari al barile.

Questo non significa che non potrebbero esserci problemi diversi, come per i flussi di denaro per i pagamenti a seguito delle altre sanzioni: «Tutte le sanzioni finanziarie potrebbero rendere più complesso il pagamento».

Per il momento, dello stop al petrolio russo «resta la forza di messaggio politico ed etico. Il consumatore non conosce tutta la trafila, sono messaggi forti. Se succedesse che tutti facessero la dichiarazione di embargo allora ci sarebbe un impatto maggiore». L’Unione europea, tuttavia, ha già reso chiaro che i paesi del vecchio continente al momento non se lo possono permettere.

© Riproduzione riservata